08.07.2005 free
CORTE di GIUSTIZIA - (Libera circolazione delle merci - Distinzione tra medicinali e derrate alimentari - Prodotto immesso in commercio come integratore alimentare nello Stato membro di origine, ma considerato come medicinale nello Stato membro di importazione)
CORTE di GIUSTIZIA (Prima Sezione)
9 giugno 2005
«Libera circolazione delle merci – Distinzione tra medicinali e derrate alimentari – Prodotto immesso in commercio come integratore alimentare nello Stato membro di origine, ma considerato come medicinale nello Stato membro di importazione – Autorizzazione all’immissione in commercio»
Nei procedimenti riuniti C‑211/03, C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03, aventi ad oggetto talune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (Germania), con decisioni, rispettivamente, 7 maggio, 4, 3, 7 e 8 luglio 2003, pervenute in cancelleria il 15 maggio, l’11 e il 24 luglio 2003, nelle cause HLH Warenvertriebs GmbH (C‑211/03) e Orthica BV (C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03) contro Repubblica federale di Germania, con l’intervento di: Der Vertreter des öffentlichen Interesses beim Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen,
LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues (relatore), M. Ilešič e E. Levits, giudici, avvocato generale: sig. L. A. Geelhoed cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 dicembre 2004, considerate le osservazioni presentate: – per la HLH Warenvertriebs GmbH e la Ortica BV, dagli avv.ti M. Forstmann e T. Büttner, Rechtsanwälte, – per la Repubblica federale di Germania, dal sig. G. Preußendorff e dalla sig.ra U. Stöhr, in qualità di agenti, – per il governo spagnolo, dalla sig.ra L. Fraguas Gadea e dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agenti, – per il governo svedese, dalla sig.ra K. Wistrand, in qualità di agente, – per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra M.‑J. Jonczy e dal sig. H. Krämer, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 febbraio 2005, ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 28 CE e 30 CE, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GU L 43, pag. 1), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311, pag. 67), del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1), nonché della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari (GU L 183, pag. 51).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito delle controversie tra la HLH Warenvertriebs GmbH (in prosieguo: la «HLH») e la Orthica BV (in prosieguo: la «Orthica»), da un lato, e la Repubblica federale di Germania, dall’altro, con riguardo alla qualificazione di taluni prodotti come derrate alimentari ovvero come medicinali ai fini della loro immissione in commercio sul territorio tedesco.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 A termini dell’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 258/97: «1. Il presente regolamento ha per oggetto l’immissione sul mercato comunitario di nuovi prodotti e di nuovi ingredienti alimentari. 2. Il presente regolamento si applica all’immissione sul mercato della Comunità di prodotti e ingredienti alimentari non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità e che rientrano in una delle seguenti categorie: a) prodotti e ingredienti alimentari contenenti o costituiti da organismi geneticamente modificati ai sensi della direttiva 90/220/CEE; b) prodotti e ingredienti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono; c) prodotti e ingredienti alimentari con una struttura molecolare primaria nuova o volutamente modificata; d) prodotti e ingredienti alimentari costituiti o isolati a partire da microorganismi, funghi o alghe; e) prodotti e ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti alimentari isolati a partire da animali, esclusi i prodotti e gli ingredienti alimentari ottenuti mediante pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato; f) prodotti e ingredienti alimentari sottoposti ad un processo di produzione non generalmente utilizzato, per i quali tale processo comporti nella composizione o nella struttura dei prodotti o degli ingredienti alimentari cambiamenti significativi del valore nutritivo, del loro metabolismo o del tenore di sostanze indesiderabili». 4 L’art. 3, nn. 1 e 2, del regolamento medesimo, così recita: «1. I prodotti o ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento non devono: – presentare rischi per il consumatore; – indurre in errore il consumatore; – differire dagli altri prodotti o ingredienti alimentari alla cui sostituzione essi sono destinati, al punto che il loro consumo normale possa comportare svantaggi per il consumatore sotto il profilo nutrizionale. 2. Ai fini dell’immissione sul mercato della Comunità dei prodotti e ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento si applicano le procedure previste agli agricoli 4, 6, 7 e 8 in base ai criteri definiti al paragrafo 1 del presente articolo ed agli altri fattori pertinenti menzionati in tali articoli. (…)» 5 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/83 definisce la «specialità medicinale» come «ogni medicinale precedentemente preparato, immesso in commercio con una denominazione speciale ed in una confezione particolare». 6 Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della detta direttiva, per «medicinale» si intende, in primo luogo, «ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane» e, in secondo luogo, «ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo è altresì considerata medicinale». 7 A termini dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2001/83: «1. Nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un’autorizzazione all’immissione in commercio delle autorità competenti di detto Stato membro rilasciata a norma della presente direttiva oppure senza un’autorizzazione a norma del regolamento (CEE) n. 2309/93 [del Consiglio, 22 luglio 1993, che stabilisce le procedure comunitarie per l’autorizzazione e la vigilanza dei medicinali per uso umano e veterinario e che istituisce un’Agenzia europea di valutazione dei medicinali (GU L 214, pag. 1)]». 8 L’art. 26 della medesima direttiva dispone quanto segue: «L’autorizzazione all’immissione in commercio è rifiutata quando dopo verifica delle informazioni e dei documenti elencati all’articolo 8 e all’articolo 10, paragrafo 1, risulti quanto segue: a) il medicinale è nocivo nelle normali condizioni d’impiego, oppure b) l’effetto terapeutico del medicinale manca o è stato insufficientemente giustificato dal richiedente, oppure c) il medicinale non presenta la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata. L’autorizzazione è ugualmente rifiutata qualora la documentazione e le informazioni presentate a corredo della domanda non siano conformi all’articolo 8 e all’articolo 10, paragrafo 1». 9 A termini del successivo art. 29, nn. 1 e 2: «1. Quando uno Stato membro ritenga che vi siano fondati motivi di presumere che l’autorizzazione del medicinale interessato presenti un rischio per la sanità pubblica, esso ne informa immediatamente il richiedente, lo Stato membro di riferimento, gli altri Stati membri interessati alla domanda e l’Agenzia. Lo Stato membro fornisce una motivazione approfondita della propria posizione ed indica i provvedimenti idonei a correggere le insufficienze della domanda. 2. Tutti gli Stati membri interessati si adoperano per giungere ad un accordo sulle misure da prendere in merito alla domanda. Essi consentono al richiedente di presentare verbalmente o per iscritto il suo punto di vista. Tuttavia, se entro il termine di cui all’articolo 28, paragrafo 4, non hanno raggiunto un accordo, gli Stati membri ne informano senza indugio l’Agenzia [europea di valutazione dei medicinali, istituita dall’art. 49, primo comma, del regolamento n° 2309/93] allo scopo di adire il comitato [per le specialità medicinali, istituito con l’art. 27, n. 1, della direttiva 2001/83], per l’applicazione della procedura di cui all’articolo 32». 10 L’art. 2 del regolamento n. 178/02 così prevede: «Ai fini del presente regolamento si intende per “alimento” (o “prodotto alimentare”, o “derrata alimentare”) qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Esso include l’acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all’articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE e 98/83/CE. Non sono compresi: (…) d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE [26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali (GU 1965, 22, pag. 369)] e 92/73/CEE [22 settembre 1992, che amplia il campo d’applicazione delle direttive 65/65/CEE e 75/319/CEE concernenti il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative ai medicinali e che fissa disposizioni complementari per i medicinali omeopatici (GU L 297, pag. 8)]; (…)» 11 Le summenzionate direttive 65/65 e 92/73 sono state codificate dalla direttiva 2001/83. 12 L’art. 14 del regolamento n. 178/02, intitolato «Requisiti di sicurezza degli alimenti», così recita: «1. Gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. (…) 7. Gli alimenti conformi a specifiche disposizioni comunitarie riguardanti la sicurezza alimentare sono considerati sicuri in relazione agli aspetti disciplinati dalle medesime. 8. Il fatto che un alimento sia conforme alle specifiche disposizioni ad esso applicabili non impedisce alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati per imporre restrizioni alla sua immissione sul mercato o per disporne il ritiro dal mercato qualora vi siano motivi di sospettare che, nonostante detta conformità, l’alimento è a rischio. 9. In assenza di specifiche disposizioni comunitarie, un alimento è considerato sicuro se è conforme alle specifiche disposizioni della legislazione alimentare nazionale dello Stato membro sul cui territorio è immesso sul mercato, purché tali disposizioni siano formulate e applicate nel rispetto del trattato, in particolare degli articoli 28 e 30 del medesimo». 13 L’art. 1 della direttiva 2002/46 dispone quanto segue: «1. La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali. Tali prodotti sono forniti al consumatore solo preconfezionati. 2. Esulano dal campo di applicazione della presente direttiva i medicinali definiti dalla direttiva 2001/83 (…)». 14 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2002/46 definisce il termine «integratori alimentari» come «i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio (…)». Le «sostanze nutritive» sono definite all’art. 2, lett. b), della detta direttiva, come le vitamine e i minerali. 15 A termini dell’art. 5, n. 1, della direttiva medesima: «1. I livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari per ogni dose giornaliera raccomandata dal fabbricante sono stabiliti tenendo conto di quanto segue: a) i livelli tollerabili di vitamine e minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti, tenendo conto, se del caso, dei livelli variabili di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori; b) l’apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari». 16 L’art. 12, nn. 1 e 2, della detta direttiva così recita: «1. Se uno Stato membro, in base a nuovi dati o ad un riesame di dati preesistenti effettuato successivamente all’adozione della presente direttiva o di disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa, constata con motivazione circostanziata che un prodotto di cui all’articolo 1, pur ottemperando a dette disposizioni, presenta un pericolo per la salute umana, può in via provvisoria sospendere o limitare l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi nel proprio territorio. Esso ne informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri, precisando i motivi che giustificano la decisione. 2. La Commissione esamina quanto prima i motivi addotti dallo Stato membro interessato e consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, quindi emette tempestivamente un parere e prende i provvedimenti del caso». 17 Ai sensi dell’art. 15, primo comma, della direttiva 2002/46, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per conformarsi alla direttiva medesima entro il 31 luglio 2003.
