22.03.2005 free
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs - (se un’imposta come l’IRAP sia compatibile con il divieto comunitario di imposte sulla cifra d’affari diverse dall’IVA)
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JACOBS
presentate il 17 marzo 2005
Causa C-475/03
Banca Popolare di Cremona contro Agenzia Entrate Ufficio Cremona
1. Questa domanda di pronuncia pregiudiziale proveniente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona solleva sostanzialmente la questione se un’imposta come l’IRAP – un’imposta regionale sulla produzione riscossa in Italia – sia compatibile con il divieto comunitario di imposte sulla cifra d’affari diverse dall’IVA.
Normativa comunitaria rilevante
2. La parte essenziale del sistema armonizzato dell’IVA delle Comunità è esposto all’art. 2 della prima direttiva IVA (2) : «Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione. A ciascuna transazione, l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio, è esigibile, previa deduzione dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo. Il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto è applicato fino allo stadio del commercio al minuto incluso». 3. Tale sistema di successive applicazioni e deduzioni d’imposta riguarda pertanto una catena di operazioni in cui l’importo netto da pagare in ordine a ciascuna operazione è una determinata parte proporzionale del valore aggiunto a tale stadio. Quando la catena finisce allo stadio finale del consumo privato, l’importo totale riscosso ammonterà alla relativa quota proporzionale del prezzo finale.
4. Norme più dettagliate sono contenute nella sesta direttiva IVA (3) . 5. Ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva, una cessione di beni o una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo che agisce in quanto tale è soggetta all’IVA.
6. Il soggetto passivo è definito all’art. 4, n. 1, come chi esercita un’attività economica, indipendentemente dal suo scopo o dai suoi risultati. Le attività economiche sono, ai sensi dell’art. 4, n. 2, «tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi», unitamente allo «sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità». Ai sensi dell’art. 4, n. 5, tuttavia: «Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni». 7. Il capo X della sesta direttiva prevede che un certo numero di operazioni sia esentato dall’IVA. L’art. 13 elenca le esenzioni che si applicano all’interno del paese – essenzialmente alcune attività di interesse pubblico, alcune operazioni di assicurazione e finanziarie (compresa la gestione di fondi di investimento speciali) e talune operazioni connesse alla proprietà immobiliare – mentre gli artt. 14-16 elencano le esenzioni nel commercio internazionale. L’art. 28 quater (4) , nel capo XVI bis, relativo al regime transitorio degli scambi tra Stati membri, modifica l’art. 16 così da includere il commercio intracomunitario e aggiunge un piccolo numero di altre esenzioni in tale contesto.
8. Gli elementi essenziali del diritto a deduzione sono stabiliti all’art. 17. L’art. 17, n. 2, recita: «Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore: a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo ….». Ai sensi dell’art. 17, n. 3, lett. b), le esportazioni dalla Comunità, che sono esentate ai sensi dell’art. 15, danno luogo ad un diritto di dedurre l’imposta a monte, a differenza delle operazioni interne esenti. 9. Infine, l’art. 33, n. 1, della sesta direttiva (5) dispone: «Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d’affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
10. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, tale disposizione vieta agli Stati membri di introdurre o mantenere imposte, diritti e tasse che abbiano il carattere di imposte sulla cifra d’affari (6) . Essa cerca di impedire che il funzionamento del sistema comune dell’IVA sia messo in pericolo da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo all’IVA (7) . È chiaro che il sistema comune sarebbe messo in pericolo se un’imposta sostanzialmente analoga all’IVA dovesse essere applicata da uno Stato membro ma dovesse sfuggire all’armonizzazione considerata necessaria per il mercato interno. 11. Imposte, diritti e tasse debbono in ogni caso essere considerati come provvedimenti del genere se presentano le caratteristiche essenziali dell’IVA anche se non sono identici all’IVA in tutto e per tutto. Tali caratteristiche sono definite dalla giurisprudenza della Corte nei seguenti termini: l’IVA si applica in via generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; essa è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, a prescindere dal numero di operazioni effettuate; essa viene riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione; infine, essa si applica sul valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l’imposta dovuta in occasione di un’operazione viene calcolata previa deduzione dell’imposta versata all’atto della precedente operazione. L’art. 33, n. 1, d’altra parte non impedisce il mantenimento o l’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali dell’IVA (8) . Normativa nazionale rilevante
12. Con decreto legislativo 15 dicembre 1997 (9) , la Repubblica italiana ha introdotto un’imposta – l’imposta regionale sulle attività produttive, nota come IRAP – fornendo alle autorità regionali una fonte di entrate per basare l’esercizio dei poteri loro devoluti. 13. Le norme che disciplinano la riscossione dell’IRAP sono complesse, con molti rinvii ad altre normative. Non le esporrò in dettaglio in questa sede. Tuttavia risulta pacifico che le caratteristiche essenziali sono le seguenti. 14. Ai sensi degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo, l’IRAP è riscossa presso coloro che esercitano abitualmente un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazioni di servizi. Moltissime persone fisiche e giuridiche, compresi Stato, enti pubblici e amministrazioni dello Stato, sono soggetti passivi dell’imposta, ma taluni fondi comuni d’investimento, taluni fondi pensione e taluni gruppi economici di interesse europeo sono esenti.
15. L’art. 4, n. 1, definisce la base imponibile come il valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione. Il preciso metodo per determinare tale valore varia alquanto a seconda della categoria di contribuente, ma come principio base per le imprese commerciali esso corrisponde alla differenza risultante nel conto profitti e perdite tra, da un lato, la somma dei proventi dell’attività, non compresi gli introiti da operazioni finanziarie eccezionali, e, dall’altro, i costi di produzione non comprese le spese per il personale o le spese finanziarie. Per le pubbliche autorità e le imprese private a carattere non commerciale, la base dell’imposta è essenzialmente l’ammontare delle retribuzioni. 16. In conformità dell’art. 16, l’aliquota base dell’imposta è del 4,25% del valore della produzione netta così definito, aliquota che è raddoppiata nel caso di talune pubbliche amministrazioni e che può essere variata dall’autorità regionale fino ad un massimo di un punto percentuale nell’uno o nell’altro modo. La domanda di pronuncia pregiudiziale 17. Nel 1999, la Banca Popolare di Cremona (in prosieguo: la «Banca Popolare») ha chiesto il rimborso di varie somme da essa versate a titolo di IRAP in tale anno e nell’anno precedente, sostenendo che l’imposta era illegittima in quanto, tra l’altro, incompatibile con l’art. 33 della sesta direttiva. 18. La validità dell’IRAP era altresì contestata in vari altri giudizi in Italia in base alla pretesa incompatibilità con una serie di norme della Costituzione italiana. Il 10 maggio 2001, in una sentenza (10) sulla quale sia il giudice del rinvio sia tutti coloro che hanno presentato osservazioni hanno attirato l’attenzione della Corte, la Corte costituzionale ha dichiarato che tali contestazioni erano infondate. 19. Le autorità fiscali hanno successivamente rifiutato di rimborsare le somme reclamate dalla Banca Popolare, che ha impugnato tale rifiuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. 20. Il giudice nazionale considera che:
– come l’IVA, l’IRAP si applica in modo generalizzato a tutte le operazioni commerciali relative alla produzione o allo scambio di beni, o alla prestazioni di servizi, nel contesto di un commercio o di un’attività professionale. – come nel caso dell’IVA, la base sulla quale l’IRAP è riscossa è il valore netto aggiunto dal contribuente, anche se il metodo di calcolo è diverso: mentre per l’IVA l’imposta a monte viene dedotta dall’imposta a valle, per l’IRAP i costi sono dedotti dai ricavi; – come l’IVA, l’IRAP è riscossa in ciascuna fase del processo di produzione o di distribuzione, dato che ogni operatore che produce valore aggiunto imponibile è tenuto al pagamento dell’imposta; – come nel caso dell’IVA, la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi fino al consumo finale è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo praticato nei confronti del consumatore finale, di modo che essa corrisponde ad un’imposta generale e proporzionale sul prezzo al quale i beni o servizi sono ceduti al consumatore.
