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CONSIGLIO di STATO - (chi ha pagato a titolo di adempimento di una determinata obbligazione pecuniaria, e voglia conseguire una parziale restituzione allegando di aver commesso un errore nella quantificazione, ha l’onere di dimostrare l’indebito pagamento ossia l’errore; non è il debitore a dover dimostrare l’esattezza del pagamento e l’infondatezza della domanda di restituzione)
N.2560/03
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 8105/96 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta
N. 220/98 REG.RIC.
ha pronunciato la seguente DECISIONE
sui ricorsi in appello proposti dai signori: Piergiovanni SORIANI, Rosanna GIANMATTEI, Dante TAGLIAFERRI, Ferdinando CRUDELI, Claudio VANNUCCI e Silvano MATTEUCCI (residenze non indicate), difesi dall’avvocato Giulio Padoa e domiciliati in Roma, Lungotevere Michelangelo 9, presso il dottor Gian Marco Grez; contro AZIENDA SANITARIA LOCALE N. 13 della Toscana “Area Livornese”, con sede in Livorno, non costituitasi in giudizio; e Azienda USL n. 6 di Livorno costituitasi in giudizio, nel solo procedimento 220/1998, in persona del dottor D. Di Bisceglie, difesa dall’avvocato Alberto Azzera e domiciliata in Roma, via Giunio Buzzoni 3, presso lo studio dell’avvocato Paolo Accardo; per l’annullamento 1) (procedimento 8105/1996) della sentenza non definitiva 12 luglio 1995 n. 397, con la quale il tribunale amministrativo regionale per la Toscana, seconda sezione, ha in parte dichiarato irricevibile e in parte respinto la domanda di riconoscimento del diritto dei ricorrenti a trattenere le somme conseguite a titolo di compartecipazione, chieste loro in restituzione dall’unità sanitaria locale n. 13 con atti del comitato di gestione e dell’amministratore straordinario emanati tra il giugno 1988 e il febbraio 1994. 2) (procedimento 220/1998) della sentenza 21 luglio 1997 n. 421, con la quale il tribunale amministrativo regionale per la Toscana, seconda sezione, ha respinto definitivamente la domanda predetta. Visto il ricorso in appello 8105/1996, notificato il 9 e depositato il 24 ottobre 1996; visto il ricorso in appello 220/1998, notificato il 5 e depositato il 12 gennaio 1998; visto il controricorso dell’unità sanitaria locale nel procedimento 220/1998, depositato il 25 marzo 1998; visti gli atti tutti della causa; relatore, all’udienza del 14 marzo 2003, il consigliere Raffaele Carboni, e udito altresì l’avvocato Athena Lorizio, in sostituzione degli avvocati Padoa e Iaria; ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO
Gli appellanti, medici dipendenti dell’unità sanitaria locale di Livorno, nel 1994 si sono visti decurtare le retribuzioni per una trattenuta di “recupero compartecipazioni”, diretta a recuperare importi complessivi specificati per ciascuno in allegato al prospetto della retribuzione di febbraio e varianti da cinque a dodici milioni di lire circa, suddivisi in rate mensili varianti da quattro a quattordici mesi. Con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Toscana notificato il 18 luglio 1994 hanno impugnato i provvedimenti, loro sconosciuti, con i quali l’amministrazione aveva disposto i recuperi. L’amministrazione in vista della camera di consiglio del 22 settembre 1994 fissata per l’esame dell’istanza cautelare ha depositato in giudizio sette tra deliberazioni del comitato di gestione e provvedimenti dell’amministratore straordinario, emanati tra il giugno 1988 e il febbraio 1994, con i quali era stato disposto l’accertamento delle ore di plus-orario (cioè di ore di lavoro in più dell’ordinario pagate in acconto) non effettuate. I ricorrenti con atto notificato il 26 settembre 1994 hanno formulato otto motivi aggiunti, che si possono riassumere come segue. 1) La verifica era errata; 2) il recupero era immotivato, non potendosene comprendere le ragioni; 3) la disciplina del plus-orario, contenuta negli accordi collettivi, prevede che l’amministrazione verifichi trimestralmente le ore effettuate onde consentire agli interessati nel trimestre successivo, sicché, in mancanza di tempestiva verifica, non è poi consentito all’amministrazione di operare un recupero successivo; 4) L’amministrazione non ha tenuto conto del fatto che i ricorrenti hanno ricevuto i compensi, anche a conguaglio, in buona fede; 5) l’amministrazione ha omesso di dare avviso dell’avvio del procedimento di recupero; 6) il recupero era in ogni caso illegittimo per le sue modalità gravose e perché superava la quinta parte dello stipendio; 7) Il recupero era stato effettuato al lordo anziché al netto delle ritenute di legge (i motivi sesto e settimo sono stati dedotti in via gradatamente subordinata); 8) per parte delle somme era maturata la prescrizione. Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe ha dichiarato tardiva l’impugnazione relativa all’entità del recupero (per «tutte le questioni che non investano l’an debeatur ossia all’esistenza dell’indebito oggettivo»), e cioè i motivi secondo, quarto, quinto e sesto (prima parte), facendo decorrere il termine per l’impugnazione dei provvedimento dall’ultimo giorno della loro pubblicazione all’albo dell’amministrazione ospedaliera. Sui restanti motivi (primo, terzo, seconda parte del sesto, settimo e ottavo), che ha qualificato come domanda (di accertamento negativo del debito di restituzione) proponibile nel termine decennale, il giudice di primo grado ha provveduto accogliendo in parte, e solo per la ricorrente dottoressa Gianmattei, l’eccezione di prescrizione contenuta nell’ottavo motivo, e respingendo il terzo, la restante parte del sesto e il settimo motivo. In particolare ha stabilito che il recupero non superava la quinta parte della retribuzione, che è legittimo il recupero al lordo, restando a carico dei ricorrenti di richiedere alle competenti amministrazioni la restituzione delle ritenute tributarie e previdenziali, che l’obbligo delle verificazioni trimestrali o semestrali del plus-orario effettuato non fa venir meno il potere di recuperare, anche successivamente, le eventuali somme indebitamente corrisposte. Restando da esaminare il primo motivo, con il quale i ricorrenti sostenevano l’inesistenza del debito verso l’amministrazione, il tribunale amministrativo regionale ha disposto istruttoria, ordinando all’amministrazione di produrre i cartellini di registrazione delle presenze giornaliere dei ricorrenti insieme con un riepilogo delle ore di lavoro prestate da ciascuno dei ricorrenti in plus-orario. I dottori Soriani, Gianmattei, Tagliaferro, Crudeli, Vannucci e Matteucci hanno proposto appello contro la parte decisoria della sentenza, censurando come errata e contraddittoria la pronuncia di parziale inammissibilità del ricorso e riproponendo i motivi respinti. Pervenuti i documenti richiesti, prodotti dall’amministrazione ospedaliera insieme con alcuni tabulati, all’udienza di discussione la difesa dei ricorrenti ha fatto presente che le era impossibile interpretare i dati contenuti nei tabulati trasmessi dall’amministrazione. Il tribunale amministrativo regionale, con la sentenza definitiva specificata in epigrafe, ha respinto anche il primo motivo di ricorso, affermando che i ricorrenti avevano l’onere, in séguito alla produzione dei documenti, di specificare la propria domanda, nonché di provare l’inesattezza del recupero. Appellano i medici sopra nominati, deducendo i motivi seguenti. 1) L’amministrazione ha adempiuto all’ordine istruttorio del giudice in modo puramente apparente, perché la documentazione prodotta dall’unità sanitaria è incomprensibile oltre che incompleta (spesso non sono leggibili gli orari di entrata e di uscita) e non pone gli appellanti in grado di calcolare le ore di lavoro prestate; pertanto il giudice di primo grado avrebbe dovuto, in applicazione dell’articolo 116 del codice di procedura civile, ritenere provati i fatti affermati dai ricorrenti. 2) L’onere della prova incombeva all’amministrazione e non già ai ricorrenti, e l’amministrazione non ha assolto al proprio onere, non avendo prodotto nessun utile elemento di giudizio. DIRITTO
Gli appelli, proposti contro una sentenza non definitiva e la sentenza definitiva rese nello stesso giudizio, debbono essere riuniti e considerati come un unico appello contro la determinazioni assunte dal giudice di primo grado. I due motivi dell’appello 220/1998, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati, non potendosi condividere l’affermazione del primo giudice, che siano i dipendenti ospedalieri a dover dimostrare l’infondatezza della pretesa di recupero. In generale, chi ha pagato a titolo di adempimento di una determinata obbligazione pecuniaria, e voglia conseguire una parziale restituzione allegando di aver commesso un errore nella quantificazione, ha l’onere di dimostrare l’indebito pagamento ossia l’errore; e non è il debitore a dover dimostrare l’esattezza del pagamento e l’infondatezza della domanda di restituzione. La predetta