La normativa nazionale
18 L’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari e sui prodotti di uso corrente (Lebensmittel- und Bedarfsgegenständegesetz, in prosieguo: la «legge sulle derate alimentari»), così recita: «(1) In deroga all’art. 47, § 1, primo periodo, i prodotti di cui alla presente legge, regolarmente fabbricati e immessi in commercio in un altro Stato membro della Comunità o in uno Stato facente parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo o provenienti da uno Stato terzo e regolarmente immessi in commercio in uno Stato membro della Comunità o in un altro Stato facente parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, possono essere introdotti e immessi in commercio nella Repubblica federale di Germania, ancorché non rispondenti alle norme relative ai prodotti alimentari della Repubblica federale di Germania. Il primo periodo non si applica ai prodotti che 1. non sono conformi ai divieti di cui agli artt. 8, 23 o 30, o 2. non soddisfano altre norme giuridiche adottate a fini di tutela della salute, laddove il carattere commercializzabile di tali prodotti nella Repubblica federale di Germania non sia stato riconosciuto, conformemente al § 2, per mezzo di pubblicazione nel Bundesanzeiger di una decisione di portata generale del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (Ufficio federale per la tutela dei consumatori e della sicurezza alimentare). (2) Le decisioni di portata generale ai sensi del § 1, secondo periodo, punto 2, sono adottate (…) a meno che ragioni imperative di tutela della salute non vi si oppongano. Tali decisioni devono essere richieste da chi intenda importare i prodotti nel paese. Nella valutazione dei rischi che un prodotto comporta per la salute, si tiene conto delle conoscenze della ricerca internazionale nonché, per le derrate alimentari, delle abitudini alimentari nella Repubblica federale di Germania. Le decisioni di portata generale hanno effetto, ai sensi del primo periodo, nei confronti di tutti gli importatori dei prodotti di cui trattasi provenienti da altri Stati membri delle Comunità europee o da Stati facenti parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo. (3) La domanda dev’essere corredata dalla descrizione esatta del prodotto, nonché dai documenti disponibili necessari ai fini della decisione (…) (4) In presenza di derrate alimentari che si discostino dalle disposizioni della presente legge o dai regolamenti adottati in esecuzione della stessa, occorre indicarlo in modo adeguato, laddove ciò sia necessario per la tutela del consumatore». 19 L’art. 73 della legge sui medicinali (Arzneimittelgesetz) prevede quanto segue: «(1) I medicinali assoggettati a licenza o a registrazione non possono essere introdotti nel territorio in cui la presente legge è applicabile – fatta eccezione per le zone franche diverse dall’isola di Helgoland – senza aver ottenuto la licenza o essere stati registrati per la circolazione nel detto territorio ovvero senza essere stati esentati dall’obbligo della licenza o della registrazione e alle seguenti condizioni: 1. se il prodotto è importato da un paese membro delle Comunità europee o da un altro Stato contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, il destinatario dev’essere imprenditore farmaceutico, grossista, veterinario ovvero gestore di una farmacia; 2. se il prodotto è importato da un altro paese, il destinatario deve disporre di un’autorizzazione ai sensi dell’art. 72. (…)»
Cause principali e questioni pregiudiziali
20 Nel 1995 e nel 1996, la HLH e la Ortica, intendendo importare in Germania taluni prodotti commercializzati nei Paesi Bassi come integratori alimentari e di immetterli, in quanto tali, sul mercato tedesco, chiedevano al Bundesministerium für Verbraucherschutz, Ernährung und Landwirtschaft (Ministero federale della tutela dei consumatori, del’alimentazione e dell’agricoltura), competente all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, di adottare una decisione di portata generale, ai sensi dell’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari, Si trattava dei seguenti prodotti: – nella causa C‑211/03, del lactobact omni FOS in polvere; un grammo di polvere contiene almeno un miliardo di germi provenienti dai seguenti ceppi batterici: lactobacillus acidophilus, lactococcus lactis, E. faecium, bifidobacterium bifidum, lactobacillus Casei e lactobacillus thermophilus; il consumo che si consiglia è di circa 2 grammi al giorno, disciolti in mezzo bicchiere di acqua o nello yogurt; in caso di fabbisogno aumentato e durante le prime quattro settimane la dose viene raddoppiata; – nella causa C‑299/03, di C-1000 in compresse contenenti, segnatamente, 1000 mg di vitamina C, 30 mg di citrusbioflavonoïdi, un complesso di Hesperidin-Rutine ed altri ingredienti; la dose consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑316/03, di OPC 85 in compresse contenenti, segnatamente, 50 mg di estratto di bioflavonolo - procianidina oligomero; la dose consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑317/03, di Acid Free C-1000 in compresse contenenti, segnatamente, 1110 mg di ascorbato di calcio, 1000 mg di vitamina C e 110 mg di calcio; la dose giornaliera consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑318/03, di E-400 in compresse contenenti 268 mg di vitamina E; la dose consigliata è di una compressa al giorno. 21 Il Bundesministerium für Gesundheit (ministero federale della salute), divenuto medio tempore competente in materia, respingeva la domanda di adottare le decisioni di portata generale motivando il proprio diniego, sostanzialmente, come segue: – con riguardo al procedimento C‑211/03, rilevando che non si trattava di una derrata alimentare, ma di un medicinale, dal momento che le colture batteriche utilizzate sono ricomprese, separatamente o congiuntamente, nella composizione dei medicinali gastro-enterologici; – con riguardo ai procedimenti C‑299/03 e C‑317/03, rilevando che non si trattava di una derrata alimentare di consumo corrente, dal momento che con l’assunzione di una compressa al giorno si eccedeva di almeno 13 volte la dose giornaliera di vitamina C attualmente consigliata in Germania e che ragioni imperative di tutela della salute si opponevano all’immissione nel mercato di tale prodotto; – con riguardo al procedimento C‑316/03, rilevando che i bioflavonoïdi contenuti nel prodotto, in forma isolata, non rispondevano prevalentemente a necessità alimentari o voluttuarie, dovendo essere invece considerati quali sostanze aventi un’azione farmacologia, e che ragioni imperative di tutela della salute ostavano all’immissione sul mercato di tale prodotto; – con riguardo al procedimento C‑318/03, rilevando che l’assunzione di una sola compressa al giorno implica il superamento di almeno 22 volte la dose giornaliera di vitamina E attualmente consigliata in Germania e che i risultati di studi recenti inducono a ritenere che un’assunzione prolungata ed elevata di vitamina E potrebbe produrre effetti nocivi sulla salute, sicché l’incertezza scientifica in tale settore osterebbe all’immissione nel mercato del prodotto. 22 La HLH e la Orthica presentavano ricorso avverso il diniego di adottare decisioni di portata generale per i prodotti indicati al precedente punto 20 dinanzi al Verwaltungsgericht Köln, il quale respingeva i rispettivi ricorsi con singole decisioni, sulla base del rilievo che i prodotti in questione non erano qualificabili come derrate alimentari, bensì come medicinali. 23 Avverso tali decisioni la HLH e la Orthica interponevano appello dinanzi all’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen. 24 Secondo il detto giudice, la decisione sull’appello dipende dall’interpretazione di varie disposizioni di diritto comunitario, segnatamente, degli artt. 28 CE e 30 CE, del regolamento n. 258/97, della direttiva 2001/83, del regolamento n. 178/2002 e della direttiva 2002/46. 25 Ciò premesso, l’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte, quanto alla causa C‑211/03, le seguenti questioni pregiudiziali: «1) a) Se il prodotto controverso, “lactobact omni FOS”, costituisca una derrata alimentare (eventualmente in forma di integratore alimentare) ovvero un medicinale e se tale classificazione valga per tutti gli Stati membri. b) Se ai fini della classificazione rilevi il fatto che il prodotto, secondo le istruzioni per l’uso, dev’essere diluito in acqua o in yogurt, o se il criterio sia quello dello stato del prodotto al momento dell’importazione. c) Ove la Corte dichiarasse che il prodotto in questione è un medicinale, continuando tuttavia ad essere una derrata alimentare negli Stati membri in cui sia stato già qualificato come tale, il giudice del rinvio si troverebbe di fronte alle problematiche sottese alla seconda questione, sub f), nel combinato disposto con la medesima questione, sub c); si fa pertanto rinvio alle questioni medesime nonché alla relativa esposizione, chiedendone alla Corte la soluzione. d) Nel caso in cui il “lactobact omni FOS” costituisca una derrata alimentare (un integratore alimentare), se esso sia un prodotto nuovo, ai sensi del regolamento n. 258/97 (…), e quale sia il rapporto intercorrente tra i diversi fondamenti normativi. 2) Nel caso in cui – come è avvenuto sino ad oggi – non spettasse alla Corte, ma ai giudici nazionali, pronunciarsi sulla prima questione, sub a)-d), si richiede tuttavia alla Corte di fornire le indicazioni che consentano di risolvere adeguatamente la prima questione, sub b), dal punto di vista del diritto comunitario, nella parte in cui esso è pertinente a tal riguardo. Vengono, inoltre, sottoposte alla Corte le seguenti questioni: a) i) Se la qualifica del prodotto controverso sia disciplinata dalle disposizioni dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento n. 178/2002 (…) ovvero – successivamente alla scadenza del termine di trasposizione, il 31 luglio 2003, – dalla direttiva 2002/46 (…) e, eventualmente, da quale parte della detta direttiva. ii) Nell’ipotesi in cui le disposizioni dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento [n. 178/2002] fossero applicabili, sorge la questione se sia esatto che non è più necessario riferirsi alla preminenza della destinazione (oggettiva) del prodotto, bensì che, al contrario, un prodotto che soddisfi al tempo stesso i requisiti per essere una derrata alimentare nonché quelli per essere un medicinale sia sempre ritenuto, dal punto di vista giuridico, unicamente un medicinale. A tal riguardo, in qual misura occorra riferirsi, rispettivamente, al tipo di prodotto e al prodotto concretamente in oggetto. b) Come debba essere definita dal punto di vista del diritto comunitario la nozione di «effetto farmacologico», determinante ai fini della classificazione del prodotto – segnatamente, ai sensi dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento [n. 178/2002]. In particolare, se rientri in tale definizione la necessità di un rischio per la salute. c) Se la tesi accolta dalla Corte nella sentenza 30 novembre 1983, causa C‑227/82, Van Bennekom (Racc. pag. 3883), al punto 39, con riguardo alla valutazione generica dei preparati vitaminici, secondo cui l’importazione di un prodotto commercializzabile come derrata alimentare nello Stato membro di produzione dev’essere possibile mediante il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio allorché il prodotto venga considerato come medicinale nello Stato membro di importazione, ma l’autorizzazione all’immissione in commercio sia compatibile con le esigenze di tutela della salute, si applichi parimenti ai prodotti del tipo di quelli oggetto della presente controversia, e se la Corte confermi la propria posizione alla luce della successiva evoluzione del diritto comunitario. d) i) Nella misura in cui occorre fare riferimento alla nozione di “rischio per la salute”, quale indicata nella seconda questione, sub b) e c), ovvero nel contesto di altre disposizioni pertinenti di diritto comunitario, ad esempio gli artt. 28 CE e 30 CE: Se occorra basarsi sul livello di sicurezza superiore, detto ‘upper safe level’, ovvero se tale limite debba essere mitigato, ad esempio perché le sostanze in oggetto vengono assunte semplicemente con l’alimentazione e/o perché – quantomeno in caso di assunzione protratta nel tempo – può essere necessario prendere in considerazione vari gruppi di consumatori e la loro differente sensibilità. ii) Se sia in contrasto con il diritto comunitario un margine di discrezionalità delle autorità competenti in materia che, ai sensi della normativa nazionale, sia assoggettato solo ad un controllo giurisdizionale parziale ai fini della fissazione – individuale – dell’“upper safe level” e, eventualmente, a deroghe – a livello individuale –. e) i) Se, ai fini della libertà di commercializzazione in Germania quale derrata alimentare (integratore alimentare) di un prodotto che possa essere immesso in commercio almeno in un altro Stato membro come derrata alimentare, sia determinante la circostanza che l’autorità tedesca competente dichiari, sostanzialmente, che in Germania non esista alcun “fabbisogno nutrizionale” per tale prodotto. ii) In caso di soluzione affermativa, se il margine di discrezionalità conferito a tal riguardo all’autorità competente dal diritto nazionale, assoggettato solo ad un controllo giurisdizionale parziale, sia compatibile con il diritto comunitario. f) Qualora la Corte risolvesse in senso affermativo la seconda questione, sub c), relativa alla causa Van Bennekom e non sussistesse nella presente controversia alcuna incompatibilità con le esigenze della tutela della salute, come possa essere attuato il diritto all’autorizzazione all’immissione in commercio. Se la domanda di decisione di portata generale, ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari], possa essere respinta senza violare il diritto comunitario, sulla base del rilievo che il prodotto, secondo i criteri di classificazione tedeschi, è un medicinale, laddove nello Stato membro di produzione può essere commercializzato come derrata alimentare. Se sia conforme al diritto comunitario, segnatamente agli artt. 28 CE e 30 CE, non applicare a tali medicinali, per analogia, l’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari]. In caso di soluzione negativa: se lo Stato tedesco, senza violare il diritto comunitario, possa sottrarsi all’ingiunzione del giudice tedesco di rilasciare una decisione di portata generale ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] (per analogia), rilevando che, essendo il prodotto un medicinale secondo la classificazione tedesca, allo Stato stesso, o all’autorità competente per i prodotti alimentari, ma non per i medicinali, non è consentito il rilascio di una decisione generale ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] (per analogia): i) poiché l’autorità preposta al rilascio delle decisioni generali in forza dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] è incompetente in materia di medicinali; ii) in ragione dell’assenza di una autorizzazione come medicinale. g) Nel caso in cui, alla luce delle soluzioni date dalla Corte, il prodotto controverso risultasse una derrata alimentare (eventualmente, un integratore alimentare), e comunque non un medicinale, il giudice nazionale dovrà pronunciarsi sull’applicabilità del regolamento [n. 258/97], prevalente rispetto all’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] e che, nella fattispecie, potrebbe vanificare l’interesse ad agire nell’ambito del presente ricorso. Il giudice del rinvio chiede pertanto: Come debba essere interpretato il passo ‘non ancora utilizzati in maniera significativa’, di cui all’art. 1, n. 2, del regolamento [n. 258/97]. Se sia sufficiente che la Gazzetta ufficiale olandese abbia pubblicato, in data 16 febbraio 1995, l’autorizzazione all’immissione in commercio di una sostanza probiotica chiamata ‘Ecologic 316’, paragonabile al prodotto controverso, e che, come risulta della fattura del 20 maggio 1996, la ricorrente abbia ricevuto una fornitura di Ecologic 316, ovvero quali siano i requisiti minimi che devono essere soddisfatti per poter presumere la sussistenza di un’utilizzazione in misura significativa, ai sensi dell’art. 1, n. 2, del regolamento [n. 258/97]. Quale sia l’indice di riferimento per la locuzione “non ancora”. h) Nel caso in cui la Corte ritenesse di non dover risolvere essa stessa la prima questione, sub a)-d), se il giudice nazionale possa sottoporre questioni relative alla classificazione dei prodotti, vale a dire questioni di ordine scientifico o metodologico, all’Autorità europea per la sicurezza alimentare e, eventualmente, in qual misura i pareri di tale Istituto siano vincolanti per il giudice nazionale. Se una possibilità di controllo (eventualmente, un obbligo di controllo) di tali pareri spetti solo al giudice comunitario ovvero parimenti al giudice nazionale del rinvio».