21. Esaminando queste considerazioni alla luce della giurisprudenza della Corte sull’art. 33 della sesta direttiva, la Commissione tributaria esprime il punto di vista secondo cui l’IRAP presenta le caratteristiche sostanziali dell’IVA, di modo che essa appare incompatibile con il diritto comunitario e dovrebbe pertanto essere disapplicata dai giudici nazionali. 22. Tuttavia, alla luce della novità della questione e della mancanza di una specifica giurisprudenza, essa ha deciso innanzi tutto di chiedere una pronuncia della Corte di giustizia sulla seguente questione pregiudiziale: «se l’art. 33 della direttiva 77/388/CEE (così come modificato dalla direttiva 91/380/CEE) debba essere interpretato nel senso che esso vieti di assoggettare ad IRAP il valore della produzione netta derivante dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». 23. Hanno presentato osservazioni scritte la Banca Popolare, il governo italiano e la Commissione e hanno poi partecipato tutti alla trattazione orale all’udienza. La Banca Popolare e la Commissione asseriscono che l’art. 33 vieta un’imposta avente le caratteristiche dell’IRAP, mentre il governo italiano sostiene che tali caratteristiche sono sufficientemente diverse da quelle dell’IVA perché la stessa imposta non rientri in tale divieto. Valutazione
24. È pacifico che per essere colpita dal divieto di cui all’art. 33 della sesta direttiva, un’imposta nazionale deve presentare tutte le caratteristiche essenziali dell’IVA che, secondo la giurisprudenza della Corte, sono nel numero di quattro, strettamente corrispondenti alla definizione contenuta all’art. 2 della prima direttiva: – si applica in modo generale alle cessioni di beni o di servizi; – è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni intervenute; – è applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione; e – grava sul valore aggiunto ai beni e/o ai servizi di cui trattasi. 25. La presenza di tutte le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA è pertanto condizione tanto necessaria quanto sufficiente perché un’imposta sia vietata ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva. Tuttavia è parimenti pacifico che un’imposta non sfugge al divieto semplicemente perché non è identica all’IVA sotto tutti i profili (11) . 26. È perciò necessario considerare le quattro caratteristiche una alla volta, e valutare se l’IRAP le presenta almeno in forma sostanzialmente identica. Ritengo più chiaro esaminare tali caratteristiche nell’ordine seguito dal giudice del rinvio, che è leggermente diverso da quello spesso seguito nella giurisprudenza (12) . Inizierò quindi esaminando la questione se l’IRAP si applichi in modo generalizzato, poi se essa sia riscossa sul valore aggiunto alle cessioni, quindi se essa si applichi a tutte le fasi ed infine se sia proporzionale al valore aggiunto, a prescindere dal numero di operazioni.
27. Chiaramente, solo i giudici italiani sono competenti a determinare le precise caratteristiche dell’IRAP, il che comporta questioni alquanto dettagliate di diritto nazionale. Tuttavia, sulla base delle descrizioni fornite dal giudice a quo nell’ordinanza di rinvio e dalla Corte costituzionale nella sua sentenza (13) , codesta Corte è a mio parere in grado di valutare se un’imposta del tipo descritto presenti le caratteristiche essenziali dell’IVA. Applicazione in modo generalizzato alle cessioni di beni e di servizi 28. La Commissione tributaria afferma che dall’art. 2 del decreto legislativo consegue che l’«IRAP si applica, in modo generalizzato, a tutte le operazioni commerciali di produzione o di scambio aventi ad oggetto beni e servizi e derivanti dall’esercizio in modo abituale di un’attività volta a tale fine, vale a dire nell’esercizio di imprese o di arti e professioni». Come sottolineato sia dalla Banca Popolare sia dalla Commissione, ciò significa un grado di applicazione del tutto generale per l’IRAP. 29. La Corte ha ritenuto che un’imposta non si applichi in modo generalizzato quando esse si applica solo a limitate categorie di cessioni di beni o di servizi (14) o a specifiche categorie di soggetti passivi (15) . Tuttavia, essa presenta ancora tale essenziale caratteristica dell’IVA se si applica sia per attività commerciali soggette all’IVA sia ad altri tipi di prestazioni industriali o commerciali non soggette ad IVA (16) . 30. Mi sembra che l’IRAP presenti la caratteristica di cui trattasi. Infatti le disposizioni degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo, che definiscono le attività che danno luogo ad imposizione e i soggetti passivi, sono per la verità sostanzialmente molto simili a quelle dell’art. 4, nn. 1 e 2, della sesta direttiva. 31. Nessuna categoria di beni o di servizi appare esclusa in quanto tale. Alcune categorie di contribuenti sono escluse ma le esclusioni sono limitate quanto al numero ed alla portata e sembrano coincidere sostanzialmente con talune esenzioni a norma della sesta direttiva o con l’esclusione di talune operazioni che ricadono interamente fuori dall’ambito di applicazione dell’IVA. Sia nelle sue osservazioni scritte sia all’udienza la Banca Popolare ha affermato, senza essere contraddetta, che tutti gli operatori titolari di partita IVA sono soggetti all’IRAP.
32. Anche all’udienza, tuttavia, il governo italiano ha sostenuto che benché l’IRAP possa essere descritta come imposta applicabile in modo generalizzato, essa non è applicabile alle cessioni di beni o servizi; essa si applica a ricchezza creata e non a cessioni effettuate, di modo che ad esempio un’impresa che in un determinato periodo d’imposta produce 1000 autoveicoli ma non li vende pagherà l’IRAP ma non l’IVA in tale periodo d’imposta. Pertanto l’IRAP, a differenza dell’IVA, è in ogni caso un’imposta diretta e non indiretta. Il governo italiano fa altresì riferimento a talune convenzioni comunitarie e a documenti della Commissione che classificano l’IRAP come un’imposta diretta. La Banca Popolare ha energicamente contestato l’asserzione secondo cui l’IRAP era riscossa su beni prodotti ma non ancora venduti. 33. Codesta Corte non è competente a determinare lo stadio in cui l’IRAP è riscossa. Tuttavia, non ritengo che la tesi del governo italiano incida sulla qualificazione dell’IRAP come imposta applicabile in modo generalizzato alle cessioni di beni e di servizi. 34. La classificazione delle imposte in «dirette» e «indirette» non è sempre agevole o addirittura, a molti fini, rilevante. Nella fattispecie, la questione non è quella di stabilire se l’IRAP debba essere qualificata come imposta diretta o indiretta, ma se essa abbia le stesse caratteristiche sostanziali dell’IVA. 35. Tuttavia, una distinzione comunemente accettata tra imposizione diretta e indiretta è che la prima grava su una ricchezza o su un reddito a disposizione di una stessa persona (fisica o giuridica), senza alcuna possibilità di traslazione ad un’altra persona, mentre la seconda è riscossa su spese o consumi e il suo onere può essere – e di fatto normalmente è – trasferito sul consumatore finale e da esso sopportato. Alle luce di ciò mi sembra che il meccanismo descritto dal governo italiano sia quello di un’imposta indiretta, il cui onere sarà sostanzialmente sopportato dal consumatore finale.