applicazione della regola dell’onere della prova, che costituisce un comportamento automatico nei rapporti sociali, applicata a un recupero di retribuzioni effettuate dall’amministrazione datrice di lavoro relativamente a prestazioni lavorative pregresse comporta che sia l’amministrazione a dover dimostrare l’esistenza dell’indebito e la fondatezza della pretesa di recupero, e non il dipendente a dover dimostrare l’infondatezza del recupero e l’esattezza delle retribuzioni a suo tempo ricevute (ad anni di distanza); in particolare quando, come nel caso della complessa disciplina nella quale consiste l’istituto retributivo del “plus orario”, la quantificazione del debito dipenda da calcoli, i cui elementi sono nella disponibilità dell’amministrazione ospedaliera debitrice. Nella specie, l’amministrazione non ha mai assolto a tale onere, che concretamente consiste nel porre a confronto la quantificazione del dovuto, con i relativi elementi di calcolo corredati da tutte le specificazioni quantitative e temporali occorrenti per poterli controllare, e le somme corrisposte. L’accoglimento della doglianza di difetto di motivazione in ordine all’esistenza del credito dell’amministrazione (cioè di mancata dimostrazione dell’esistenza dell’indebito), comporta l’accoglimento della domanda dei ricorrenti e assorbe ogni altra questione, compresa quella della parziale tardività del ricorso, affermata nella sentenza non definitiva. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in € 1.500 per il giudizio di primo grado e 2.500 per i giudizi d’appello.
Per questi motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
riunisce i procedimenti 8105/1998 e 220/1998, accoglie gli appelli e per l’effetto, in riforma delle sentenze indicate in epigrafe, dichiara non dovuta la restituzione chiesta con i provvedimenti impugnati.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in quattromila euro, a favore solidale degli appellanti.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2003 dal collegio costituito dai signori: Agostino Elefante presidente Raffaele Carboni componente estensore Corrado Allegretta componente Paolo Buonvino componente Claudio Marchitiello componente L’ESTENSORE IL PRESIDENTE f.to Raffaele Carboni f.to Agostino Elefante IL SEGRETARIO f.to Luciana Franchini DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14 Maggio 2003 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE f.to Antonio Natale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 8105/96 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta
N. 220/98 REG.RIC.
ha pronunciato la seguente DECISIONE
sui ricorsi in appello proposti dai signori: Piergiovanni SORIANI, Rosanna GIANMATTEI, Dante TAGLIAFERRI, Ferdinando CRUDELI, Claudio VANNUCCI e Silvano MATTEUCCI (residenze non indicate), difesi dall’avvocato Giulio Padoa e domiciliati in Roma, Lungotevere Michelangelo 9, presso il dottor Gian Marco Grez; contro AZIENDA SANITARIA LOCALE N. 13 della Toscana “Area Livornese”, con sede in Livorno, non costituitasi in giudizio; e Azienda USL n. 6 di Livorno costituitasi in giudizio, nel solo procedimento 220/1998, in persona del dottor D. Di Bisceglie, difesa dall’avvocato Alberto Azzera e domiciliata in Roma, via Giunio Buzzoni 3, presso lo studio dell’avvocato Paolo Accardo; per l’annullamento 1) (procedimento 8105/1996) della sentenza non definitiva 12 luglio 1995 n. 397, con la quale il tribunale amministrativo regionale per la Toscana, seconda sezione, ha in parte dichiarato irricevibile e in parte respinto la domanda di riconoscimento del diritto dei ricorrenti a trattenere le somme conseguite a titolo di compartecipazione, chieste loro in restituzione dall’unità sanitaria locale n. 13 con atti del comitato di gestione e dell’amministratore straordinario emanati tra il giugno 1988 e il febbraio 1994. 2) (procedimento 220/1998) della sentenza 21 luglio 1997 n. 421, con la quale il tribunale amministrativo regionale per la Toscana, seconda sezione, ha respinto definitivamente la domanda predetta. Visto il ricorso in appello 8105/1996, notificato il 9 e depositato il 24 ottobre 1996; visto il ricorso in appello 220/1998, notificato il 5 e depositato il 12 gennaio 1998; visto il controricorso dell’unità sanitaria locale nel procedimento 220/1998, depositato il 25 marzo 1998; visti gli atti tutti della causa; relatore, all’udienza del 14 marzo 2003, il consigliere Raffaele Carboni, e udito altresì l’avvocato Athena Lorizio, in sostituzione degli avvocati Padoa e Iaria; ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO
Gli appellanti, medici dipendenti dell’unità sanitaria locale di Livorno, nel 1994 si sono visti decurtare le retribuzioni per una trattenuta di “recupero compartecipazioni”, diretta a recuperare importi complessivi specificati per ciascuno in allegato al prospetto della retribuzione di febbraio e varianti da cinque a dodici milioni di lire circa, suddivisi in rate mensili varianti da quattro a quattordici mesi. Con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Toscana notificato il 18 luglio 1994 hanno impugnato i provvedimenti, loro sconosciuti, con i quali l’amministrazione aveva disposto i recuperi. L’amministrazione in vista della camera di consiglio del 22 settembre 1994 fissata per l’esame dell’istanza cautelare ha depositato in giudizio sette tra deliberazioni del comitato di gestione e provvedimenti dell’amministratore straordinario, emanati tra il giugno 1988 e il febbraio 1994, con i quali era stato disposto l’accertamento delle ore di plus-orario (cioè di ore di lavoro in più dell’ordinario pagate in acconto) non effettuate. I ricorrenti con atto notificato il 26 settembre 1994 hanno formulato otto motivi aggiunti, che si possono riassumere come segue. 1) La verifica era errata; 2) il recupero era immotivato, non potendosene comprendere le ragioni; 3) la disciplina del plus-orario, contenuta negli accordi collettivi, prevede che l’amministrazione verifichi trimestralmente le ore effettuate onde consentire agli interessati nel trimestre successivo, sicché, in mancanza di tempestiva verifica, non è poi consentito all’amministrazione di operare un recupero successivo; 4) L’amministrazione non ha tenuto conto del fatto che i ricorrenti hanno ricevuto i compensi, anche a conguaglio, in buona fede; 5) l’amministrazione ha omesso di dare avviso dell’avvio del procedimento di recupero; 6) il recupero era in ogni caso illegittimo per le sue modalità gravose e perché superava la quinta parte dello stipendio; 7) Il recupero era stato effettuato al lordo anziché al netto delle ritenute di legge (i motivi sesto e settimo sono stati dedotti in via gradatamente subordinata); 8) per parte delle somme era maturata la prescrizione. Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe ha dichiarato tardiva l’impugnazione relativa all’entità del recupero (per «tutte le questioni che non investano l’an debeatur ossia all’esistenza dell’indebito oggettivo»), e cioè i motivi secondo, quarto, quinto e sesto (prima parte), facendo decorrere il termine per l’impugnazione dei provvedimento dall’ultimo giorno della loro pubblicazione all’albo dell’amministrazione ospedaliera. Sui restanti motivi (primo, terzo, seconda parte del sesto, settimo e ottavo), che ha qualificato come domanda (di accertamento negativo del debito di restituzione) proponibile nel termine decennale, il giudice di primo grado ha provveduto accogliendo in parte, e solo per la ricorrente dottoressa Gianmattei, l’eccezione di prescrizione contenuta nell’ottavo motivo, e respingendo il terzo, la restante parte del sesto e il settimo motivo. In particolare ha stabilito che il recupero non superava la quinta parte della retribuzione, che è legittimo il recupero al lordo, restando a carico dei ricorrenti di richiedere alle competenti amministrazioni la restituzione delle ritenute tributarie e previdenziali, che l’obbligo delle verificazioni trimestrali o semestrali del plus-orario effettuato non fa venir meno il potere di recuperare, anche successivamente, le eventuali somme indebitamente corrisposte. Restando da esaminare il primo motivo, con il quale i ricorrenti sostenevano l’inesistenza del debito verso l’amministrazione, il tribunale amministrativo regionale ha disposto istruttoria, ordinando all’amministrazione di produrre i cartellini di registrazione delle presenze giornaliere dei ricorrenti insieme con un riepilogo delle ore di lavoro prestate da ciascuno dei ricorrenti in plus-orario. I dottori Soriani, Gianmattei, Tagliaferro, Crudeli, Vannucci e Matteucci hanno proposto appello contro la parte decisoria della sentenza, censurando come errata e contraddittoria la pronuncia di parziale inammissibilità del ricorso e riproponendo i motivi respinti. Pervenuti i documenti richiesti, prodotti dall’amministrazione ospedaliera insieme con alcuni tabulati, all’udienza di discussione la difesa dei ricorrenti ha fatto presente che le era impossibile interpretare i dati contenuti nei tabulati trasmessi dall’amministrazione. Il tribunale amministrativo regionale, con la sentenza definitiva specificata in epigrafe, ha respinto anche il primo motivo di ricorso, affermando che i ricorrenti avevano l’onere, in séguito alla produzione dei documenti, di specificare la propria domanda, nonché di provare l’inesattezza del recupero. Appellano i medici sopra nominati, deducendo i motivi seguenti. 