26 Nei procedimenti C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03, le questioni sottoposte dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen sono identiche a quelle relative al procedimento C‑211/03, fatte salve le seguenti differenze: anzitutto, in ciascuno dei detti procedimenti, la prima questione, sub a), indica nominativamente il prodotto in questione nella rispettiva causa principale. Inoltre, la prima questione, sub b) e d), e la seconda questione, sub g), vengono sottoposte unicamente nel procedimento C‑211/03, senza essere riprese nei procedimenti C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03. Infine, in questi ultimi, la seconda questione, sub b), è così completata: «Atteso che la direttiva 2001/03 (…), all’art. 1, n. 2, secondo periodo (relativo ai medicinali c.d. “funzionali”), ha istituito la nozione di “funzioni fisiologiche”, si pone, inoltre, la questione del significato di tale nozione e del suo rapporto con quella di “azione farmacologica”». 27 Il giudice del rinvio precisa, inoltre, che l’emanazione di decisioni generali ai sensi dell’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari rientra ormai nella competenza del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit, recentemente istituita. 28 Con ordinanza del presidente della Corte 22 settembre 2003, i procedimenti C‑211/03, C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della decisione.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione, sub b) 29 Con la sua prima questione, sub b), che occorre esaminare in primo luogo, il giudice nazionale chiede alla Corte, sostanzialmente, se le modalità d’ingestione di un prodotto rilevino ai fini della sua qualificazione quale medicinale ovvero derrata alimentare. 30 Ai fini di poter stabilire se un prodotto vada qualificato come medicinale ovvero derrata alimentare ai sensi della normativa comunitaria, l’autorità nazionale competente deve decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto tra le quali, in particolare, la composizione, le proprietà farmacologiche – quali possono essere stabilite allo stato attuale delle conoscenze scientifiche – le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza del preparato stesso da parte dei consumatori e i rischi che possono eventualmente derivare dalla sua utilizzazione (v. sentenze Van Bennekom, cit., punto 29; 21 marzo 1991, causa C‑369/88, Delattre, Racc. pag. I‑1487, punti 26 e 35, nonché causa C‑60/89, Monteil e Samanni, Racc. pag. I‑1547, punto 29; 16 aprile 1991, causa C‑112/89, Upjohn, detta «Upjohn I», Racc. pag. I‑1703, punto 23; 20 maggio 1992, causa C‑290/90, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3317, punto 17, e 29 aprile 2004, causa C‑150/00, Commissione/Austria, Racc., pag. I‑3891, punto 64). 31 Le modalità d’uso che vanno prese in considerazione nell’ambito di tale esame complessivo comprendono, nella specie, la circostanza che il prodotto di cui trattasi vada diluito, a seconda della modalità di assunzione, con acqua o con yogurt. Tale elemento, peraltro, non è di per sé decisivo e non esclude che si tenga conto delle caratteristiche del prodotto allo stato iniziale, prima di essere diluito in acqua o yogurt. 32 Conseguentemente, la prima questione, sub b), deve essere risolta nel senso che la qualificazione di un prodotto come medicinale ovvero derrata alimentare va effettuata tenendo presente l’insieme delle caratteristiche del prodotto, rilevate sia allo stato iniziale del medesimo, sia quando esso è diluito, conformemente alle sue modalità di uso, in acqua o yogurt. Sulla prima questione, sub c) 33 La prima questione, sub c), limitandosi a rinviare alla seconda, sub c) e f), non richiede una soluzione autonoma. Sulla seconda questione, sub a), i) 34 Con la seconda questione, sub a), i), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, quale sia il rapporto tra il regolamento n. 178/2002 e la direttiva 2002/46. 35 Dalla definizione degli integratori alimentari, figurante all’art. 2, lett. a), della direttiva 2002/46, discende che essi costituiscono una categoria speciale di prodotti alimentari. 36 Il regolamento n. 178/2002 costituisce una norma generale la quale, oltre ad istituire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e a fissare procedure nel campo della sicurezza alimentare, stabilisce i principi e le disposizioni generali relative alla normativa alimentare. 37 Ai sensi dell’art. 14, n. 1, del regolamento n. 178/2002, gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato e, conformemente al n. 2 della medesima disposizione, gli alimenti sono considerati a rischio se sono dannosi per la salute o se sono inadatti al consumo umano. Ai sensi del n. 7 della detta disposizione, sono considerati sicuri gli alimenti conformi a specifiche disposizioni comunitarie riguardanti la sicurezza alimentare in relazione agli aspetti disciplinati dalle disposizioni medesime. Tuttavia, a termini del n. 8 dello stesso articolo, il fatto che un alimento sia conforme alle specifiche disposizioni ad esso applicabili non impedisce alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati per imporre restrizioni alla sua immissione sul mercato o per disporne il ritiro dal mercato qualora vi siano motivi di sospettare che, nonostante detta conformità, l’alimento è a rischio. 38 Dal sistema introdotto dal regolamento n. 178/2002, segnatamente dall’art. 14, nn. 1, 2, 7 e 8, emerge che, con riguardo alle prescrizioni che disciplinano la sicurezza alimentare, tale regolamento costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva 2002/46. 39 Ne discende che la seconda questione, sub a), i), va risolta nel senso che il regolamento n. 178/2002 costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva 2002/46, la cui applicazione è esclusa laddove una normativa comunitaria, quale la detta direttiva, detti specifiche disposizioni per talune categorie di derrate alimentari.
Sulla seconda questione, sub a), ii)
40 Con la seconda questione, sub a), ii), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se solo le disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali si applichino a un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale. 41 Deve rilevarsi che la definizione ampia del termine «derrata alimentare», di cui all’art. 2, primo comma, del regolamento n. 178/2002, può includere i medicinali. Tuttavia, dal terzo comma, lett. d), dello stesso articolo emerge che il termine «derrata alimentare» non ricomprende i medicinali ai sensi della direttiva 2001/83. 42 Analogamente, l’art. 1, n. 2, della direttiva 2002/46 prevede che la direttiva medesima non si applichi alle specialità farmaceutiche definite dalla direttiva 2001/83. 43 Ne consegue che ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali (v., in tal senso, sentenza 28 ottobre 1992, causa C‑219/91, Ter Voort, Racc. pag. I‑5485, punti 19 e 20). 44 Tale interpretazione è confortata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/27/CE, che modifica la direttiva 2001/83/CE (GU L 136, pag. 34), ancorché il relativo termine di trasposizione scada solo il 30 ottobre 2005. Tale direttiva, infatti, introduce nella direttiva 2001/83 un nuovo art. 2, il cui n. 2 così dispone: « In caso di dubbio, se un prodotto, tenuto conto dell’insieme delle sue caratteristiche, può rientrare contemporaneamente nella definizione di ‘medicinale’ e nella definizione di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposizioni della presente direttiva». 45 Conseguentemente, la seconda questione, sub a), ii), va risolta nel senso che ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali. Sulla seconda questione, sub b) 46 Con la seconda questione, sub b), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, in qual modo vada definita la nozione di «azione farmacologica» nel contesto della qualificazione di un prodotto come medicinale. Il giudice del rinvio, inoltre, chiede se la necessaria sussistenza di un rischio per la salute costituisca parte integrante della detta disposizione. 47 Occorre precisare che il termine «azione farmacologica» non ricorre né nel regolamento n. 178/2002, né nelle direttive 2001/83 e 2002/46. Per contro, nella giurisprudenza relativa ai medicinali, la Corte ha utilizzato l’espressione «proprietà farmacologiche». Dall’ordinanza di rinvio si evince che la seconda questione, sub b), intende richiamarsi a tale giurisprudenza. 48 A termini dell’art. 1, n. 2, primo comma, della direttiva 2001/83, per medicinale si intende «ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane». Ai sensi del secondo comma dello stesso n. 2, è altresì considerata medicinale «ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo». 49 La detta direttiva, in tal modo, dà due definizioni di medicinale: una «per presentazione» ed un’altra «per funzione». Un prodotto è un medicinale se è ricompreso nell’una ovvero nell’altra di tali due definizioni. 50 Nella seconda definizione di medicinale, l’espressione «funzioni fisiologiche» corrisponde all’espressione «funzioni organiche», di cui all’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 65/65. Atteso che la direttiva 2001/83 è diretta, a termini del suo primo ‘considerando’, a procedere ad una codificazione, si deve ritenere che tali espressioni possiedono, sostanzialmente, il medesimo significato. Ne discende, segnatamente, che la giurisprudenza relativa alla definizione di medicinale di cui alla direttiva 65/65 può essere trasposta alla definizione contenuta nella direttiva 2001/83. 51 Come rilevato supra, al punto 30, per poter decidere se un prodotto sia ricompreso nella definizione di un medicinale «per funzione» ai sensi della direttiva 2001/83, le autorità nazionali, agendo sotto il controllo del giudice, devono decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto tra le quali, in particolare, la composizione, le proprietà farmacologiche – quali possono essere stabilite allo stato attuale delle conoscenze scientifiche – le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza del preparato stesso da parte dei consumatori e i rischi che possono eventualmente derivare dalla sua utilizzazione. 52 Le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 2001/83, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. 53 Il rischio per la salute, richiamato dal giudice del rinvio, costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione di un prodotto come medicinale «per funzione» (v., in tal senso, sentenza Commissione/Austria, cit., punto 65). 54 La seconda questione, sub b), deve essere risolta nel senso che le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 2001/83, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. Il rischio che l’uso di un prodotto può comportare per la salute costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione del detto prodotto come medicinale.
Sulla seconda questione, sub c) e f) 55 Con la seconda questione, sub c) e f), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se un prodotto legittimamente commercializzato in uno Stato membro come derrata alimentare possa essere importato mediante il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio in un altro Stato membro, in cui tale prodotto sia considerato come medicinale, ed in qual modo possa essere attuata, in tal caso, l’autorizzazione all’immissione in commercio. 56 Allo stato attuale del diritto comunitario, è tuttora possibile che sussistano differenze fra gli Stati membri nella qualificazione dei prodotti come medicinali ovvero come alimenti. Quindi, la circostanza che un prodotto venga qualificato come alimento in un altro Stato membro non può impedire di riconoscergli, nello Stato membro di importazione, la qualità di medicinale, qualora esso ne presenti le caratteristiche (v. sentenze 29 aprile 2004, causa C‑387/99, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3773, punti 52 e 53, nonché Commissione/Austria, cit., punti 59 e 60). 57 Se un prodotto è correttamente qualificato come medicinale ai sensi della direttiva 200183, la sua commercializzazione è subordinata al rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio (in prosieguo: la «AIC»), ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva medesima. Le procedure di rilascio e gli effetti di tale autorizzazione sono precisati dettagliatamente negli artt. 7-39 della detta direttiva. 58 Poiché la direttiva 2001/83 armonizza le modalità di produzione, di distribuzione e di uso dei medicinali, non è più possibile agli Stati membri adottare misure nazionali che limitino la libera circolazione delle merci sulla base dell’art. 30 CE, segnatamente, per ragioni di tutela della salute dell’uomo (v. sentenza 19 marzo 1998, causa C‑1/96, Compassion in World Farming, Racc. pag. I‑1251, punto 47, nonché la giurisprudenza ivi richiamata). 59 Pertanto, uno Stato membro non è più legittimato a far valere ragioni di salute dei soggetti di cui all’art. 30 CE per subordinare la commercializzazione sul suo territorio dei prodotti previsti dalla direttiva 2001/83 al rispetto di esigenze connesse con i prodotti stessi, al di là degli impedimenti enunciati dalla detta direttiva. 60 Conseguentemente, la seconda questione, sub c) e f), va risolta nel senso che un prodotto che costituisce un medicinale ai sensi della direttiva 2001/83 può essere importato in un altro Stato membro solo mediante l’ottenimento di una AIC rilasciata conformemente alle disposizioni della detta direttiva, anche quando il prodotto sia legittimamente commercializzato in un altro Stato membro come prodotto alimentare. Sulla seconda questione, sub d), i) 61 Con la seconda questione, sub d), i), il giudice del rinvio chiede alla Corte quale sia il rilievo da attribuire alla nozione di livelli tollerabili nel contesto della qualificazione di un prodotto quale medicinale ovvero quale derrata alimentare ai sensi della normativa comunitaria. 62 La nozione di «livelli tollerabili» ricorre nell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46. Ai sensi della detta disposizione, tale nozione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari. 63 Occorre rilevare che, di per sé, tale nozione è del tutto irrilevante nella distinzione tra medicinali e derrate alimentari. Da un canto, in effetti, può rivelarsi necessario prevedere livelli tollerabili per talune derrate alimentari che non possono essere ritenute medicinali. D’altro canto, un prodotto somministrato in quantitativi inferiori ad un eventuale livello tollerabile può costituire un medicinale, vuoi per funzione, vuoi per presentazione. 64 Ne consegue che la seconda questione, sub d), i), va risolta nel senso che la nozione di «livelli tollerabili», di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46, è del tutto irrilevante ai fini della distinzione tra medicinali e derrate alimentari. Sulla seconda questione, sub d), ii) 65 Con la seconda questione, sub d), ii), il giudice del rinvio chiede alla Corte quale sia il margine di discrezionalità di cui dispongono le autorità nazionali con riguardo alla determinazione dei livelli tollerabili. 66 Alla luce della soluzione apportata alla seconda questione, sub d), i), non occorre procedere alla soluzione della questione, sub d), ii).