36. La Corte costituzionale nella sua sentenza afferma che l’IRAP «non colpisce il reddito personale del contribuente bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate». Respingendo taluni argomenti nel senso che l’imposta era riscossa su una «mera potenzialità di capacità contributiva», essa afferma che la base sulla quale l’IRAP è calcolata è «il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate» (17) . 37. Pertanto, se l’IRAP può essere riscossa in un momento precedente alla cessione effettiva dei beni, ciò non le impedisce di gravare sulla successiva cessione come se essa fosse stata riscossa a quel momento, con un risultato esattamente equivalente a quello dell’IVA. 38. D’altra parte, sembra che l’IRAP possa essere sotto parecchi profili persino di applicazione più generale rispetto all’IVA. Chiaramente, lo Stato e le autorità regionali ad esempio non sono esenti così come avviene ai sensi dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, e l’imposta è riscossa su esportazioni senza possibilità di rimborso, diversamente dalle fattispecie di cui agli artt. 15 e 17, n. 3, lett. b), della sesta direttiva. 39. Tuttavia risulta chiaramente dalla sentenza Dansk Denkavit (18) che qualora un’imposta abbia sostanzialmente lo stesso ambito di applicazione dell’IVA, il fatto che essa si estenda anche ad altri settori non rientranti nell’IVA nulla taglie alla sua somiglianza con quest’ultima imposta ai fini della sua valutazione ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva. Pertanto, solo se il suo ambito di applicazione fosse considerevolmente più ristretto all’IRAP mancherebbe la caratteristica essenziale dell’applicazione in modo generalizzato. 40. Per giunta consegue da tale principio, da tenere chiaramente presente nel valutare la natura dell’imposta in relazione all’IVA, che qualora l’IRAP si applichi a fattispecie non rientranti nell’ambito di applicazione dell’IVA, qualsiasi differenza tra la sua base di calcolo in tali fattispecie e la base di calcolo ai fini dell’IVA è semplicemente irrilevante. Gravante sul valore aggiunto ai beni o servizi forniti
41. È pacifico che il metodo di calcolo dell’IRAP differisce da quello applicato per l’IVA. 42. Il giudice del rinvio afferma: «Nell’IVA la quantificazione e tassazione della frazione o segmento di valore aggiunto (vap) prodottasi presso il singolo produttore avvengono col meccanismo della detrazione imposta da imposta (l’imposta a monte, pagata sugli acquisti, si deduce dall’imposta a valle, incassata sulle vendite). Nell’IRAP la frazione è calcolata e tassata deducendo a un di presso dal ricavato delle «vendite» il costo di acquisto del «venduto». 43. Tuttavia, esso continua, nei loro risultati i due meccanismi «si assomigliano come due gocce d’acqua». 44. In ogni caso, il punto da stabilire è se l’IRAP gravi sul valore aggiunto ai beni e ai servizi, non se tale valore sia calcolato allo stesso modo rispetto all’IVA. Può inoltre essere ricordato che la Corte costituzionale ha dichiarato che l’IRAP è un’imposta sul valore aggiunto (19) . 45. Il valore aggiunto può essere definito in diversi ma ugualmente validi modi e, come la Corte ha sottolineato, non è necessario che un’imposta sia identica all’IVA sotto tutti gli aspetti perché essa urti contro il divieto contenuto all’art. 33 della sesta direttiva. 46. Secondo le informazioni agli atti sembra che la base di calcolo per l’IRAP sia essenzialmente la differenza tra i ricavi e i costi (non compresi i salari o taluni costi finanziari) delle attività produttive del contribuente per un determinato periodo d’imposta – normalmente, a quanto risulta, un anno civile. Ciò può chiaramente essere considerato come un modo, anche se non il solo, di definire il valore aggiunto dal contribuente ai beni e servizi da lui ceduti.
47. L’IVA, d’altro canto, è in teoria riscossa sull’intero valore di ciascuna cessione imponibile effettuata, mentre il suo ammontare viene ridotto in misura pari a quello dell’imposta già pagata sui componenti il costo di tale cessione (ad esclusione ancora dei salari e di molti costi finanziari, che sono esenti). In pratica, tuttavia, l’imposta dovuta su tutte le cessioni effettuate in un determinato periodo d’imposta – fino ad un anno – viene cumulata, in quanto è l’imposta pagata su tutti i componenti il costo acquistati durante tale periodo, e l’ultima è dedotta dalla prima (20) . 48. Pertanto in pratica vi è poca differenza tra le due imposte, e forse anche meno nei risultati, anche se l’IVA è concepita come un’imposta calcolata su una base operazione per operazione. Inoltre l’esistenza di ciò che il giudice del rinvio descrive come «minuzie contabili di risibile importanza» non può a mio parere essere sufficiente a superare tale sostanziale analogia se il divieto di altre imposte o tasse aventi la natura dell’IVA deve avere davvero qualche efficacia. 49. Infatti, nella sentenza Dansk Denkavit (21) , la Corte ha dichiarato in contrasto con l’art. 33 della sesta direttiva un tributo che, essa ha rilevato, era riscosso come una percentuale «dell’importo totale delle vendite realizzate da ciascuna impresa e dei servizi da essa prestati in un determinato periodo di tempo, detratto l’importo degli acquisti di beni e servizi effettuati nel corso dello stesso periodo dalla stessa impresa», descrizione questa di un meccanismo chiaramente molto vicino a quello con il quale è calcolata l’IRAP. 50. Il governo italiano segnala tuttavia una distinzione che potrebbe risultare significativa. Poiché in base al regime IVA un soggetto passivo può dedurre l’imposta a monte non appena essa è sopportata, indipendentemente dall’ammontare dell’imposta a valle dovuta nel corso dello stesso periodo d’imposta, possono verificarsi e si verificano casi in cui il pagamento netto in un particolare periodo avviene dall’autorità fiscale al soggetto passivo anziché l’inverso. Con l’IRAP ciò è impossibile: se in un determinato periodo d’imposta le spese eccedono i ricavi, l’imposta è semplicemente pari a zero. 51. È vero che il diritto di deduzione è espressione del principio chiave secondo cui l’IVA dev’essere completamente neutrale per quanto riguarda l’onere nei confronti di tutte le attività economiche imponibili di un’impresa, e in quanto tale è una parte essenziale del regime IVA. 52. Tuttavia, il fatto che un’altra imposta non usi tale meccanismo e possa quindi non avere lo stesso grado di neutralità fiscale non incide sulla questione di stabilire se essa sia riscossa sul valore aggiunto dal contribuente. 53. Sotto tale profilo, possiamo nuovamente tracciare un’analogia con la posizione assunta dalla Corte nella causa Dansk Denkavit (22) e concludere in via generale che un’imposta non perde le caratteristiche essenziali dall’IVA solo perché il suo ambito di applicazione è più ampio o perché essa ha altre caratteristiche aggiuntive. Ciò che importa è piuttosto la misura, semmai, in cui può mancare qualcuna delle caratteristiche essenziali a cui si è fatto riferimento.
