26.06.03 free
TRIBUNALE di CATANZARO - (sull'esercizio del tipico ius variandi imprenditoriale, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, con immediati effetti sulla posizione dei lavoratori; sul mancato accoglimento della azione di reintegrazione)
TRIBUNALE DI CATANZARO
sentenza 8 maggio 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Catanzaro Dott. Mario Santoemma ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa di lavoro iscritta al n. 2053 R. G. per l’anno 2000 avente ad oggetto: reintegra incarico, vertente tra
PR, rappresentato e difeso dall’Avv. GS ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Catanzaro in virtù di mandato a margine del ricorso introduttivo. ricorrente
contro
A.S.L. n. 7 di Catanzaro in persona del Direttore Generale legale rappresentante pro-tempore, elett/te dom/ta in Catanzaro presso la propria sede alla via V. Cortese n. 10 e rappresentata e difesa dagli Avv. LC e NF, giusta procura a margine della comparsa di risposta. resistente
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in cancelleria in data 5/06/00, il ricorrente chiedeva, previo accertamento dell’illegittimità, la disapplicazione della deliberazione n. 3607/CS del 30/12/99 e di ogni altro provvedimento presupposto connesso e collegato, la condanna della ASL n. 7 Catanzaro alla reintegra nell’incarico affidatogli con la deliberazione n. 4083 del 30/11/98, al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa.
Con vittoria delle spese di giudizio.
A tal fine esponeva che:
Quale dipendente dell’ASL n. 7 di Catanzaro, già dirigente medico di 1^ livello e specialista in medicina legale, veniva incaricato della presidenza della Commissione medico-legale per l’accertamento dell’invalidità civile, Distretto n. 2, con delibera del 30/11/98 n. 4083.
Con successiva delibera n. 3607 del 30.12.99 avente ad oggetto "Riorganizzazione attività medico legale del Dipartimento di Prevenzione attinente gli accertamenti dell’invalidità civile. Riorganizzazione commissioni", l’incarico predetto gli veniva revocato.
Tale disposizione aziendale era da ritenersi illegittima, per violazione dell’art. 7 l. 241/90, violazione delle norme di contratto per la dirigenza sanitaria, violazione della l.r. 5/5/90, n. 53 e per l’assoluto difetto di motivazione.
Dalla revoca del predetto incarico aveva subito un danno economico, derivante dalla lesione dell’immagine professionale e dalla mancanza del trattamento retributivo connesso alla prestazione de quo.
Si costituiva l’A.S.L. n. 7 Catanzaro e chiedeva il rigetto della domanda, con vittoria di spese.
A sostegno deduceva che:
Gli atti impugnati erano da considerarsi pienamente legittimi in quanto espressione, per un verso, del potere di organizzazione dei pubblici uffici spettante alla P.A., per l’altro del potere dell’imprenditore di organizzare la struttura aziendale.
Inoltre il provvedimento impugnato era pienamente legittimo in forza dell’art. 19 d.lgs. n. 29/93.
Istruita documentalmente, all’udienza dell’8/05/01, previo deposito di note, la causa veniva decisa con stesura del dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda non è fondata e va pertanto rigettata.
Pregiudizialmente, pare opportuno al giudicante, quale indispensabile premessa metodologica che consenta un corretto approccio alla vicenda processuale, richiamare il principio ormai più volte ribadito dalla Suprema Corte secondo il quale in ossequio alla privatizzazione del pubblico impiego, "Una volta fondato il rapporto di lavoro su base paritetica, ad esso rimane estranea ogni connotazione autoritativamente discrezionale......e l’Amministrazione opera coi poteri del privato datore di lavoro, adottando tutte le misure inerenti all’organizzazione ed alla gestione dei rapporti....". ( Cass. Sez. Un., 24/02/200, n. 41 ).
Tali principio si attaglia perfettamente alla questione in esame, ove l’amministrazione, nell’esercizio di propri poteri ed a mezzo di propri atti deliberativi, esercita il tipico ius variandi imprenditoriale nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, con immediati effetti sulla posizione dei lavoratori.
Tale premessa consente di esaminare la prima doglianza del ricorrente, inerente la violazione della l. 241/90.