Sulla seconda questione, sub e), i) 67 Con la seconda questione, sub e), i), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’assenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione di uno Stato membro possa giustificare il fatto che il detto Stato vieti la commercializzazione di una derrata alimentare ovvero di un integratore alimentare legittimamente prodotto o immesso in commercio in un altro Stato membro. 68 In mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, gli Stati membri possono, al ricorrere di taluni requisiti, limitare, in base all’art. 30 CE, la commercializzazione di derrate alimentari legittimamente commercializzate in un altro Stato membro, per ragioni di tutela della salute e della vita delle persone (v., in tal senso, sentenza 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca, Racc. pag. I‑9693, punto 42). 69 In un tale contesto, il criterio dell’esigenza nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un’incidenza nell’ambito della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari può presentare per la salute pubblica. Tuttavia, la mancanza di un tale fabbisogno non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell’art. 30 CE, di commercializzare prodotti alimentari legalmente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri (sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 54). 70 Con riguardo all’armonizzazione, deve rilevarsi che la direttiva 2002/46 realizza una determinata armonizzazione delle legislazioni nazionali concernenti gli integratori alimentari, quali definiti all’art. 2, lett. a), della direttiva medesima. 71 Dall’art. 3, nonché dal secondo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 emerge che gli integratori alimentari conformi alle regole stabilite dalla direttiva medesima, in linea di principio, possono essere liberamente commercializzati nella Comunità. 72 Agli Stati membri restano solo limitate possibilità di restringere la commercializzazione di tali integratori alimentari. Infatti, l’art. 12 della direttiva 2002/46 prevede che lo Stato membro, che intenda limitare la commercializzazione di un prodotto conforme ai requisiti di cui alla direttiva medesima, precisi in modo circostanziato che l’impiego di tale prodotto presenta un pericolo per la salute umana. La mera constatazione della mancanza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato non può essere sufficiente per dimostrare l’esistenza di un siffatto pericolo. Per contro, non può escludersi che una tale mancanza di fabbisogno possa costituire un dato indicativo, inter alia, dell’esistenza di un pericolo per la salute dell’uomo. 73 Ne consegue che la seconda questione, sub e), i), deve essere risolta nel senso che, nell’ambito della valutazione, da parte di uno Stato membro, dei rischi che derrate alimentari o integratori alimentari possono creare per la salute pubblica, si può ricorrere al criterio dell’esistenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato. Tuttavia, l’assenza di tale fabbisogno non è sufficiente, di per sé, a giustificare, vuoi ai sensi dell’art. 30 CE, vuoi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2002/46, il divieto assoluto di commercializzare derrate alimentari o integratori alimentari legittimamente prodotti ovvero immessi in commercio in un altro Stato membro.
Sulla seconda questione, sub e), ii) 74 Con la seconda questione, sub e), ii), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se sia conforme al diritto comunitario il fatto che il margine di discrezionalità di cui dispongono le autorità di uno Stato membro con riguardo alla rilevazione dell’assenza di un fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato. 75 Al punto 34 della sentenza 21 gennaio 1999, causa C‑120/97,Upjohn, detta «Upjohn II» (Racc. pag. I‑223), la Corte ha affermato che un’autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale non implica che il giudice comunitario sostituisca la sua valutazione degli elementi di fatto a quella della detta autorità. Talché il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche che questa autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere, o se tale autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale. 76 La Corte ne ha dedotto, al punto 35 della sentenza Upjohn II, cit., che il diritto comunitario non impone che gli Stati membri istituiscano un rimedio giurisdizionale contro le decisioni nazionali di revoca delle AIC, adottate a norma della direttiva 65/65 e nell’esercizio di valutazioni complesse, comportante un controllo più ampio di quello esercitato dalla Corte in casi analoghi. 77 Tuttavia, la Corte ha precisato, al punto 36 della sentenza Upjohn II, cit., che ogni procedimento nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni di revoca delle AIC adottate dalle autorità nazionali deve consentire al giudice adito con un ricorso di annullamento avverso una tale decisione di fare effettiva applicazione, nell’ambito del controllo della legittimità di quest’ultima, dei principi e delle norme pertinenti del diritto comunitario. 78 Principi analoghi trovano applicazione con riguardo alla qualificazione, da parte delle autorità nazionali, di un prodotto come medicinale ovvero alla rilevazione, da parte delle dette autorità, dell’eventuale assenza di fabbisogno nutrizionale della popolazione di uno Stato membro con riguardo al prodotto in questione. 79 Ne consegue che la seconda questione, sub e), ii), va risolta nel senso che il fatto che il margine di discrezionalità delle autorità nazionali con riguardo alla rilevazione della mancanza di fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato è conforme al diritto comunitario, purché la procedura nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni emesse in materia da tali autorità consenta al giudice dinanzi al quale sia stata proposta azione di annullamento avverso tale decisione di applicare effettivamente, nel contesto del relativo sindacato di legittimità, i principi e le norme di diritto comunitario pertinenti.
Sulla seconda questione, sub g) 80 Con la seconda questione, sub g), il giudice del rinvio interroga la Corte in merito all’interpretazione da dare al requisito previsto dall’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97, a termini del quale un prodotto o ingrediente alimentare ricade nella sfera di applicazione del regolamento medesimo solo se il detto prodotto o ingrediente non sia stato ancora utilizzato in misura significativa per il consumo umano nella Comunità. Il giudice del rinvio, in sostanza, chiede, da una parte, quali siano i requisiti che consentano di concludere nel senso di un consumo non significativo e, d’altra parte, quale sia la data di riferimento per valutare tale consumo. 81 Il regolamento n. 258/97 ha per oggetto l’immissione in commercio di nuovi prodotti e di nuovi ingredienti alimentari, come quelli contenenti organismi geneticamente modificati. 82 L’art. 1, n. 2, del detto regolamento è volto a delimitarne la sfera di applicazione, segnatamente, definendo cosa debba intendersi per nuovi prodotti e ingredienti alimentari. Secondo tale definizione, possono ritenersi «nuovi» solo i prodotti e gli ingredienti «non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità». 83 Tale requisito riguarda il consumo, inteso come ingestione da parte degli esseri umani. Per soddisfare tale requisito, è sufficiente che il prodotto o l’ingrediente alimentare in oggetto non sia stato consumato in misura significativa da parte di esseri umani anteriormente alla data di riferimento. 84 Per valutare l’esistenza o meno di un tale consumo umano, l’autorità competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie. 85 Se il prodotto o l’ingrediente di cui trattasi è stato commercializzato sul mercato di uno o più Stati membri anteriormente alla data di riferimento, tale circostanza rileva ai fini di tale valutazione. 86 Le circostanze prese in considerazione devono riguardare il prodotto o l’ingrediente stesso assoggettati ad esame e non un prodotto o un ingrediente simile o comparabile. Infatti, nell’ambito dei nuovi prodotti o ingredienti alimentari, non può escludersi che differenze anche apparentemente irrilevanti siano tali da comportare serie conseguenze per la salute pubblica, quantomeno sin quando l’innocuità del prodotto o dell’ingrediente in questione non sia stata acclarata mediante procedure adeguate. 87 Per quanto attiene alla data di riferimento da prendere in considerazione ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del prodotto o dell’ingrediente alimentare di cui trattasi, deve rilevarsi che l’espressione «non ancora», di cui all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97, si riferisce alla data di entrata in vigore del regolamento medesimo. Ai sensi dell’art. 15 del detto regolamento, tale data è quella del 15 maggio 1997.
88 Conseguentemente, la seconda questione, sub g), va risolta nel senso che l’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97 va interpretato nel senso che il consumo umano di un prodotto o di un ingrediente alimentare non è stato significativo nella Comunità se, alla luce di tutte le circostanze della specie, risulti dimostrato che tale prodotto o ingrediente alimentare non sia stato utilizzato in misura significativa per il consumo da parte di esseri umani in alcuno degli Stati membri anteriormente alla data di riferimento. Il 15 maggio 1997 costituisce la data di riferimento ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del detto prodotto o ingrediente alimentare. Sulla seconda questione, sub h) 89 Con la seconda questione, sub h), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se un giudice nazionale possa adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione di prodotti e, in caso di soluzione affermativa, quale sarebbe la forza vincolante del parere di tale Autorità con riguardo del giudice interessato. 90 Tra i compiti e le finalità dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, quali definite dagli artt. 22 e 23 del regolamento n. 178/2002, non rientra quella di rispondere a quesiti provenienti da giudici nazionali. 91 Inoltre, ai sensi dell’art. 9 del regolamento (CE) della Commissione 11 luglio 2003, n. 1304, sulla procedura applicata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare alle richieste di pareri scientifici di cui è investita (GU L 185, pag. 6), ciascuno Stato membro notifica alla detta Autorità «la o le autorità governative competenti per investire l’Autorità con una richiesta di parere scientifico». Dal tenore letterale di tale disposizione non emerge che i giudici nazionali siano tra le «autorità governative competenti» ivi previste. 92 Ne consegue che, allo stato attuale del diritto comunitario, i giudici nazionali non possono adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. 93 Tuttavia, se la detta Autorità emanasse un parere corrispondente all’oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, quest’ultimo dovrebbe accordare a tale parere il medesimo rilievo riconosciuto ad una perizia. Tale parere potrebbe pertanto costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione in quanto tale. 94 La seconda questione, sub h), deve essere risolta nel senso che un giudice nazionale non può adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. Un parere della detta Autorità, eventualmente emanato in una materia oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, può costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione nell’ambito della controversia medesima.
Sulla prima questione, sub a) e d) 95 Con la prima questione, sub a) e d), che occorre trattare in conclusione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i prodotti lactobact omni FOS, C 1000, OPC 85, Acid Free C-1000 e E-400 vadano qualificati quali derrate alimentari, ove costituirebbero eventualmente integratori alimentari, ovvero come medicinali e, nell’ipotesi in cui il prodotto lactobact omni FOS fosse una derrata alimentare, se esso costituisca un nuovo prodotto ai sensi del regolamento n. 258/97. 96 Nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’art. 234 CE, basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. La Corte non è quindi competente a pronunciarsi sui fatti della causa a qua o applicare a provvedimenti o a situazioni nazionali le norme comunitarie di cui essa ha fornito l’interpretazione, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva del giudice nazionale (v. sentenza 22 giugno 2000, causa C‑318/98, Fornasar e.a., Racc. pag. I‑4785, punti 31 e 32). 97 Spetta al giudice del rinvio procedere alla qualificazione dei prodotti in oggetto nelle cinque controversie principali, alla luce degli elementi interpretativi esposti dalla Corte, segnatamente, ai precedenti punti 30 - 32, 35 - 39, 41 - 45, 47 - 54, 56-60, 62-64 e 81-88 . Sulle spese 98 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) La qualificazione di un prodotto come medicinale ovvero derrata alimentare va effettuata tenendo presente l’insieme delle caratteristiche del prodotto, rilevate sia allo stato iniziale del medesimo, sia quando esso è diluito, conformemente alle sue modalità di uso, in acqua o yogurt.
2) Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, la cui applicazione è esclusa laddove una normativa comunitaria, quale la detta direttiva, detti specifiche disposizioni per talune categorie di derrate alimentari.
3) Ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali.
4) Le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. Il rischio che l’uso di un prodotto può comportare per la salute costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione del detto prodotto come medicinale.
5) Un prodotto che costituisce un medicinale ai sensi della direttiva 2001/83 può essere importato in un altro Stato membro solo mediante l’ottenimento di una autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata conformemente alle disposizioni della detta direttiva, anche quando il prodotto sia legittimamente commercializzato in un altro Stato membro come prodotto alimentare.
6) La nozione di «livelli tollerabili», di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46, è del tutto irrilevante ai fini della distinzione tra medicinali e derrate alimentari.
7) Nell’ambito della valutazione, da parte di uno Stato membro, dei rischi che derrate alimentari o integratori alimentari possono creare per la salute pubblica, si può ricorrere al criterio dell’esistenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato. Tuttavia, l’assenza di tale fabbisogno non è sufficiente, di per sé, a giustificare, vuoi ai sensi dell’art. 30 CE, vuoi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2002/46, il divieto assoluto di commercializzare derrate alimentari o integratori alimentari legittimamente prodotti ovvero immessi in commercio in un altro Stato membro.
8) Il fatto che il margine di discrezionalità delle autorità nazionali con riguardo alla rilevazione della mancanza di fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato è conforme al diritto comunitario, purché la procedura nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni emesse in materia da tali autorità consenta al giudice dinanzi al quale sia stata proposta azione di annullamento avverso tale decisione di applicare effettivamente, nel contesto del relativo sindacato di legittimità, i principi e le norme di diritto comunitario pertinenti.
9) L’art. 1, n. 2, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari va interpretato nel senso che il consumo umano di un prodotto o di un ingrediente alimentare non è stato significativo nella Comunità se, alla luce di tutte le circostanze della specie, risulti dimostrato che tale prodotto o ingrediente alimentare non sia stato utilizzato in misura significativa per il consumo da parte di esseri umani in alcuno degli Stati membri anteriormente alla data di riferimento. Il 15 maggio 1997 costituisce la data di riferimento ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del detto prodotto o ingrediente alimentare.