54. In sintesi, sia l’IVA sia l’IRAP sono riscosse sul valore aggiunto a beni e a servizi; su tale situazione non incide il fatto che, a differenza dell’IVA, l’IRAP non viene «rimborsata» quando, eccezionalmente, il valore è perduto anziché aggiunto. È comunque nella stessa natura di un’attività economica che tali casi siano marginali. Applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione 55. Anche se la Corte ha fatto riferimento ad un’applicazione ad ogni «fase» del processo di produzione e di distribuzione, risulta chiaro dall’art. 2 della prima direttiva che ciò che si intende è un’applicazione alla fase di ciascuna operazione in tale processo. Non rientra nella natura di un’imposta sulla cifra di affari il fatto di essere applicata in fasi puramente interne all’attività commerciale svolta dal soggetto passivo e l’IVA non si applica a tali fasi. 56. L’art. 2 del decreto legislativo prevede che il criterio per l’assoggettamento all’IRAP è «l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi», e l’art. 4, n. 1, prevede che l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione interessata. 57. Sotto questo profilo, la Commissione tributaria afferma che l’«IRAP è riscossa in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione, poiché ogni operatore che si inserisce in una fase del ciclo, producendo valore aggiunto tassabile, viene elevato, dalla legge, a soggetto passivo d’imposta». 58. L’IRAP appare quindi conforme allo stesso modello dell’IVA. Essa è riscossa sulle imprese di tutti coloro che esercitano un’attività tassabile, cosicché qualora i beni o servizi di un’impresa siano utilizzati da un’altra impresa al fine di procurarsi i propri beni o servizi, e questi ultimi siano a loro volta utilizzati da una terza impresa che effettua cessioni ai consumatori finali, l’imposta sarà applicata relativamente a ciascuna fase in tale processo. Ancora, l’applicazione è globale anziché su una base operazione per operazione ma non può esservi dubbio che essa si applichi a ciascuna fase, fino alla stadio del commercio al minuto incluso, come specificato nella prima direttiva. Proporzionale al prezzo dei beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni 59. Sotto questo profilo il giudice del rinvio rileva che «la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo, è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo di vendita di beni e servizi praticato in sede di immissione al consumo. Nonostante il frazionamento, quindi, l’IRAP finisce per agire come un’imposta generale e proporzionale sul prezzo di cessione al consumo di beni e servizi». 60. L’IRAP è riscossa ad una o due aliquote, espresse come una percentuale della base imponibile, che sono stabilite nel decreto legislativo ma possono essere variate entro certi limiti dalla competente autorità regionale (23) . Dato che la base imponibile è sostanzialmente il valore aggiunto dal contribuente ai beni o servizi da lui ceduti, essa è pertanto proporzionale a tale valore. 61. Tuttavia, il carattere globale dell’IRAP consente indubbiamente agli operatori economici un grado di flessibilità maggiore rispetto al caso dell’IVA. Essi possono adeguare il modo in cui trasferiscono l’onere dell’imposta ai loro clienti, o possono addirittura scegliere di non trasferire tale onere per nulla. L’IVA per contro dev’essere applicata all’aliquota appropriata a ciascuna singola cessione. 62. Di conseguenza, mentre il regime IVA richiede che l’ammontare dell’imposta sia una quota proporzionale specificata del prezzo applicato a ciascuna cessione di beni o servizi, di modo che almeno a fini contabili esso rimane rigorosamente «proporzionale, qualunque sia il numero di transazioni», ciò può non essere letteralmente vero relativamente all’IRAP, il cui ammontare in proporzione al prezzo di una data cessione può variare notevolmente o può addirittura essere impossibile da determinare. 63. Non ritengo però che questo punto sia molto importante ai fini della valutazione complessiva. 64. In primo luogo, per quanto riguarda la realtà economica, l’onere di un’imposta riscossa in ciascuna fase di una catena commerciale sarà in genere trasferito lungo la catena stessa. 65. Eccezionalmente e a breve termine, alcuni operatori economici, per varie ragioni, possono aver optato per assorbire l’onere dell’IRAP senza trasferirlo ai loro clienti, ma a lungo termine è probabile che il margine di ciascun operatore si adeguerà e che l’onere verrà alla fine sopportato alla fine della catena. 66. In secondo luogo, la stessa identica opzione è possibile, in termini economici, relativamente all’IVA. Vi è scarsa differenza, o non vi è nessuna differenza di natura pratica o economica, per l’una o l’altra parte ad un’operazione, tra la situazione in cui un operatore decide di «assorbire» l’onere di un’imposta e quella in cui egli riduce il suo margine di profitto, ovvero, forse più verosimilmente, ridistribuisce i suoi margini di profitto tra varie categorie di cessioni in risposta a spinte competitive. Inoltre né l’una né l’altra situazione incide sulla riscossione dell’imposta, che rimane in proporzione costante rispetto al prezzo delle cessioni. 67. In tale contesto, la Corte Costituzionale, nella sua sentenza 10 maggio 2001, ha considerato che «l’onere economico dell’imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative». 68. Nella sentenza Careda (24) , la Corte ha specificamente stabilito che «per avere il carattere d’imposta sulla cifra di affari ai sensi dell’art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore (25) », ma che non è necessario che la normativa nazionale pertinente preveda espressamente la possibilità di trasferirlo in tal modo, o che tale trasferimento risulti da una fattura o da un documento equipollente. 69. Se uno Stato membro potesse introdurre quella che è essenzialmente un’imposta sul valore aggiunto ma sfuggire al divieto di cui all’art. 33 della sesta direttiva garantendo che l’ammontare dell’imposta non debba necessariamente rimanere costante come quota proporzionale del prezzo di ogni singola cessione di beni o servizi, tale divieto sarebbe in realtà reso inoperante e l’armonizzazione richiesta dal mercato interno potrebbe essere elusa (26) . Conclusione per quanto riguarda la compatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario 70. Pertanto giungo alla conclusione che un’imposta quale l’IRAP presenta le caratteristiche sostanziali dell’IVA ed è colpita dal divieto sancito all’art. 33 della sesta direttiva. 71. Tuttavia, deve anche considerarsi quali effetti concreti questa conclusione comporti. Possibilità di limitazione degli effetti della sentenza nel tempo 72. Secondo una giurisprudenza costante, i singoli hanno il diritto di ottenere il rimborso di tributi nazionali riscossi in violazione del diritto comunitario (27) . Risulta che, se l’IRAP fosse dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, in base alle norme procedurali italiane il diritto retroattivo ad un rimborso si estenderebbe per 48 mesi. 73. All’udienza, il governo italiano ha asserito che gli importi riscossi e utilizzati per finanziare le attività delle autorità regionali nel corso di tale periodo erano superiori a EUR 120 miliardi. Alla luce delle gravi conseguenze, esso ha pertanto chiesto che, se l’IRAP dovesse essere dichiarata incompatibile con l’art. 33 della sesta direttiva, gli effetti della sentenza nel tempo debbano essere limitati, come ad esempio nella sentenza EKW (28) . 74. La Corte ha costantemente affermato che l’interpretazione da essa data ad una disposizione di diritto comunitario chiarisce e definisce il significato e la portata di tale disposizione quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore. 75. Eccezionalmente, tuttavia, tenendo presente l’esigenza della certezza del diritto, la Corte può limitare la possibilità per le parti di far valere l’interpretazione contenuta in tale sentenza per mettere in discussione rapporti giuridici instaurati in buona fede nel passato. Prima di decidere di imporre tale limitazione, essa verifica che siano soddisfatti due criteri essenziali, e cioè che le persone interessate debbono aver agito in buona fede e che deve sussistere un rischio di gravi difficoltà (29) . 