1) L’amministrazione ha adempiuto all’ordine istruttorio del giudice in modo puramente apparente, perché la documentazione prodotta dall’unità sanitaria è incomprensibile oltre che incompleta (spesso non sono leggibili gli orari di entrata e di uscita) e non pone gli appellanti in grado di calcolare le ore di lavoro prestate; pertanto il giudice di primo grado avrebbe dovuto, in applicazione dell’articolo 116 del codice di procedura civile, ritenere provati i fatti affermati dai ricorrenti. 2) L’onere della prova incombeva all’amministrazione e non già ai ricorrenti, e l’amministrazione non ha assolto al proprio onere, non avendo prodotto nessun utile elemento di giudizio. DIRITTO
Gli appelli, proposti contro una sentenza non definitiva e la sentenza definitiva rese nello stesso giudizio, debbono essere riuniti e considerati come un unico appello contro la determinazioni assunte dal giudice di primo grado. I due motivi dell’appello 220/1998, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati, non potendosi condividere l’affermazione del primo giudice, che siano i dipendenti ospedalieri a dover dimostrare l’infondatezza della pretesa di recupero. In generale, chi ha pagato a titolo di adempimento di una determinata obbligazione pecuniaria, e voglia conseguire una parziale restituzione allegando di aver commesso un errore nella quantificazione, ha l’onere di dimostrare l’indebito pagamento ossia l’errore; e non è il debitore a dover dimostrare l’esattezza del pagamento e l’infondatezza della domanda di restituzione. La predetta applicazione della regola dell’onere della prova, che costituisce un comportamento automatico nei rapporti sociali, applicata a un recupero di retribuzioni effettuate dall’amministrazione datrice di lavoro relativamente a prestazioni lavorative pregresse comporta che sia l’amministrazione a dover dimostrare l’esistenza dell’indebito e la fondatezza della pretesa di recupero, e non il dipendente a dover dimostrare l’infondatezza del recupero e l’esattezza delle retribuzioni a suo tempo ricevute (ad anni di distanza); in particolare quando, come nel caso della complessa disciplina nella quale consiste l’istituto retributivo del “plus orario”, la quantificazione del debito dipenda da calcoli, i cui elementi sono nella disponibilità dell’amministrazione ospedaliera debitrice. Nella specie, l’amministrazione non ha mai assolto a tale onere, che concretamente consiste nel porre a confronto la quantificazione del dovuto, con i relativi elementi di calcolo corredati da tutte le specificazioni quantitative e temporali occorrenti per poterli controllare, e le somme corrisposte. L’accoglimento della doglianza di difetto di motivazione in ordine all’esistenza del credito dell’amministrazione (cioè di mancata dimostrazione dell’esistenza dell’indebito), comporta l’accoglimento della domanda dei ricorrenti e assorbe ogni altra questione, compresa quella della parziale tardività del ricorso, affermata nella sentenza non definitiva. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in € 1.500 per il giudizio di primo grado e 2.500 per i giudizi d’appello.
Per questi motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,
riunisce i procedimenti 8105/1998 e 220/1998, accoglie gli appelli e per l’effetto, in riforma delle sentenze indicate in epigrafe, dichiara non dovuta la restituzione chiesta con i provvedimenti impugnati.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in quattromila euro, a favore solidale degli appellanti.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2003 dal collegio costituito dai signori: Agostino Elefante presidente Raffaele Carboni componente estensore Corrado Allegretta componente Paolo Buonvino componente Claudio Marchitiello componente L’ESTENSORE IL PRESIDENTE f.to Raffaele Carboni f.to Agostino Elefante IL SEGRETARIO f.to Luciana Franchini DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14 Maggio 2003 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) IL DIRIGENTE f.to Antonio Natale