10) Un giudice nazionale non può adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. Un parere della detta Autorità, eventualmente emanato in una materia oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, può costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione nell’ambito della controversia medesima
9 giugno 2005
«Libera circolazione delle merci – Distinzione tra medicinali e derrate alimentari – Prodotto immesso in commercio come integratore alimentare nello Stato membro di origine, ma considerato come medicinale nello Stato membro di importazione – Autorizzazione all’immissione in commercio»
Nei procedimenti riuniti C‑211/03, C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03, aventi ad oggetto talune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (Germania), con decisioni, rispettivamente, 7 maggio, 4, 3, 7 e 8 luglio 2003, pervenute in cancelleria il 15 maggio, l’11 e il 24 luglio 2003, nelle cause HLH Warenvertriebs GmbH (C‑211/03) e Orthica BV (C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03) contro Repubblica federale di Germania, con l’intervento di: Der Vertreter des öffentlichen Interesses beim Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen,
LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues (relatore), M. Ilešič e E. Levits, giudici, avvocato generale: sig. L. A. Geelhoed cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 dicembre 2004, considerate le osservazioni presentate: – per la HLH Warenvertriebs GmbH e la Ortica BV, dagli avv.ti M. Forstmann e T. Büttner, Rechtsanwälte, – per la Repubblica federale di Germania, dal sig. G. Preußendorff e dalla sig.ra U. Stöhr, in qualità di agenti, – per il governo spagnolo, dalla sig.ra L. Fraguas Gadea e dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agenti, – per il governo svedese, dalla sig.ra K. Wistrand, in qualità di agente, – per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra M.‑J. Jonczy e dal sig. H. Krämer, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 febbraio 2005, ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 28 CE e 30 CE, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GU L 43, pag. 1), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311, pag. 67), del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1), nonché della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari (GU L 183, pag. 51).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito delle controversie tra la HLH Warenvertriebs GmbH (in prosieguo: la «HLH») e la Orthica BV (in prosieguo: la «Orthica»), da un lato, e la Repubblica federale di Germania, dall’altro, con riguardo alla qualificazione di taluni prodotti come derrate alimentari ovvero come medicinali ai fini della loro immissione in commercio sul territorio tedesco.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 A termini dell’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 258/97: «1. Il presente regolamento ha per oggetto l’immissione sul mercato comunitario di nuovi prodotti e di nuovi ingredienti alimentari. 2. Il presente regolamento si applica all’immissione sul mercato della Comunità di prodotti e ingredienti alimentari non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità e che rientrano in una delle seguenti categorie: a) prodotti e ingredienti alimentari contenenti o costituiti da organismi geneticamente modificati ai sensi della direttiva 90/220/CEE; b) prodotti e ingredienti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono; c) prodotti e ingredienti alimentari con una struttura molecolare primaria nuova o volutamente modificata; d) prodotti e ingredienti alimentari costituiti o isolati a partire da microorganismi, funghi o alghe; e) prodotti e ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti alimentari isolati a partire da animali, esclusi i prodotti e gli ingredienti alimentari ottenuti mediante pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato; f) prodotti e ingredienti alimentari sottoposti ad un processo di produzione non generalmente utilizzato, per i quali tale processo comporti nella composizione o nella struttura dei prodotti o degli ingredienti alimentari cambiamenti significativi del valore nutritivo, del loro metabolismo o del tenore di sostanze indesiderabili». 4 L’art. 3, nn. 1 e 2, del regolamento medesimo, così recita: «1. I prodotti o ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento non devono: – presentare rischi per il consumatore; – indurre in errore il consumatore; – differire dagli altri prodotti o ingredienti alimentari alla cui sostituzione essi sono destinati, al punto che il loro consumo normale possa comportare svantaggi per il consumatore sotto il profilo nutrizionale. 2. Ai fini dell’immissione sul mercato della Comunità dei prodotti e ingredienti alimentari oggetto del presente regolamento si applicano le procedure previste agli agricoli 4, 6, 7 e 8 in base ai criteri definiti al paragrafo 1 del presente articolo ed agli altri fattori pertinenti menzionati in tali articoli. (…)» 5 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/83 definisce la «specialità medicinale» come «ogni medicinale precedentemente preparato, immesso in commercio con una denominazione speciale ed in una confezione particolare». 6 Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della detta direttiva, per «medicinale» si intende, in primo luogo, «ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane» e, in secondo luogo, «ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo è altresì considerata medicinale». 7 A termini dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2001/83: «1. Nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza un’autorizzazione all’immissione in commercio delle autorità competenti di detto Stato membro rilasciata a norma della presente direttiva oppure senza un’autorizzazione a norma del regolamento (CEE) n. 2309/93 [del Consiglio, 22 luglio 1993, che stabilisce le procedure comunitarie per l’autorizzazione e la vigilanza dei medicinali per uso umano e veterinario e che istituisce un’Agenzia europea di valutazione dei medicinali (GU L 214, pag. 1)]». 8 L’art. 26 della medesima direttiva dispone quanto segue: «L’autorizzazione all’immissione in commercio è rifiutata quando dopo verifica delle informazioni e dei documenti elencati all’articolo 8 e all’articolo 10, paragrafo 1, risulti quanto segue: a) il medicinale è nocivo nelle normali condizioni d’impiego, oppure b) l’effetto terapeutico del medicinale manca o è stato insufficientemente giustificato dal richiedente, oppure c) il medicinale non presenta la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata. L’autorizzazione è ugualmente rifiutata qualora la documentazione e le informazioni presentate a corredo della domanda non siano conformi all’articolo 8 e all’articolo 10, paragrafo 1». 9 A termini del successivo art. 29, nn. 1 e 2: «1. Quando uno Stato membro ritenga che vi siano fondati motivi di presumere che l’autorizzazione del medicinale interessato presenti un rischio per la sanità pubblica, esso ne informa immediatamente il richiedente, lo Stato membro di riferimento, gli altri Stati membri interessati alla domanda e l’Agenzia. Lo Stato membro fornisce una motivazione approfondita della propria posizione ed indica i provvedimenti idonei a correggere le insufficienze della domanda. 2. Tutti gli Stati membri interessati si adoperano per giungere ad un accordo sulle misure da prendere in merito alla domanda. Essi consentono al richiedente di presentare verbalmente o per iscritto il suo punto di vista. Tuttavia, se entro il termine di cui all’articolo 28, paragrafo 4, non hanno raggiunto un accordo, gli Stati membri ne informano senza indugio l’Agenzia [europea di valutazione dei medicinali, istituita dall’art. 49, primo comma, del regolamento n° 2309/93] allo scopo di adire il comitato [per le specialità medicinali, istituito con l’art. 27, n. 1, della direttiva 2001/83], per l’applicazione della procedura di cui all’articolo 32». 10 L’art. 2 del regolamento n. 178/02 così prevede: «Ai fini del presente regolamento si intende per “alimento” (o “prodotto alimentare”, o “derrata alimentare”) qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Esso include l’acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all’articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE e 98/83/CE. Non sono compresi: (…) d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE [26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali (GU 1965, 22, pag. 369)] e 92/73/CEE [22 settembre 1992, che amplia il campo d’applicazione delle direttive 65/65/CEE e 75/319/CEE concernenti il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative ai medicinali e che fissa disposizioni complementari per i medicinali omeopatici (GU L 297, pag. 8)]; (…)» 11 Le summenzionate direttive 65/65 e 92/73 sono state codificate dalla direttiva 2001/83. 12 L’art. 14 del regolamento n. 178/02, intitolato «Requisiti di sicurezza degli alimenti», così recita: «1. Gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. (…) 7. Gli alimenti conformi a specifiche disposizioni comunitarie riguardanti la sicurezza alimentare sono considerati sicuri in relazione agli aspetti disciplinati dalle medesime. 8. Il fatto che un alimento sia conforme alle specifiche disposizioni ad esso applicabili non impedisce alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati per imporre restrizioni alla sua immissione sul mercato o per disporne il ritiro dal mercato qualora vi siano motivi di sospettare che, nonostante detta conformità, l’alimento è a rischio. 9. In assenza di specifiche disposizioni comunitarie, un alimento è considerato sicuro se è conforme alle specifiche disposizioni della legislazione alimentare nazionale dello Stato membro sul cui territorio è immesso sul mercato, purché tali disposizioni siano formulate e applicate nel rispetto del trattato, in particolare degli articoli 28 e 30 del medesimo». 13 L’art. 1 della direttiva 2002/46 dispone quanto segue: «1. La presente direttiva si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali. Tali prodotti sono forniti al consumatore solo preconfezionati. 2. Esulano dal campo di applicazione della presente direttiva i medicinali definiti dalla direttiva 2001/83 (…)». 14 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2002/46 definisce il termine «integratori alimentari» come «i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio (…)». Le «sostanze nutritive» sono definite all’art. 2, lett. b), della detta direttiva, come le vitamine e i minerali. 15 A termini dell’art. 5, n. 1, della direttiva medesima: «1. I livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari per ogni dose giornaliera raccomandata dal fabbricante sono stabiliti tenendo conto di quanto segue: a) i livelli tollerabili di vitamine e minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti, tenendo conto, se del caso, dei livelli variabili di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori; b) l’apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari». 16 L’art. 12, nn. 1 e 2, della detta direttiva così recita: «1. Se uno Stato membro, in base a nuovi dati o ad un riesame di dati preesistenti effettuato successivamente all’adozione della presente direttiva o di disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa, constata con motivazione circostanziata che un prodotto di cui all’articolo 1, pur ottemperando a dette disposizioni, presenta un pericolo per la salute umana, può in via provvisoria sospendere o limitare l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi nel proprio territorio. Esso ne informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri, precisando i motivi che giustificano la decisione. 2. La Commissione esamina quanto prima i motivi addotti dallo Stato membro interessato e consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, quindi emette tempestivamente un parere e prende i provvedimenti del caso». 17 Ai sensi dell’art. 15, primo comma, della direttiva 2002/46, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per conformarsi alla direttiva medesima entro il 31 luglio 2003.
La normativa nazionale
18 L’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari e sui prodotti di uso corrente (Lebensmittel- und Bedarfsgegenständegesetz, in prosieguo: la «legge sulle derate alimentari»), così recita: «(1) In deroga all’art. 47, § 1, primo periodo, i prodotti di cui alla presente legge, regolarmente fabbricati e immessi in commercio in un altro Stato membro della Comunità o in uno Stato facente parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo o provenienti da uno Stato terzo e regolarmente immessi in commercio in uno Stato membro della Comunità o in un altro Stato facente parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, possono essere introdotti e immessi in commercio nella Repubblica federale di Germania, ancorché non rispondenti alle norme relative ai prodotti alimentari della Repubblica federale di Germania. Il primo periodo non si applica ai prodotti che 1. non sono conformi ai divieti di cui agli artt. 8, 23 o 30, o 2. non soddisfano altre norme giuridiche adottate a fini di tutela della salute, laddove il carattere commercializzabile di tali prodotti nella Repubblica federale di Germania non sia stato riconosciuto, conformemente al § 2, per mezzo di pubblicazione nel Bundesanzeiger di una decisione di portata generale del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (Ufficio federale per la tutela dei consumatori e della sicurezza alimentare). (2) Le decisioni di portata generale ai sensi del § 1, secondo periodo, punto 2, sono adottate (…) a meno che ragioni imperative di tutela della salute non vi si oppongano. Tali decisioni devono essere richieste da chi intenda importare i prodotti nel paese. Nella valutazione dei rischi che un prodotto comporta per la salute, si tiene conto delle conoscenze della ricerca internazionale nonché, per le derrate alimentari, delle abitudini alimentari nella Repubblica federale di Germania. Le decisioni di portata generale hanno effetto, ai sensi del primo periodo, nei confronti di tutti gli importatori dei prodotti di cui trattasi provenienti da altri Stati membri delle Comunità europee o da Stati facenti parte dell’Accordo sullo Spazio economico europeo. (3) La domanda dev’essere corredata dalla descrizione esatta del prodotto, nonché dai documenti disponibili necessari ai fini della decisione (…) (4) In presenza di derrate alimentari che si discostino dalle disposizioni della presente legge o dai regolamenti adottati in esecuzione della stessa, occorre indicarlo in modo adeguato, laddove ciò sia necessario per la tutela del consumatore». 19 L’art. 73 della legge sui medicinali (Arzneimittelgesetz) prevede quanto segue: «(1) I medicinali assoggettati a licenza o a registrazione non possono essere introdotti nel territorio in cui la presente legge è applicabile – fatta eccezione per le zone franche diverse dall’isola di Helgoland – senza aver ottenuto la licenza o essere stati registrati per la circolazione nel detto territorio ovvero senza essere stati esentati dall’obbligo della licenza o della registrazione e alle seguenti condizioni: 1. se il prodotto è importato da un paese membro delle Comunità europee o da un altro Stato contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, il destinatario dev’essere imprenditore farmaceutico, grossista, veterinario ovvero gestore di una farmacia; 2. se il prodotto è importato da un altro paese, il destinatario deve disporre di un’autorizzazione ai sensi dell’art. 72. (…)»