76. Per quanto riguarda la buona fede, la Corte ha tenuto conto in particolare della posizione assunta dalla Commissione in relazione alla normativa dello Stato membro. La Corte ha riconosciuto, ad esempio, che uno Stato membro può far valere il mancato avvio, da parte della Commissione, di un procedimento per inadempimento nei suoi confronti. Uno Stato membro deve tanto più aver diritto a far valere l’espressa accettazione da parte della Commissione della compatibilità della sua normativa con il diritto comunitario. 77. Nel caso di specie, il governo italiano fa valere il fatto che la normativa era stata notificata alla Commissione in forma di progetto (in quella fase l’imposta era denominata «IREP»), e che in una risposta del 10 marzo 1997, prodotta dall’Italia con altri documenti dell’udienza, il Direttore generale responsabile per le dogane e le imposte indirette scriveva: «Per quanto riguarda… l’IREP, dopo un attento esame della documentazione fornita, posso informarLa che, nel suo stato attuale, la proposta di questa nuova imposta non appare incompatibile con la normativa applicabile nel settore dell’imposta sul valore aggiunto. Ciononostante, mi riservo il diritto di riesaminarla alla luce di eventuali modifiche e/o delle norme di attuazione da adottare». 78. Alla luce di tale lettera, e dell’assenza di qualsiasi successiva reazione critica da parte della Commissione, il governo italiano ritiene che esso potesse legittimamente concludere che l’imposta non era incompatibile con il diritto comunitario. L’agente della Commissione, tuttavia, ha sostenuto all’udienza che la lettera conteneva semplicemente un parere provvisorio emesso dai servizi della Commissione e che nessuna posizione definitiva era stata mai assunta dalla Commissione stessa. La cancelleria ha successivamente inviato alla Commissione i documenti prodotti all’udienza, per eventuali commenti, ma la Commissione non ha aggiunto nulla su questo punto. 79. Per quanto riguarda il rischio di gravi difficoltà, il governo italiano fa valere le enormi somme potenzialmente implicate nei ricorsi per il rimborso di quella che è attualmente la principale se non l’unica fonte di entrate per le regioni, nonché i catastrofici effetti che l’accoglimento di tali ricorsi avrebbe quindi sul finanziamento delle Regioni. 80. A mio parere esiste una seria ragione per limitare gli effetti nel tempo di una declaratoria di incompatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario. Non mi convince la tesi della Commissione dell’importanza da accordare alla lettera del 10 marzo 1997; essa era redatta in termini inequivocabili e firmata dal competente direttore generale, né è stata seguita da ulteriori azioni da parte della Commissione. Il rischio di gravi difficoltà appare inoltre reale; parafrasando i termini della sentenza EKW (30) , un’efficacia temporale illimitata potrebbe «perturbare retroattivamente il sistema di finanziamento delle Regioni italiane». 81. Tuttavia sorge il problema della data che possa poi essere opportuno porre come limite a tale efficacia nel tempo. 82. Nella sentenza EKW, secondo la sua costante prassi in casi del genere, la Corte ha escluso che possa essere fatta valere la sua sentenza in domande di rimborso di un’imposta pagata o esigibile «prima della data della presente sentenza, salvo per i richiedenti i quali, prima di tale data, abbiano agito in giudizio o altrimenti contestato l’imposizione con un’impugnativa equivalente». 83. Tuttavia, è successivamente emerso che tutte le autorità regionali interessate in tale causa avevano modificato la loro legislazione tributaria in modo tale da limitare notevolmente la possibilità di successo di una domanda, anche per chi avesse già intentato un’azione giudiziaria. In tutti i casi tali modifiche erano state effettuate dopo la presentazione delle conclusioni per la sentenza EKW e, in tutti i casi salvo uno, prima della pronuncia della sentenza (31) . 84. Nella fattispecie, il problema è diverso. Risulta dalla stampa italiana che un gran numero di operatori italiani stanno già chiedendo o sono spinti a chiedere un rimborso di somme pagate a titolo di IRAP, in previsione della pronuncia della Corte in questa causa. 85. Pertanto, alla luce dell’effetto delle varie tattiche che sono state o che possono ancore essere adottate in previsione della sentenza della Corte, e del pericolo di gravissima perturbazione del finanziamento regionale – senza alcun probabile beneficio complessivo a lungo termine per i contribuenti dato che ad ogni diminuzione nel finanziamento deve presumibilmente ovviarsi con un’altra imposizione – potrebbe essere opportuno prendere in considerazione un orientamento diverso da quello seguito nella sentenza EKW e in altri casi. 86. Tale orientamento potrebbe ispirarsi a quello frequentemente seguito dalla Corte costituzionale tedesca: una declaratoria di incompatibilità subordinata ad una data futura prima della quale i singoli non possono far valere l’incompatibilità in qualunque domanda nei confronti dello Stato, data scelta al fine di lasciare tempo sufficiente all’emanazione di una nuova normativa. 87. Per codesta Corte muoversi in tal senso sarebbe una notevole innovazione. Tuttavia innovazioni del genere sono state fatte in passato. Vi fu un’innovazione ad esempio nel 1976 quando, nella sentenza Defrenne (32) , la Corte limitò l’effetto retroattivo della sua interpretazione di un articolo del Trattato. Vi furono altre innovazioni nel 1980, quando, nella sentenza Providence Agricole de la Champagne (33) , la Corte applicò il secondo comma di quello che è attualmente l’art. 231 CE per analogia in una pronuncia pregiudiziale, limitando l’efficacia retroattiva di una declaratoria di invalidità di determinati regolamenti della Commissione, e nuovamente nel 1988, quando, nella sentenza van Landschoot (34) essa fece un passo in più, mantenendo gli effetti di una disposizione comunitaria invalida sino al momento in cui essa fosse sostituita da una disposizione valida. 88. Tuttavia, nella fattispecie, può essere difficile per la Corte decidere sulla limitazione nel tempo adeguata, in particolare dato che uno scostamento dall’abituale orientamento della Corte non è stato né discusso durante il procedimento né richiesto dal governo italiano. Alla luce delle difficoltà insite nella scelta della limitazione adeguata, può essere consigliabile per la Corte riaprire la trattazione orale per sentire un’ulteriore discussione su questo punto.
Conclusione
89. Ritengo pertanto che la questione sollevata dalla Commissione tributaria debba essere risolta nel senso che: un’imposta nazionale come l’imposta regionale sulle attività produttive, che – è riscossa su tutte le persone fisiche e giuridiche che esercitano abitualmente un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, – colpisce la differenza tra i ricavi e i costi dell’attività tassabile, – è applicata in ordine a ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione corrispondente ad una cessione o ad una serie di cessioni di beni o servizi effettuate da un soggetto passivo, e – impone, in ciascuna di tali fasi, un onere che è globalmente proporzionale al prezzo al quale i beni o servizi sono ceduti dev’essere qualificata come un’imposta sulla cifra d’affari vietata dall’art. 33, n. 1, della sesta direttiva. 90. Tuttavia, per coloro che cercano di far valere la pronuncia che la Corte emanerà, gli effetti di essa dovrebbero essere soggetti ad una limitazione nel tempo, con riferimento ad una data che dovrà essere fissata dalla Corte.
presentate il 17 marzo 2005
Causa C-475/03
Banca Popolare di Cremona contro Agenzia Entrate Ufficio Cremona
1. Questa domanda di pronuncia pregiudiziale proveniente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona solleva sostanzialmente la questione se un’imposta come l’IRAP – un’imposta regionale sulla produzione riscossa in Italia – sia compatibile con il divieto comunitario di imposte sulla cifra d’affari diverse dall’IVA.