Ed infatti, nello svolgimento del rapporto, assoggettato alla disciplina del codice civile e dalle leggi speciali per i rapporti di lavoro nell’impresa privata, ai sensi dell’art. 2 c. 2, d. lgs. 3/2/93 n. 29, la P.A. agisce con i poteri del privato datore di lavoro e i suoi atti di gestione del personale, svuotati di ogni contenuto autoritativo, sono atti di diritto privato non soggetti alla disciplina dettata dalla l. 241/90 per il procedimento finalizzato all’adozione di provvedimenti amministrativi.
Tale normativa, infatti, mira a contemperare l’esercizio di poteri autoritativi della P.A. quando essi si relazionano con le posizioni dei privati ed a recuperare il principio della partecipazione nella gestione della cosa pubblica.
Tale ratio, non risulta trasponibile sic et simpliciter nell’ambito di un rapporto a contenuto tipicamente privatistico nel cui ambito il giudice non è chiamato a sindacare la legittimità degli atti secondo lo schema classico del diritto amministrativo, dei vizi ( violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere ) bensì ad accertare l’esistenza del diritto azionato dalla parte.
In tale prospettiva, il linea di principio, corretto pare il richiamo alle norme contrattuali operato dal ricorrente.
Ma purtuttavia, atteso che lo stesso ricorrente precisa che, nel caso de quo, non ci si trova dinanzi alla revoca dell’incarico dirigenziale, non possono essere applicate le norme del CCNL chiamate a disciplinare l’affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali.
Ed infatti nella fattispecie, il ricorrente non lamenta la revoca dell’incarico dirigenziale nel suo complesso, bensì la circostanza che nell’ambito delle mansioni afferenti la sua qualifica dirigenziale, il datore di lavoro, riorganizzando il servizio, o anche il settore aziendale, lo abbia privato di uno degli incarichi prima affidato (Presidente commissioni invalidi civili ).
Alla luce di tale inquadramento della vicenda processuale, così prospettata dallo stesso ricorrente, le norme degli artt. 53 e 59 del CCNL non sono applicabili poichè strettamente poste a disciplinare l’affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali nella loro interezza.
L’attività svolta dall’azienda nella fattispecie, va invece collocata nell’ambito dello ius variandi orizzontale del datore di lavoro, cui è riconosciuto il potere di modificare a parità di qualifica, le mansioni del lavoratore ferma restando la loro equivalenza e l’irriducibilità della retribuzione.
Ed infatti, con l’atto de quo, al ricorrente è stato conferito l’incarico di presiedere la Commissione Ciechi Civili.
Ma trattandosi di dipendente pubblico con incarico dirigenziale, ai sensi dell’art. 19 comma 1 d. lgs. 29/93, occorre applicare ".........di norma il criterio della rotazione degli incarichi. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’art. 2103, primo comma, del codice civile in relazione all’equivalenza delle mansioni".
Pertanto per tale tipo di lavoratori, i cui profili professionali si connotano per una spiccata autonomia nell’esecuzione della prestazione valutabile in termini di conseguimento degli obiettivi preposti, più accentuata risulta la mobilità che consenta loro l’acquisizione di un’ ampia gamma di esperienze professionali.
Neppure pare azionabile dal ricorrente la dedotta violazione dell’art. 1 l.r. 5/5/90 nella parte in cui statuisce che "le funzioni di medicina legale, fra le quali rientrano gli accertamenti in materia di invalidità civile, attribuite alle USL vengono svolte attraverso l’unità operativa di medicina legale" mentre "con la delibera oggetto di impugnazione, il programma di funzionamento delle citate commissioni è demandato al Responsabile del Dipartimento di Prevenzione".
Ed infatti nell’esposizione di tale doglianza il ricorrente incorre in più equivoci sia strutturali perchè afferenti alla enucleazione della domanda dinanzi al G.O., sia sostanziali perchè afferenti alla posizione giuridica azionata.
Muovendo da tale ultimo profilo, occorre ribadire che l’oggetto del giudizio dinanzi al G.O. non può prescindere dall’accertamento del diritto fatto valere con la domanda.