Cause principali e questioni pregiudiziali
20 Nel 1995 e nel 1996, la HLH e la Ortica, intendendo importare in Germania taluni prodotti commercializzati nei Paesi Bassi come integratori alimentari e di immetterli, in quanto tali, sul mercato tedesco, chiedevano al Bundesministerium für Verbraucherschutz, Ernährung und Landwirtschaft (Ministero federale della tutela dei consumatori, del’alimentazione e dell’agricoltura), competente all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, di adottare una decisione di portata generale, ai sensi dell’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari, Si trattava dei seguenti prodotti: – nella causa C‑211/03, del lactobact omni FOS in polvere; un grammo di polvere contiene almeno un miliardo di germi provenienti dai seguenti ceppi batterici: lactobacillus acidophilus, lactococcus lactis, E. faecium, bifidobacterium bifidum, lactobacillus Casei e lactobacillus thermophilus; il consumo che si consiglia è di circa 2 grammi al giorno, disciolti in mezzo bicchiere di acqua o nello yogurt; in caso di fabbisogno aumentato e durante le prime quattro settimane la dose viene raddoppiata; – nella causa C‑299/03, di C-1000 in compresse contenenti, segnatamente, 1000 mg di vitamina C, 30 mg di citrusbioflavonoïdi, un complesso di Hesperidin-Rutine ed altri ingredienti; la dose consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑316/03, di OPC 85 in compresse contenenti, segnatamente, 50 mg di estratto di bioflavonolo - procianidina oligomero; la dose consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑317/03, di Acid Free C-1000 in compresse contenenti, segnatamente, 1110 mg di ascorbato di calcio, 1000 mg di vitamina C e 110 mg di calcio; la dose giornaliera consigliata è di una compressa al giorno; – nella causa C‑318/03, di E-400 in compresse contenenti 268 mg di vitamina E; la dose consigliata è di una compressa al giorno. 21 Il Bundesministerium für Gesundheit (ministero federale della salute), divenuto medio tempore competente in materia, respingeva la domanda di adottare le decisioni di portata generale motivando il proprio diniego, sostanzialmente, come segue: – con riguardo al procedimento C‑211/03, rilevando che non si trattava di una derrata alimentare, ma di un medicinale, dal momento che le colture batteriche utilizzate sono ricomprese, separatamente o congiuntamente, nella composizione dei medicinali gastro-enterologici; – con riguardo ai procedimenti C‑299/03 e C‑317/03, rilevando che non si trattava di una derrata alimentare di consumo corrente, dal momento che con l’assunzione di una compressa al giorno si eccedeva di almeno 13 volte la dose giornaliera di vitamina C attualmente consigliata in Germania e che ragioni imperative di tutela della salute si opponevano all’immissione nel mercato di tale prodotto; – con riguardo al procedimento C‑316/03, rilevando che i bioflavonoïdi contenuti nel prodotto, in forma isolata, non rispondevano prevalentemente a necessità alimentari o voluttuarie, dovendo essere invece considerati quali sostanze aventi un’azione farmacologia, e che ragioni imperative di tutela della salute ostavano all’immissione sul mercato di tale prodotto; – con riguardo al procedimento C‑318/03, rilevando che l’assunzione di una sola compressa al giorno implica il superamento di almeno 22 volte la dose giornaliera di vitamina E attualmente consigliata in Germania e che i risultati di studi recenti inducono a ritenere che un’assunzione prolungata ed elevata di vitamina E potrebbe produrre effetti nocivi sulla salute, sicché l’incertezza scientifica in tale settore osterebbe all’immissione nel mercato del prodotto. 22 La HLH e la Orthica presentavano ricorso avverso il diniego di adottare decisioni di portata generale per i prodotti indicati al precedente punto 20 dinanzi al Verwaltungsgericht Köln, il quale respingeva i rispettivi ricorsi con singole decisioni, sulla base del rilievo che i prodotti in questione non erano qualificabili come derrate alimentari, bensì come medicinali. 23 Avverso tali decisioni la HLH e la Orthica interponevano appello dinanzi all’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen. 24 Secondo il detto giudice, la decisione sull’appello dipende dall’interpretazione di varie disposizioni di diritto comunitario, segnatamente, degli artt. 28 CE e 30 CE, del regolamento n. 258/97, della direttiva 2001/83, del regolamento n. 178/2002 e della direttiva 2002/46. 25 Ciò premesso, l’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte, quanto alla causa C‑211/03, le seguenti questioni pregiudiziali: «1) a) Se il prodotto controverso, “lactobact omni FOS”, costituisca una derrata alimentare (eventualmente in forma di integratore alimentare) ovvero un medicinale e se tale classificazione valga per tutti gli Stati membri. b) Se ai fini della classificazione rilevi il fatto che il prodotto, secondo le istruzioni per l’uso, dev’essere diluito in acqua o in yogurt, o se il criterio sia quello dello stato del prodotto al momento dell’importazione. c) Ove la Corte dichiarasse che il prodotto in questione è un medicinale, continuando tuttavia ad essere una derrata alimentare negli Stati membri in cui sia stato già qualificato come tale, il giudice del rinvio si troverebbe di fronte alle problematiche sottese alla seconda questione, sub f), nel combinato disposto con la medesima questione, sub c); si fa pertanto rinvio alle questioni medesime nonché alla relativa esposizione, chiedendone alla Corte la soluzione. d) Nel caso in cui il “lactobact omni FOS” costituisca una derrata alimentare (un integratore alimentare), se esso sia un prodotto nuovo, ai sensi del regolamento n. 258/97 (…), e quale sia il rapporto intercorrente tra i diversi fondamenti normativi. 2) Nel caso in cui – come è avvenuto sino ad oggi – non spettasse alla Corte, ma ai giudici nazionali, pronunciarsi sulla prima questione, sub a)-d), si richiede tuttavia alla Corte di fornire le indicazioni che consentano di risolvere adeguatamente la prima questione, sub b), dal punto di vista del diritto comunitario, nella parte in cui esso è pertinente a tal riguardo. Vengono, inoltre, sottoposte alla Corte le seguenti questioni: a) i) Se la qualifica del prodotto controverso sia disciplinata dalle disposizioni dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento n. 178/2002 (…) ovvero – successivamente alla scadenza del termine di trasposizione, il 31 luglio 2003, – dalla direttiva 2002/46 (…) e, eventualmente, da quale parte della detta direttiva. ii) Nell’ipotesi in cui le disposizioni dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento [n. 178/2002] fossero applicabili, sorge la questione se sia esatto che non è più necessario riferirsi alla preminenza della destinazione (oggettiva) del prodotto, bensì che, al contrario, un prodotto che soddisfi al tempo stesso i requisiti per essere una derrata alimentare nonché quelli per essere un medicinale sia sempre ritenuto, dal punto di vista giuridico, unicamente un medicinale. A tal riguardo, in qual misura occorra riferirsi, rispettivamente, al tipo di prodotto e al prodotto concretamente in oggetto. b) Come debba essere definita dal punto di vista del diritto comunitario la nozione di «effetto farmacologico», determinante ai fini della classificazione del prodotto – segnatamente, ai sensi dell’art. 2, primo, secondo e terzo comma, nel combinato disposto con la lett. d), del regolamento [n. 178/2002]. In particolare, se rientri in tale definizione la necessità di un rischio per la salute. c) Se la tesi accolta dalla Corte nella sentenza 30 novembre 1983, causa C‑227/82, Van Bennekom (Racc. pag. 3883), al punto 39, con riguardo alla valutazione generica dei preparati vitaminici, secondo cui l’importazione di un prodotto commercializzabile come derrata alimentare nello Stato membro di produzione dev’essere possibile mediante il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio allorché il prodotto venga considerato come medicinale nello Stato membro di importazione, ma l’autorizzazione all’immissione in commercio sia compatibile con le esigenze di tutela della salute, si applichi parimenti ai prodotti del tipo di quelli oggetto della presente controversia, e se la Corte confermi la propria posizione alla luce della successiva evoluzione del diritto comunitario. d) i) Nella misura in cui occorre fare riferimento alla nozione di “rischio per la salute”, quale indicata nella seconda questione, sub b) e c), ovvero nel contesto di altre disposizioni pertinenti di diritto comunitario, ad esempio gli artt. 28 CE e 30 CE: Se occorra basarsi sul livello di sicurezza superiore, detto ‘upper safe level’, ovvero se tale limite debba essere mitigato, ad esempio perché le sostanze in oggetto vengono assunte semplicemente con l’alimentazione e/o perché – quantomeno in caso di assunzione protratta nel tempo – può essere necessario prendere in considerazione vari gruppi di consumatori e la loro differente sensibilità. ii) Se sia in contrasto con il diritto comunitario un margine di discrezionalità delle autorità competenti in materia che, ai sensi della normativa nazionale, sia assoggettato solo ad un controllo giurisdizionale parziale ai fini della fissazione – individuale – dell’“upper safe level” e, eventualmente, a deroghe – a livello individuale –. e) i) Se, ai fini della libertà di commercializzazione in Germania quale derrata alimentare (integratore alimentare) di un prodotto che possa essere immesso in commercio almeno in un altro Stato membro come derrata alimentare, sia determinante la circostanza che l’autorità tedesca competente dichiari, sostanzialmente, che in Germania non esista alcun “fabbisogno nutrizionale” per tale prodotto. ii) In caso di soluzione affermativa, se il margine di discrezionalità conferito a tal riguardo all’autorità competente dal diritto nazionale, assoggettato solo ad un controllo giurisdizionale parziale, sia compatibile con il diritto comunitario. f) Qualora la Corte risolvesse in senso affermativo la seconda questione, sub c), relativa alla causa Van Bennekom e non sussistesse nella presente controversia alcuna incompatibilità con le esigenze della tutela della salute, come possa essere attuato il diritto all’autorizzazione all’immissione in commercio. Se la domanda di decisione di portata generale, ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari], possa essere respinta senza violare il diritto comunitario, sulla base del rilievo che il prodotto, secondo i criteri di classificazione tedeschi, è un medicinale, laddove nello Stato membro di produzione può essere commercializzato come derrata alimentare. Se sia conforme al diritto comunitario, segnatamente agli artt. 28 CE e 30 CE, non applicare a tali medicinali, per analogia, l’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari]. In caso di soluzione negativa: se lo Stato tedesco, senza violare il diritto comunitario, possa sottrarsi all’ingiunzione del giudice tedesco di rilasciare una decisione di portata generale ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] (per analogia), rilevando che, essendo il prodotto un medicinale secondo la classificazione tedesca, allo Stato stesso, o all’autorità competente per i prodotti alimentari, ma non per i medicinali, non è consentito il rilascio di una decisione generale ai sensi dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] (per analogia): i) poiché l’autorità preposta al rilascio delle decisioni generali in forza dell’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] è incompetente in materia di medicinali; ii) in ragione dell’assenza di una autorizzazione come medicinale. g) Nel caso in cui, alla luce delle soluzioni date dalla Corte, il prodotto controverso risultasse una derrata alimentare (eventualmente, un integratore alimentare), e comunque non un medicinale, il giudice nazionale dovrà pronunciarsi sull’applicabilità del regolamento [n. 258/97], prevalente rispetto all’art. 47 a [della legge sulle derrate alimentari] e che, nella fattispecie, potrebbe vanificare l’interesse ad agire nell’ambito del presente ricorso. Il giudice del rinvio chiede pertanto: Come debba essere interpretato il passo ‘non ancora utilizzati in maniera significativa’, di cui all’art. 1, n. 2, del regolamento [n. 258/97]. Se sia sufficiente che la Gazzetta ufficiale olandese abbia pubblicato, in data 16 febbraio 1995, l’autorizzazione all’immissione in commercio di una sostanza probiotica chiamata ‘Ecologic 316’, paragonabile al prodotto controverso, e che, come risulta della fattura del 20 maggio 1996, la ricorrente abbia ricevuto una fornitura di Ecologic 316, ovvero quali siano i requisiti minimi che devono essere soddisfatti per poter presumere la sussistenza di un’utilizzazione in misura significativa, ai sensi dell’art. 1, n. 2, del regolamento [n. 258/97]. Quale sia l’indice di riferimento per la locuzione “non ancora”. h) Nel caso in cui la Corte ritenesse di non dover risolvere essa stessa la prima questione, sub a)-d), se il giudice nazionale possa sottoporre questioni relative alla classificazione dei prodotti, vale a dire questioni di ordine scientifico o metodologico, all’Autorità europea per la sicurezza alimentare e, eventualmente, in qual misura i pareri di tale Istituto siano vincolanti per il giudice nazionale. Se una possibilità di controllo (eventualmente, un obbligo di controllo) di tali pareri spetti solo al giudice comunitario ovvero parimenti al giudice nazionale del rinvio».