Normativa comunitaria rilevante
2. La parte essenziale del sistema armonizzato dell’IVA delle Comunità è esposto all’art. 2 della prima direttiva IVA (2) : «Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione. A ciascuna transazione, l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio, è esigibile, previa deduzione dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo. Il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto è applicato fino allo stadio del commercio al minuto incluso». 3. Tale sistema di successive applicazioni e deduzioni d’imposta riguarda pertanto una catena di operazioni in cui l’importo netto da pagare in ordine a ciascuna operazione è una determinata parte proporzionale del valore aggiunto a tale stadio. Quando la catena finisce allo stadio finale del consumo privato, l’importo totale riscosso ammonterà alla relativa quota proporzionale del prezzo finale.
4. Norme più dettagliate sono contenute nella sesta direttiva IVA (3) . 5. Ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva, una cessione di beni o una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo che agisce in quanto tale è soggetta all’IVA.
6. Il soggetto passivo è definito all’art. 4, n. 1, come chi esercita un’attività economica, indipendentemente dal suo scopo o dai suoi risultati. Le attività economiche sono, ai sensi dell’art. 4, n. 2, «tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi», unitamente allo «sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità». Ai sensi dell’art. 4, n. 5, tuttavia: «Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni». 7. Il capo X della sesta direttiva prevede che un certo numero di operazioni sia esentato dall’IVA. L’art. 13 elenca le esenzioni che si applicano all’interno del paese – essenzialmente alcune attività di interesse pubblico, alcune operazioni di assicurazione e finanziarie (compresa la gestione di fondi di investimento speciali) e talune operazioni connesse alla proprietà immobiliare – mentre gli artt. 14-16 elencano le esenzioni nel commercio internazionale. L’art. 28 quater (4) , nel capo XVI bis, relativo al regime transitorio degli scambi tra Stati membri, modifica l’art. 16 così da includere il commercio intracomunitario e aggiunge un piccolo numero di altre esenzioni in tale contesto.
8. Gli elementi essenziali del diritto a deduzione sono stabiliti all’art. 17. L’art. 17, n. 2, recita: «Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore: a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo ….». Ai sensi dell’art. 17, n. 3, lett. b), le esportazioni dalla Comunità, che sono esentate ai sensi dell’art. 15, danno luogo ad un diritto di dedurre l’imposta a monte, a differenza delle operazioni interne esenti. 9. Infine, l’art. 33, n. 1, della sesta direttiva (5) dispone: «Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d’affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».
10. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, tale disposizione vieta agli Stati membri di introdurre o mantenere imposte, diritti e tasse che abbiano il carattere di imposte sulla cifra d’affari (6) . Essa cerca di impedire che il funzionamento del sistema comune dell’IVA sia messo in pericolo da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo all’IVA (7) . È chiaro che il sistema comune sarebbe messo in pericolo se un’imposta sostanzialmente analoga all’IVA dovesse essere applicata da uno Stato membro ma dovesse sfuggire all’armonizzazione considerata necessaria per il mercato interno. 11. Imposte, diritti e tasse debbono in ogni caso essere considerati come provvedimenti del genere se presentano le caratteristiche essenziali dell’IVA anche se non sono identici all’IVA in tutto e per tutto. Tali caratteristiche sono definite dalla giurisprudenza della Corte nei seguenti termini: l’IVA si applica in via generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi; essa è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, a prescindere dal numero di operazioni effettuate; essa viene riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione; infine, essa si applica sul valore aggiunto dei beni e dei servizi, in quanto l’imposta dovuta in occasione di un’operazione viene calcolata previa deduzione dell’imposta versata all’atto della precedente operazione. L’art. 33, n. 1, d’altra parte non impedisce il mantenimento o l’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali dell’IVA (8) . Normativa nazionale rilevante
12. Con decreto legislativo 15 dicembre 1997 (9) , la Repubblica italiana ha introdotto un’imposta – l’imposta regionale sulle attività produttive, nota come IRAP – fornendo alle autorità regionali una fonte di entrate per basare l’esercizio dei poteri loro devoluti. 13. Le norme che disciplinano la riscossione dell’IRAP sono complesse, con molti rinvii ad altre normative. Non le esporrò in dettaglio in questa sede. Tuttavia risulta pacifico che le caratteristiche essenziali sono le seguenti. 14. Ai sensi degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo, l’IRAP è riscossa presso coloro che esercitano abitualmente un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazioni di servizi. Moltissime persone fisiche e giuridiche, compresi Stato, enti pubblici e amministrazioni dello Stato, sono soggetti passivi dell’imposta, ma taluni fondi comuni d’investimento, taluni fondi pensione e taluni gruppi economici di interesse europeo sono esenti.
15. L’art. 4, n. 1, definisce la base imponibile come il valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione. Il preciso metodo per determinare tale valore varia alquanto a seconda della categoria di contribuente, ma come principio base per le imprese commerciali esso corrisponde alla differenza risultante nel conto profitti e perdite tra, da un lato, la somma dei proventi dell’attività, non compresi gli introiti da operazioni finanziarie eccezionali, e, dall’altro, i costi di produzione non comprese le spese per il personale o le spese finanziarie. Per le pubbliche autorità e le imprese private a carattere non commerciale, la base dell’imposta è essenzialmente l’ammontare delle retribuzioni. 16. In conformità dell’art. 16, l’aliquota base dell’imposta è del 4,25% del valore della produzione netta così definito, aliquota che è raddoppiata nel caso di talune pubbliche amministrazioni e che può essere variata dall’autorità regionale fino ad un massimo di un punto percentuale nell’uno o nell’altro modo. La domanda di pronuncia pregiudiziale 17. Nel 1999, la Banca Popolare di Cremona (in prosieguo: la «Banca Popolare») ha chiesto il rimborso di varie somme da essa versate a titolo di IRAP in tale anno e nell’anno precedente, sostenendo che l’imposta era illegittima in quanto, tra l’altro, incompatibile con l’art. 33 della sesta direttiva. 18. La validità dell’IRAP era altresì contestata in vari altri giudizi in Italia in base alla pretesa incompatibilità con una serie di norme della Costituzione italiana. Il 10 maggio 2001, in una sentenza (10) sulla quale sia il giudice del rinvio sia tutti coloro che hanno presentato osservazioni hanno attirato l’attenzione della Corte, la Corte costituzionale ha dichiarato che tali contestazioni erano infondate. 19. Le autorità fiscali hanno successivamente rifiutato di rimborsare le somme reclamate dalla Banca Popolare, che ha impugnato tale rifiuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. 20. Il giudice nazionale considera che:
– come l’IVA, l’IRAP si applica in modo generalizzato a tutte le operazioni commerciali relative alla produzione o allo scambio di beni, o alla prestazioni di servizi, nel contesto di un commercio o di un’attività professionale. – come nel caso dell’IVA, la base sulla quale l’IRAP è riscossa è il valore netto aggiunto dal contribuente, anche se il metodo di calcolo è diverso: mentre per l’IVA l’imposta a monte viene dedotta dall’imposta a valle, per l’IRAP i costi sono dedotti dai ricavi; – come l’IVA, l’IRAP è riscossa in ciascuna fase del processo di produzione o di distribuzione, dato che ogni operatore che produce valore aggiunto imponibile è tenuto al pagamento dell’imposta; – come nel caso dell’IVA, la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi fino al consumo finale è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo praticato nei confronti del consumatore finale, di modo che essa corrisponde ad un’imposta generale e proporzionale sul prezzo al quale i beni o servizi sono ceduti al consumatore.