Ai fini di tale accertamento, occorre inevitabilmente andare a ricercare le norme generali o contrattuali che tale diritto attribuiscono all’attore e solo una volta conclusa con esito positivo tale operazione pregiudiziale sarà possibile invocare, esclusivamente in via incidentale la disapplicazione degli "atti amministrativi presupposti .......se illegittimi" ( art. 68 d. lgs. n. 29/93 )
Ne consegue che il giudizio dinanzi al G.O. non può avere contenuto impugnatorio di un atto ma afferisce al rapporto, di talchè l’atto rimane sullo sfondo ed il giudice potrà conoscerne esclusivamente i profili di illegittimità strettamente connessi ed eventualmente confliggenti con il diritto azionato, ma non quelli derivanti dalla violazione di norme poste a tutela di interessi generali ( interessi legittimi veri e propri ).
Tale equivoco traspare dalla stessa descrizione del ricorso, laddove si precisa che la invocata normativa regionale opera scelte nell’assegnazione delle funzioni al Dipartimento di Prevenzione chiamato ad operare "nell’interesse della collettività e sanità pubblica".
Deve pertanto desumersi che, nella parte in cui il ricorrente si duole dell’illegittimità di un "atto di organizzazione" denunciandone i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, non è titolare di posizioni soggettive tutelabili autonomamente dinanzi al G.O..
Nel caso de quo l’atto deliberativo impugnato ha ad oggetto la " riorganizzazione attività medico legale del Dipartimento di Prevenzione attinenti gli accertamenti dell’invalidità civile. Riorganizzazione Commissioni", per cui trattasi senza alcun dubbio di atto di organizzazione.
Ed allora occorre individuare "la causa petendi" posta a fondamento della domanda, per cui se essa si articola, come nella prima parte del ricorso, sulla violazione di puntuali ed esclusive posizioni soggettive del ricorrente ( diritto alle mansioni o altri diritti soggettivi scaturenti dal rapporto ) la cognizione appartiene al G.O. chiamato a ricercare nell’ordinamento generale e contrattuale le norme poste a base della pretesa ed ad esercitare il potere incidentale di disapplicazione.
Ma se le doglianze lamentate dal ricorrente, (vedi la seconda parte del ricorso) si riferiscano a norme poste nell’interesse generale, la giurisdizione non può appartenere al G. O. bensì al G. A., poichè il privato si trova dinanzi la P.A. che, nell’espletamento di propri poteri di organizzazione delle funzioni affidate dalla legge nell’interesse generale, assume posizione autoritativa rispetto ai destinatari degli atti amministrativi, esercitando, in applicazione di apposite norme, la propria discrezionalità.
Discrezionalità, che nell’ambito dei poteri di organizzazione conferiti dalle norme di legge, ha indotto l’amministrazione nel caso di specie alla dedotta riorganizzazione.
Tale attività amministrativa è sottratta al sindacato del giudice ordinario anche a seguito della recente riforma di cui al Decreto Legislativo del 31/03/98.
Ed infatti, l’art. 68 del citato decreto nel precisare che: "Sono devolute la giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (…) ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti" e che: "Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini delle decisone, il giudice li disapplica, se illegittimi", ha, in puntuale ossequio dei principi costituzionali in materia, sottratto al sindacato del G.O. l’attività di organizzazione della P.A., limitando alla cognizione incidentale degli atti ed alla loro eventuale disapplicazione i poteri dello stesso, allorchè i profili di illegittimità dedotti ne evidenzino il conflitto con diritti soggettivi dei dipendenti.
L’equivoco appena illustrato si manifesta con evidenza nella circostanza che il ricorrente, proprio in ragione di esso, formula in via principale la richiesta di declaratoria di illegittimità della delibera che impugna e di disapplicazione della stessa.
E’ invece pacifico che il G.O. esercita il potere di disapplicazione in via incidentale, allorchè deve accertare l’esistenza del diritto azionato dal ricorrente, che sempre deve costituire l’oggetto principale del giudizio su cui è chiamato a delibare.
La domanda deve pertanto essere rigettata, pur sussistendo, in relazione alla novità delle questioni esaminate, giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
P. Q. M.
Il Giudice del Lavoro,
definitivamente pronunciando; nel contraddittorio delle parti; ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa;
- rigetta la domanda;
- compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.
Catanzaro 8/05/01
Il Giudice del Lavoro
Dr. Mario Santoemma