26 Nei procedimenti C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03, le questioni sottoposte dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen sono identiche a quelle relative al procedimento C‑211/03, fatte salve le seguenti differenze: anzitutto, in ciascuno dei detti procedimenti, la prima questione, sub a), indica nominativamente il prodotto in questione nella rispettiva causa principale. Inoltre, la prima questione, sub b) e d), e la seconda questione, sub g), vengono sottoposte unicamente nel procedimento C‑211/03, senza essere riprese nei procedimenti C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03. Infine, in questi ultimi, la seconda questione, sub b), è così completata: «Atteso che la direttiva 2001/03 (…), all’art. 1, n. 2, secondo periodo (relativo ai medicinali c.d. “funzionali”), ha istituito la nozione di “funzioni fisiologiche”, si pone, inoltre, la questione del significato di tale nozione e del suo rapporto con quella di “azione farmacologica”». 27 Il giudice del rinvio precisa, inoltre, che l’emanazione di decisioni generali ai sensi dell’art. 47 a della legge sulle derrate alimentari rientra ormai nella competenza del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit, recentemente istituita. 28 Con ordinanza del presidente della Corte 22 settembre 2003, i procedimenti C‑211/03, C‑299/03 e C‑316/03 – C‑318/03 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della decisione.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione, sub b) 29 Con la sua prima questione, sub b), che occorre esaminare in primo luogo, il giudice nazionale chiede alla Corte, sostanzialmente, se le modalità d’ingestione di un prodotto rilevino ai fini della sua qualificazione quale medicinale ovvero derrata alimentare. 30 Ai fini di poter stabilire se un prodotto vada qualificato come medicinale ovvero derrata alimentare ai sensi della normativa comunitaria, l’autorità nazionale competente deve decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto tra le quali, in particolare, la composizione, le proprietà farmacologiche – quali possono essere stabilite allo stato attuale delle conoscenze scientifiche – le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza del preparato stesso da parte dei consumatori e i rischi che possono eventualmente derivare dalla sua utilizzazione (v. sentenze Van Bennekom, cit., punto 29; 21 marzo 1991, causa C‑369/88, Delattre, Racc. pag. I‑1487, punti 26 e 35, nonché causa C‑60/89, Monteil e Samanni, Racc. pag. I‑1547, punto 29; 16 aprile 1991, causa C‑112/89, Upjohn, detta «Upjohn I», Racc. pag. I‑1703, punto 23; 20 maggio 1992, causa C‑290/90, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3317, punto 17, e 29 aprile 2004, causa C‑150/00, Commissione/Austria, Racc., pag. I‑3891, punto 64). 31 Le modalità d’uso che vanno prese in considerazione nell’ambito di tale esame complessivo comprendono, nella specie, la circostanza che il prodotto di cui trattasi vada diluito, a seconda della modalità di assunzione, con acqua o con yogurt. Tale elemento, peraltro, non è di per sé decisivo e non esclude che si tenga conto delle caratteristiche del prodotto allo stato iniziale, prima di essere diluito in acqua o yogurt. 32 Conseguentemente, la prima questione, sub b), deve essere risolta nel senso che la qualificazione di un prodotto come medicinale ovvero derrata alimentare va effettuata tenendo presente l’insieme delle caratteristiche del prodotto, rilevate sia allo stato iniziale del medesimo, sia quando esso è diluito, conformemente alle sue modalità di uso, in acqua o yogurt. Sulla prima questione, sub c) 33 La prima questione, sub c), limitandosi a rinviare alla seconda, sub c) e f), non richiede una soluzione autonoma. Sulla seconda questione, sub a), i) 34 Con la seconda questione, sub a), i), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, quale sia il rapporto tra il regolamento n. 178/2002 e la direttiva 2002/46. 35 Dalla definizione degli integratori alimentari, figurante all’art. 2, lett. a), della direttiva 2002/46, discende che essi costituiscono una categoria speciale di prodotti alimentari. 36 Il regolamento n. 178/2002 costituisce una norma generale la quale, oltre ad istituire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e a fissare procedure nel campo della sicurezza alimentare, stabilisce i principi e le disposizioni generali relative alla normativa alimentare. 37 Ai sensi dell’art. 14, n. 1, del regolamento n. 178/2002, gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato e, conformemente al n. 2 della medesima disposizione, gli alimenti sono considerati a rischio se sono dannosi per la salute o se sono inadatti al consumo umano. Ai sensi del n. 7 della detta disposizione, sono considerati sicuri gli alimenti conformi a specifiche disposizioni comunitarie riguardanti la sicurezza alimentare in relazione agli aspetti disciplinati dalle disposizioni medesime. Tuttavia, a termini del n. 8 dello stesso articolo, il fatto che un alimento sia conforme alle specifiche disposizioni ad esso applicabili non impedisce alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati per imporre restrizioni alla sua immissione sul mercato o per disporne il ritiro dal mercato qualora vi siano motivi di sospettare che, nonostante detta conformità, l’alimento è a rischio. 38 Dal sistema introdotto dal regolamento n. 178/2002, segnatamente dall’art. 14, nn. 1, 2, 7 e 8, emerge che, con riguardo alle prescrizioni che disciplinano la sicurezza alimentare, tale regolamento costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva 2002/46. 39 Ne discende che la seconda questione, sub a), i), va risolta nel senso che il regolamento n. 178/2002 costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva 2002/46, la cui applicazione è esclusa laddove una normativa comunitaria, quale la detta direttiva, detti specifiche disposizioni per talune categorie di derrate alimentari.
Sulla seconda questione, sub a), ii)
40 Con la seconda questione, sub a), ii), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se solo le disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali si applichino a un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale. 41 Deve rilevarsi che la definizione ampia del termine «derrata alimentare», di cui all’art. 2, primo comma, del regolamento n. 178/2002, può includere i medicinali. Tuttavia, dal terzo comma, lett. d), dello stesso articolo emerge che il termine «derrata alimentare» non ricomprende i medicinali ai sensi della direttiva 2001/83. 42 Analogamente, l’art. 1, n. 2, della direttiva 2002/46 prevede che la direttiva medesima non si applichi alle specialità farmaceutiche definite dalla direttiva 2001/83. 43 Ne consegue che ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali (v., in tal senso, sentenza 28 ottobre 1992, causa C‑219/91, Ter Voort, Racc. pag. I‑5485, punti 19 e 20). 44 Tale interpretazione è confortata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/27/CE, che modifica la direttiva 2001/83/CE (GU L 136, pag. 34), ancorché il relativo termine di trasposizione scada solo il 30 ottobre 2005. Tale direttiva, infatti, introduce nella direttiva 2001/83 un nuovo art. 2, il cui n. 2 così dispone: « In caso di dubbio, se un prodotto, tenuto conto dell’insieme delle sue caratteristiche, può rientrare contemporaneamente nella definizione di ‘medicinale’ e nella definizione di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposizioni della presente direttiva». 45 Conseguentemente, la seconda questione, sub a), ii), va risolta nel senso che ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali. Sulla seconda questione, sub b) 46 Con la seconda questione, sub b), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, in qual modo vada definita la nozione di «azione farmacologica» nel contesto della qualificazione di un prodotto come medicinale. Il giudice del rinvio, inoltre, chiede se la necessaria sussistenza di un rischio per la salute costituisca parte integrante della detta disposizione. 47 Occorre precisare che il termine «azione farmacologica» non ricorre né nel regolamento n. 178/2002, né nelle direttive 2001/83 e 2002/46. Per contro, nella giurisprudenza relativa ai medicinali, la Corte ha utilizzato l’espressione «proprietà farmacologiche». Dall’ordinanza di rinvio si evince che la seconda questione, sub b), intende richiamarsi a tale giurisprudenza. 48 A termini dell’art. 1, n. 2, primo comma, della direttiva 2001/83, per medicinale si intende «ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane». Ai sensi del secondo comma dello stesso n. 2, è altresì considerata medicinale «ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo». 49 La detta direttiva, in tal modo, dà due definizioni di medicinale: una «per presentazione» ed un’altra «per funzione». Un prodotto è un medicinale se è ricompreso nell’una ovvero nell’altra di tali due definizioni. 50 Nella seconda definizione di medicinale, l’espressione «funzioni fisiologiche» corrisponde all’espressione «funzioni organiche», di cui all’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 65/65. Atteso che la direttiva 2001/83 è diretta, a termini del suo primo ‘considerando’, a procedere ad una codificazione, si deve ritenere che tali espressioni possiedono, sostanzialmente, il medesimo significato. Ne discende, segnatamente, che la giurisprudenza relativa alla definizione di medicinale di cui alla direttiva 65/65 può essere trasposta alla definizione contenuta nella direttiva 2001/83. 51 Come rilevato supra, al punto 30, per poter decidere se un prodotto sia ricompreso nella definizione di un medicinale «per funzione» ai sensi della direttiva 2001/83, le autorità nazionali, agendo sotto il controllo del giudice, devono decidere caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto tra le quali, in particolare, la composizione, le proprietà farmacologiche – quali possono essere stabilite allo stato attuale delle conoscenze scientifiche – le modalità d’uso, l’ampiezza della sua diffusione, la conoscenza del preparato stesso da parte dei consumatori e i rischi che possono eventualmente derivare dalla sua utilizzazione. 52 Le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 2001/83, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. 53 Il rischio per la salute, richiamato dal giudice del rinvio, costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione di un prodotto come medicinale «per funzione» (v., in tal senso, sentenza Commissione/Austria, cit., punto 65). 54 La seconda questione, sub b), deve essere risolta nel senso che le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva 2001/83, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. Il rischio che l’uso di un prodotto può comportare per la salute costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione del detto prodotto come medicinale.
Sulla seconda questione, sub c) e f) 55 Con la seconda questione, sub c) e f), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se un prodotto legittimamente commercializzato in uno Stato membro come derrata alimentare possa essere importato mediante il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio in un altro Stato membro, in cui tale prodotto sia considerato come medicinale, ed in qual modo possa essere attuata, in tal caso, l’autorizzazione all’immissione in commercio. 56 Allo stato attuale del diritto comunitario, è tuttora possibile che sussistano differenze fra gli Stati membri nella qualificazione dei prodotti come medicinali ovvero come alimenti. Quindi, la circostanza che un prodotto venga qualificato come alimento in un altro Stato membro non può impedire di riconoscergli, nello Stato membro di importazione, la qualità di medicinale, qualora esso ne presenti le caratteristiche (v. sentenze 29 aprile 2004, causa C‑387/99, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3773, punti 52 e 53, nonché Commissione/Austria, cit., punti 59 e 60). 57 Se un prodotto è correttamente qualificato come medicinale ai sensi della direttiva 200183, la sua commercializzazione è subordinata al rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio (in prosieguo: la «AIC»), ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva medesima. Le procedure di rilascio e gli effetti di tale autorizzazione sono precisati dettagliatamente negli artt. 7-39 della detta direttiva. 58 Poiché la direttiva 2001/83 armonizza le modalità di produzione, di distribuzione e di uso dei medicinali, non è più possibile agli Stati membri adottare misure nazionali che limitino la libera circolazione delle merci sulla base dell’art. 30 CE, segnatamente, per ragioni di tutela della salute dell’uomo (v. sentenza 19 marzo 1998, causa C‑1/96, Compassion in World Farming, Racc. pag. I‑1251, punto 47, nonché la giurisprudenza ivi richiamata). 59 Pertanto, uno Stato membro non è più legittimato a far valere ragioni di salute dei soggetti di cui all’art. 30 CE per subordinare la commercializzazione sul suo territorio dei prodotti previsti dalla direttiva 2001/83 al rispetto di esigenze connesse con i prodotti stessi, al di là degli impedimenti enunciati dalla detta direttiva. 60 Conseguentemente, la seconda questione, sub c) e f), va risolta nel senso che un prodotto che costituisce un medicinale ai sensi della direttiva 2001/83 può essere importato in un altro Stato membro solo mediante l’ottenimento di una AIC rilasciata conformemente alle disposizioni della detta direttiva, anche quando il prodotto sia legittimamente commercializzato in un altro Stato membro come prodotto alimentare. Sulla seconda questione, sub d), i) 61 Con la seconda questione, sub d), i), il giudice del rinvio chiede alla Corte quale sia il rilievo da attribuire alla nozione di livelli tollerabili nel contesto della qualificazione di un prodotto quale medicinale ovvero quale derrata alimentare ai sensi della normativa comunitaria. 62 La nozione di «livelli tollerabili» ricorre nell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46. Ai sensi della detta disposizione, tale nozione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari. 63 Occorre rilevare che, di per sé, tale nozione è del tutto irrilevante nella distinzione tra medicinali e derrate alimentari. Da un canto, in effetti, può rivelarsi necessario prevedere livelli tollerabili per talune derrate alimentari che non possono essere ritenute medicinali. D’altro canto, un prodotto somministrato in quantitativi inferiori ad un eventuale livello tollerabile può costituire un medicinale, vuoi per funzione, vuoi per presentazione. 64 Ne consegue che la seconda questione, sub d), i), va risolta nel senso che la nozione di «livelli tollerabili», di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46, è del tutto irrilevante ai fini della distinzione tra medicinali e derrate alimentari. Sulla seconda questione, sub d), ii) 65 Con la seconda questione, sub d), ii), il giudice del rinvio chiede alla Corte quale sia il margine di discrezionalità di cui dispongono le autorità nazionali con riguardo alla determinazione dei livelli tollerabili. 66 Alla luce della soluzione apportata alla seconda questione, sub d), i), non occorre procedere alla soluzione della questione, sub d), ii).