21. Esaminando queste considerazioni alla luce della giurisprudenza della Corte sull’art. 33 della sesta direttiva, la Commissione tributaria esprime il punto di vista secondo cui l’IRAP presenta le caratteristiche sostanziali dell’IVA, di modo che essa appare incompatibile con il diritto comunitario e dovrebbe pertanto essere disapplicata dai giudici nazionali. 22. Tuttavia, alla luce della novità della questione e della mancanza di una specifica giurisprudenza, essa ha deciso innanzi tutto di chiedere una pronuncia della Corte di giustizia sulla seguente questione pregiudiziale: «se l’art. 33 della direttiva 77/388/CEE (così come modificato dalla direttiva 91/380/CEE) debba essere interpretato nel senso che esso vieti di assoggettare ad IRAP il valore della produzione netta derivante dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». 23. Hanno presentato osservazioni scritte la Banca Popolare, il governo italiano e la Commissione e hanno poi partecipato tutti alla trattazione orale all’udienza. La Banca Popolare e la Commissione asseriscono che l’art. 33 vieta un’imposta avente le caratteristiche dell’IRAP, mentre il governo italiano sostiene che tali caratteristiche sono sufficientemente diverse da quelle dell’IVA perché la stessa imposta non rientri in tale divieto. Valutazione
24. È pacifico che per essere colpita dal divieto di cui all’art. 33 della sesta direttiva, un’imposta nazionale deve presentare tutte le caratteristiche essenziali dell’IVA che, secondo la giurisprudenza della Corte, sono nel numero di quattro, strettamente corrispondenti alla definizione contenuta all’art. 2 della prima direttiva: – si applica in modo generale alle cessioni di beni o di servizi; – è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni intervenute; – è applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione; e – grava sul valore aggiunto ai beni e/o ai servizi di cui trattasi. 25. La presenza di tutte le quattro caratteristiche essenziali dell’IVA è pertanto condizione tanto necessaria quanto sufficiente perché un’imposta sia vietata ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva. Tuttavia è parimenti pacifico che un’imposta non sfugge al divieto semplicemente perché non è identica all’IVA sotto tutti i profili (11) . 26. È perciò necessario considerare le quattro caratteristiche una alla volta, e valutare se l’IRAP le presenta almeno in forma sostanzialmente identica. Ritengo più chiaro esaminare tali caratteristiche nell’ordine seguito dal giudice del rinvio, che è leggermente diverso da quello spesso seguito nella giurisprudenza (12) . Inizierò quindi esaminando la questione se l’IRAP si applichi in modo generalizzato, poi se essa sia riscossa sul valore aggiunto alle cessioni, quindi se essa si applichi a tutte le fasi ed infine se sia proporzionale al valore aggiunto, a prescindere dal numero di operazioni.
27. Chiaramente, solo i giudici italiani sono competenti a determinare le precise caratteristiche dell’IRAP, il che comporta questioni alquanto dettagliate di diritto nazionale. Tuttavia, sulla base delle descrizioni fornite dal giudice a quo nell’ordinanza di rinvio e dalla Corte costituzionale nella sua sentenza (13) , codesta Corte è a mio parere in grado di valutare se un’imposta del tipo descritto presenti le caratteristiche essenziali dell’IVA. Applicazione in modo generalizzato alle cessioni di beni e di servizi 28. La Commissione tributaria afferma che dall’art. 2 del decreto legislativo consegue che l’«IRAP si applica, in modo generalizzato, a tutte le operazioni commerciali di produzione o di scambio aventi ad oggetto beni e servizi e derivanti dall’esercizio in modo abituale di un’attività volta a tale fine, vale a dire nell’esercizio di imprese o di arti e professioni». Come sottolineato sia dalla Banca Popolare sia dalla Commissione, ciò significa un grado di applicazione del tutto generale per l’IRAP. 29. La Corte ha ritenuto che un’imposta non si applichi in modo generalizzato quando esse si applica solo a limitate categorie di cessioni di beni o di servizi (14) o a specifiche categorie di soggetti passivi (15) . Tuttavia, essa presenta ancora tale essenziale caratteristica dell’IVA se si applica sia per attività commerciali soggette all’IVA sia ad altri tipi di prestazioni industriali o commerciali non soggette ad IVA (16) . 30. Mi sembra che l’IRAP presenti la caratteristica di cui trattasi. Infatti le disposizioni degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo, che definiscono le attività che danno luogo ad imposizione e i soggetti passivi, sono per la verità sostanzialmente molto simili a quelle dell’art. 4, nn. 1 e 2, della sesta direttiva. 31. Nessuna categoria di beni o di servizi appare esclusa in quanto tale. Alcune categorie di contribuenti sono escluse ma le esclusioni sono limitate quanto al numero ed alla portata e sembrano coincidere sostanzialmente con talune esenzioni a norma della sesta direttiva o con l’esclusione di talune operazioni che ricadono interamente fuori dall’ambito di applicazione dell’IVA. Sia nelle sue osservazioni scritte sia all’udienza la Banca Popolare ha affermato, senza essere contraddetta, che tutti gli operatori titolari di partita IVA sono soggetti all’IRAP.
32. Anche all’udienza, tuttavia, il governo italiano ha sostenuto che benché l’IRAP possa essere descritta come imposta applicabile in modo generalizzato, essa non è applicabile alle cessioni di beni o servizi; essa si applica a ricchezza creata e non a cessioni effettuate, di modo che ad esempio un’impresa che in un determinato periodo d’imposta produce 1000 autoveicoli ma non li vende pagherà l’IRAP ma non l’IVA in tale periodo d’imposta. Pertanto l’IRAP, a differenza dell’IVA, è in ogni caso un’imposta diretta e non indiretta. Il governo italiano fa altresì riferimento a talune convenzioni comunitarie e a documenti della Commissione che classificano l’IRAP come un’imposta diretta. La Banca Popolare ha energicamente contestato l’asserzione secondo cui l’IRAP era riscossa su beni prodotti ma non ancora venduti. 33. Codesta Corte non è competente a determinare lo stadio in cui l’IRAP è riscossa. Tuttavia, non ritengo che la tesi del governo italiano incida sulla qualificazione dell’IRAP come imposta applicabile in modo generalizzato alle cessioni di beni e di servizi. 34. La classificazione delle imposte in «dirette» e «indirette» non è sempre agevole o addirittura, a molti fini, rilevante. Nella fattispecie, la questione non è quella di stabilire se l’IRAP debba essere qualificata come imposta diretta o indiretta, ma se essa abbia le stesse caratteristiche sostanziali dell’IVA. 35. Tuttavia, una distinzione comunemente accettata tra imposizione diretta e indiretta è che la prima grava su una ricchezza o su un reddito a disposizione di una stessa persona (fisica o giuridica), senza alcuna possibilità di traslazione ad un’altra persona, mentre la seconda è riscossa su spese o consumi e il suo onere può essere – e di fatto normalmente è – trasferito sul consumatore finale e da esso sopportato. Alle luce di ciò mi sembra che il meccanismo descritto dal governo italiano sia quello di un’imposta indiretta, il cui onere sarà sostanzialmente sopportato dal consumatore finale.