Sulla seconda questione, sub e), i) 67 Con la seconda questione, sub e), i), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’assenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione di uno Stato membro possa giustificare il fatto che il detto Stato vieti la commercializzazione di una derrata alimentare ovvero di un integratore alimentare legittimamente prodotto o immesso in commercio in un altro Stato membro. 68 In mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, gli Stati membri possono, al ricorrere di taluni requisiti, limitare, in base all’art. 30 CE, la commercializzazione di derrate alimentari legittimamente commercializzate in un altro Stato membro, per ragioni di tutela della salute e della vita delle persone (v., in tal senso, sentenza 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca, Racc. pag. I‑9693, punto 42). 69 In un tale contesto, il criterio dell’esigenza nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un’incidenza nell’ambito della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l’aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari può presentare per la salute pubblica. Tuttavia, la mancanza di un tale fabbisogno non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell’art. 30 CE, di commercializzare prodotti alimentari legalmente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri (sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 54). 70 Con riguardo all’armonizzazione, deve rilevarsi che la direttiva 2002/46 realizza una determinata armonizzazione delle legislazioni nazionali concernenti gli integratori alimentari, quali definiti all’art. 2, lett. a), della direttiva medesima. 71 Dall’art. 3, nonché dal secondo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 emerge che gli integratori alimentari conformi alle regole stabilite dalla direttiva medesima, in linea di principio, possono essere liberamente commercializzati nella Comunità. 72 Agli Stati membri restano solo limitate possibilità di restringere la commercializzazione di tali integratori alimentari. Infatti, l’art. 12 della direttiva 2002/46 prevede che lo Stato membro, che intenda limitare la commercializzazione di un prodotto conforme ai requisiti di cui alla direttiva medesima, precisi in modo circostanziato che l’impiego di tale prodotto presenta un pericolo per la salute umana. La mera constatazione della mancanza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato non può essere sufficiente per dimostrare l’esistenza di un siffatto pericolo. Per contro, non può escludersi che una tale mancanza di fabbisogno possa costituire un dato indicativo, inter alia, dell’esistenza di un pericolo per la salute dell’uomo. 73 Ne consegue che la seconda questione, sub e), i), deve essere risolta nel senso che, nell’ambito della valutazione, da parte di uno Stato membro, dei rischi che derrate alimentari o integratori alimentari possono creare per la salute pubblica, si può ricorrere al criterio dell’esistenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato. Tuttavia, l’assenza di tale fabbisogno non è sufficiente, di per sé, a giustificare, vuoi ai sensi dell’art. 30 CE, vuoi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2002/46, il divieto assoluto di commercializzare derrate alimentari o integratori alimentari legittimamente prodotti ovvero immessi in commercio in un altro Stato membro.
Sulla seconda questione, sub e), ii) 74 Con la seconda questione, sub e), ii), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se sia conforme al diritto comunitario il fatto che il margine di discrezionalità di cui dispongono le autorità di uno Stato membro con riguardo alla rilevazione dell’assenza di un fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato. 75 Al punto 34 della sentenza 21 gennaio 1999, causa C‑120/97,Upjohn, detta «Upjohn II» (Racc. pag. I‑223), la Corte ha affermato che un’autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale non implica che il giudice comunitario sostituisca la sua valutazione degli elementi di fatto a quella della detta autorità. Talché il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche che questa autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere, o se tale autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale. 76 La Corte ne ha dedotto, al punto 35 della sentenza Upjohn II, cit., che il diritto comunitario non impone che gli Stati membri istituiscano un rimedio giurisdizionale contro le decisioni nazionali di revoca delle AIC, adottate a norma della direttiva 65/65 e nell’esercizio di valutazioni complesse, comportante un controllo più ampio di quello esercitato dalla Corte in casi analoghi. 77 Tuttavia, la Corte ha precisato, al punto 36 della sentenza Upjohn II, cit., che ogni procedimento nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni di revoca delle AIC adottate dalle autorità nazionali deve consentire al giudice adito con un ricorso di annullamento avverso una tale decisione di fare effettiva applicazione, nell’ambito del controllo della legittimità di quest’ultima, dei principi e delle norme pertinenti del diritto comunitario. 78 Principi analoghi trovano applicazione con riguardo alla qualificazione, da parte delle autorità nazionali, di un prodotto come medicinale ovvero alla rilevazione, da parte delle dette autorità, dell’eventuale assenza di fabbisogno nutrizionale della popolazione di uno Stato membro con riguardo al prodotto in questione. 79 Ne consegue che la seconda questione, sub e), ii), va risolta nel senso che il fatto che il margine di discrezionalità delle autorità nazionali con riguardo alla rilevazione della mancanza di fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato è conforme al diritto comunitario, purché la procedura nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni emesse in materia da tali autorità consenta al giudice dinanzi al quale sia stata proposta azione di annullamento avverso tale decisione di applicare effettivamente, nel contesto del relativo sindacato di legittimità, i principi e le norme di diritto comunitario pertinenti.
Sulla seconda questione, sub g) 80 Con la seconda questione, sub g), il giudice del rinvio interroga la Corte in merito all’interpretazione da dare al requisito previsto dall’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97, a termini del quale un prodotto o ingrediente alimentare ricade nella sfera di applicazione del regolamento medesimo solo se il detto prodotto o ingrediente non sia stato ancora utilizzato in misura significativa per il consumo umano nella Comunità. Il giudice del rinvio, in sostanza, chiede, da una parte, quali siano i requisiti che consentano di concludere nel senso di un consumo non significativo e, d’altra parte, quale sia la data di riferimento per valutare tale consumo. 81 Il regolamento n. 258/97 ha per oggetto l’immissione in commercio di nuovi prodotti e di nuovi ingredienti alimentari, come quelli contenenti organismi geneticamente modificati. 82 L’art. 1, n. 2, del detto regolamento è volto a delimitarne la sfera di applicazione, segnatamente, definendo cosa debba intendersi per nuovi prodotti e ingredienti alimentari. Secondo tale definizione, possono ritenersi «nuovi» solo i prodotti e gli ingredienti «non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità». 83 Tale requisito riguarda il consumo, inteso come ingestione da parte degli esseri umani. Per soddisfare tale requisito, è sufficiente che il prodotto o l’ingrediente alimentare in oggetto non sia stato consumato in misura significativa da parte di esseri umani anteriormente alla data di riferimento. 84 Per valutare l’esistenza o meno di un tale consumo umano, l’autorità competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie. 85 Se il prodotto o l’ingrediente di cui trattasi è stato commercializzato sul mercato di uno o più Stati membri anteriormente alla data di riferimento, tale circostanza rileva ai fini di tale valutazione. 86 Le circostanze prese in considerazione devono riguardare il prodotto o l’ingrediente stesso assoggettati ad esame e non un prodotto o un ingrediente simile o comparabile. Infatti, nell’ambito dei nuovi prodotti o ingredienti alimentari, non può escludersi che differenze anche apparentemente irrilevanti siano tali da comportare serie conseguenze per la salute pubblica, quantomeno sin quando l’innocuità del prodotto o dell’ingrediente in questione non sia stata acclarata mediante procedure adeguate. 87 Per quanto attiene alla data di riferimento da prendere in considerazione ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del prodotto o dell’ingrediente alimentare di cui trattasi, deve rilevarsi che l’espressione «non ancora», di cui all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97, si riferisce alla data di entrata in vigore del regolamento medesimo. Ai sensi dell’art. 15 del detto regolamento, tale data è quella del 15 maggio 1997.
88 Conseguentemente, la seconda questione, sub g), va risolta nel senso che l’art. 1, n. 2, del regolamento n. 258/97 va interpretato nel senso che il consumo umano di un prodotto o di un ingrediente alimentare non è stato significativo nella Comunità se, alla luce di tutte le circostanze della specie, risulti dimostrato che tale prodotto o ingrediente alimentare non sia stato utilizzato in misura significativa per il consumo da parte di esseri umani in alcuno degli Stati membri anteriormente alla data di riferimento. Il 15 maggio 1997 costituisce la data di riferimento ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del detto prodotto o ingrediente alimentare. Sulla seconda questione, sub h) 89 Con la seconda questione, sub h), il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se un giudice nazionale possa adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione di prodotti e, in caso di soluzione affermativa, quale sarebbe la forza vincolante del parere di tale Autorità con riguardo del giudice interessato. 90 Tra i compiti e le finalità dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, quali definite dagli artt. 22 e 23 del regolamento n. 178/2002, non rientra quella di rispondere a quesiti provenienti da giudici nazionali. 91 Inoltre, ai sensi dell’art. 9 del regolamento (CE) della Commissione 11 luglio 2003, n. 1304, sulla procedura applicata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare alle richieste di pareri scientifici di cui è investita (GU L 185, pag. 6), ciascuno Stato membro notifica alla detta Autorità «la o le autorità governative competenti per investire l’Autorità con una richiesta di parere scientifico». Dal tenore letterale di tale disposizione non emerge che i giudici nazionali siano tra le «autorità governative competenti» ivi previste. 92 Ne consegue che, allo stato attuale del diritto comunitario, i giudici nazionali non possono adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. 93 Tuttavia, se la detta Autorità emanasse un parere corrispondente all’oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, quest’ultimo dovrebbe accordare a tale parere il medesimo rilievo riconosciuto ad una perizia. Tale parere potrebbe pertanto costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione in quanto tale. 94 La seconda questione, sub h), deve essere risolta nel senso che un giudice nazionale non può adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. Un parere della detta Autorità, eventualmente emanato in una materia oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, può costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione nell’ambito della controversia medesima.
Sulla prima questione, sub a) e d) 95 Con la prima questione, sub a) e d), che occorre trattare in conclusione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i prodotti lactobact omni FOS, C 1000, OPC 85, Acid Free C-1000 e E-400 vadano qualificati quali derrate alimentari, ove costituirebbero eventualmente integratori alimentari, ovvero come medicinali e, nell’ipotesi in cui il prodotto lactobact omni FOS fosse una derrata alimentare, se esso costituisca un nuovo prodotto ai sensi del regolamento n. 258/97. 96 Nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’art. 234 CE, basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale. La Corte non è quindi competente a pronunciarsi sui fatti della causa a qua o applicare a provvedimenti o a situazioni nazionali le norme comunitarie di cui essa ha fornito l’interpretazione, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva del giudice nazionale (v. sentenza 22 giugno 2000, causa C‑318/98, Fornasar e.a., Racc. pag. I‑4785, punti 31 e 32). 97 Spetta al giudice del rinvio procedere alla qualificazione dei prodotti in oggetto nelle cinque controversie principali, alla luce degli elementi interpretativi esposti dalla Corte, segnatamente, ai precedenti punti 30 - 32, 35 - 39, 41 - 45, 47 - 54, 56-60, 62-64 e 81-88 . Sulle spese 98 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) La qualificazione di un prodotto come medicinale ovvero derrata alimentare va effettuata tenendo presente l’insieme delle caratteristiche del prodotto, rilevate sia allo stato iniziale del medesimo, sia quando esso è diluito, conformemente alle sue modalità di uso, in acqua o yogurt.
2) Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, costituisce una disciplina complementare rispetto alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, la cui applicazione è esclusa laddove una normativa comunitaria, quale la detta direttiva, detti specifiche disposizioni per talune categorie di derrate alimentari.
3) Ad un prodotto che soddisfi sia i requisiti per essere una derrata alimentare sia quelli per essere un medicinale si applicano le sole disposizioni di diritto comunitario specificamente concernenti i medicinali.
4) Le proprietà farmacologiche di un prodotto costituiscono il fattore sulla base del quale spetta alle autorità degli Stati membri valutare, basandosi sulle capacità potenziali del prodotto medesimo, se esso possa essere somministrato all’uomo, ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo comma, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche dell’uomo. Il rischio che l’uso di un prodotto può comportare per la salute costituisce un fattore autonomo, che deve parimenti essere preso in considerazione dalle autorità nazionali competenti ai fini della classificazione del detto prodotto come medicinale.
5) Un prodotto che costituisce un medicinale ai sensi della direttiva 2001/83 può essere importato in un altro Stato membro solo mediante l’ottenimento di una autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata conformemente alle disposizioni della detta direttiva, anche quando il prodotto sia legittimamente commercializzato in un altro Stato membro come prodotto alimentare.
6) La nozione di «livelli tollerabili», di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46, è del tutto irrilevante ai fini della distinzione tra medicinali e derrate alimentari.
7) Nell’ambito della valutazione, da parte di uno Stato membro, dei rischi che derrate alimentari o integratori alimentari possono creare per la salute pubblica, si può ricorrere al criterio dell’esistenza di un fabbisogno nutrizionale della popolazione dello Stato membro interessato. Tuttavia, l’assenza di tale fabbisogno non è sufficiente, di per sé, a giustificare, vuoi ai sensi dell’art. 30 CE, vuoi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2002/46, il divieto assoluto di commercializzare derrate alimentari o integratori alimentari legittimamente prodotti ovvero immessi in commercio in un altro Stato membro.
8) Il fatto che il margine di discrezionalità delle autorità nazionali con riguardo alla rilevazione della mancanza di fabbisogno nutrizionale sia assoggettato solo ad un controllo limitato è conforme al diritto comunitario, purché la procedura nazionale di controllo giurisdizionale delle decisioni emesse in materia da tali autorità consenta al giudice dinanzi al quale sia stata proposta azione di annullamento avverso tale decisione di applicare effettivamente, nel contesto del relativo sindacato di legittimità, i principi e le norme di diritto comunitario pertinenti.
9) L’art. 1, n. 2, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari va interpretato nel senso che il consumo umano di un prodotto o di un ingrediente alimentare non è stato significativo nella Comunità se, alla luce di tutte le circostanze della specie, risulti dimostrato che tale prodotto o ingrediente alimentare non sia stato utilizzato in misura significativa per il consumo da parte di esseri umani in alcuno degli Stati membri anteriormente alla data di riferimento. Il 15 maggio 1997 costituisce la data di riferimento ai fini della valutazione dell’importanza del consumo umano del detto prodotto o ingrediente alimentare.
10) Un giudice nazionale non può adire l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con riguardo a questioni relative alla qualificazione dei prodotti. Un parere della detta Autorità, eventualmente emanato in una materia oggetto di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, può costituire un elemento probatorio che il detto giudice dovrebbe prendere in considerazione nell’ambito della controversia medesima