36. La Corte costituzionale nella sua sentenza afferma che l’IRAP «non colpisce il reddito personale del contribuente bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate». Respingendo taluni argomenti nel senso che l’imposta era riscossa su una «mera potenzialità di capacità contributiva», essa afferma che la base sulla quale l’IRAP è calcolata è «il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate» (17) . 37. Pertanto, se l’IRAP può essere riscossa in un momento precedente alla cessione effettiva dei beni, ciò non le impedisce di gravare sulla successiva cessione come se essa fosse stata riscossa a quel momento, con un risultato esattamente equivalente a quello dell’IVA. 38. D’altra parte, sembra che l’IRAP possa essere sotto parecchi profili persino di applicazione più generale rispetto all’IVA. Chiaramente, lo Stato e le autorità regionali ad esempio non sono esenti così come avviene ai sensi dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, e l’imposta è riscossa su esportazioni senza possibilità di rimborso, diversamente dalle fattispecie di cui agli artt. 15 e 17, n. 3, lett. b), della sesta direttiva. 39. Tuttavia risulta chiaramente dalla sentenza Dansk Denkavit (18) che qualora un’imposta abbia sostanzialmente lo stesso ambito di applicazione dell’IVA, il fatto che essa si estenda anche ad altri settori non rientranti nell’IVA nulla taglie alla sua somiglianza con quest’ultima imposta ai fini della sua valutazione ai sensi dell’art. 33 della sesta direttiva. Pertanto, solo se il suo ambito di applicazione fosse considerevolmente più ristretto all’IRAP mancherebbe la caratteristica essenziale dell’applicazione in modo generalizzato. 40. Per giunta consegue da tale principio, da tenere chiaramente presente nel valutare la natura dell’imposta in relazione all’IVA, che qualora l’IRAP si applichi a fattispecie non rientranti nell’ambito di applicazione dell’IVA, qualsiasi differenza tra la sua base di calcolo in tali fattispecie e la base di calcolo ai fini dell’IVA è semplicemente irrilevante. Gravante sul valore aggiunto ai beni o servizi forniti
41. È pacifico che il metodo di calcolo dell’IRAP differisce da quello applicato per l’IVA. 42. Il giudice del rinvio afferma: «Nell’IVA la quantificazione e tassazione della frazione o segmento di valore aggiunto (vap) prodottasi presso il singolo produttore avvengono col meccanismo della detrazione imposta da imposta (l’imposta a monte, pagata sugli acquisti, si deduce dall’imposta a valle, incassata sulle vendite). Nell’IRAP la frazione è calcolata e tassata deducendo a un di presso dal ricavato delle «vendite» il costo di acquisto del «venduto». 43. Tuttavia, esso continua, nei loro risultati i due meccanismi «si assomigliano come due gocce d’acqua». 44. In ogni caso, il punto da stabilire è se l’IRAP gravi sul valore aggiunto ai beni e ai servizi, non se tale valore sia calcolato allo stesso modo rispetto all’IVA. Può inoltre essere ricordato che la Corte costituzionale ha dichiarato che l’IRAP è un’imposta sul valore aggiunto (19) . 45. Il valore aggiunto può essere definito in diversi ma ugualmente validi modi e, come la Corte ha sottolineato, non è necessario che un’imposta sia identica all’IVA sotto tutti gli aspetti perché essa urti contro il divieto contenuto all’art. 33 della sesta direttiva. 46. Secondo le informazioni agli atti sembra che la base di calcolo per l’IRAP sia essenzialmente la differenza tra i ricavi e i costi (non compresi i salari o taluni costi finanziari) delle attività produttive del contribuente per un determinato periodo d’imposta – normalmente, a quanto risulta, un anno civile. Ciò può chiaramente essere considerato come un modo, anche se non il solo, di definire il valore aggiunto dal contribuente ai beni e servizi da lui ceduti.
47. L’IVA, d’altro canto, è in teoria riscossa sull’intero valore di ciascuna cessione imponibile effettuata, mentre il suo ammontare viene ridotto in misura pari a quello dell’imposta già pagata sui componenti il costo di tale cessione (ad esclusione ancora dei salari e di molti costi finanziari, che sono esenti). In pratica, tuttavia, l’imposta dovuta su tutte le cessioni effettuate in un determinato periodo d’imposta – fino ad un anno – viene cumulata, in quanto è l’imposta pagata su tutti i componenti il costo acquistati durante tale periodo, e l’ultima è dedotta dalla prima (20) . 48. Pertanto in pratica vi è poca differenza tra le due imposte, e forse anche meno nei risultati, anche se l’IVA è concepita come un’imposta calcolata su una base operazione per operazione. Inoltre l’esistenza di ciò che il giudice del rinvio descrive come «minuzie contabili di risibile importanza» non può a mio parere essere sufficiente a superare tale sostanziale analogia se il divieto di altre imposte o tasse aventi la natura dell’IVA deve avere davvero qualche efficacia. 49. Infatti, nella sentenza Dansk Denkavit (21) , la Corte ha dichiarato in contrasto con l’art. 33 della sesta direttiva un tributo che, essa ha rilevato, era riscosso come una percentuale «dell’importo totale delle vendite realizzate da ciascuna impresa e dei servizi da essa prestati in un determinato periodo di tempo, detratto l’importo degli acquisti di beni e servizi effettuati nel corso dello stesso periodo dalla stessa impresa», descrizione questa di un meccanismo chiaramente molto vicino a quello con il quale è calcolata l’IRAP. 50. Il governo italiano segnala tuttavia una distinzione che potrebbe risultare significativa. Poiché in base al regime IVA un soggetto passivo può dedurre l’imposta a monte non appena essa è sopportata, indipendentemente dall’ammontare dell’imposta a valle dovuta nel corso dello stesso periodo d’imposta, possono verificarsi e si verificano casi in cui il pagamento netto in un particolare periodo avviene dall’autorità fiscale al soggetto passivo anziché l’inverso. Con l’IRAP ciò è impossibile: se in un determinato periodo d’imposta le spese eccedono i ricavi, l’imposta è semplicemente pari a zero. 51. È vero che il diritto di deduzione è espressione del principio chiave secondo cui l’IVA dev’essere completamente neutrale per quanto riguarda l’onere nei confronti di tutte le attività economiche imponibili di un’impresa, e in quanto tale è una parte essenziale del regime IVA. 52. Tuttavia, il fatto che un’altra imposta non usi tale meccanismo e possa quindi non avere lo stesso grado di neutralità fiscale non incide sulla questione di stabilire se essa sia riscossa sul valore aggiunto dal contribuente. 53. Sotto tale profilo, possiamo nuovamente tracciare un’analogia con la posizione assunta dalla Corte nella causa Dansk Denkavit (22) e concludere in via generale che un’imposta non perde le caratteristiche essenziali dall’IVA solo perché il suo ambito di applicazione è più ampio o perché essa ha altre caratteristiche aggiuntive. Ciò che importa è piuttosto la misura, semmai, in cui può mancare qualcuna delle caratteristiche essenziali a cui si è fatto riferimento.
54. In sintesi, sia l’IVA sia l’IRAP sono riscosse sul valore aggiunto a beni e a servizi; su tale situazione non incide il fatto che, a differenza dell’IVA, l’IRAP non viene «rimborsata» quando, eccezionalmente, il valore è perduto anziché aggiunto. È comunque nella stessa natura di un’attività economica che tali casi siano marginali. Applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione 55. Anche se la Corte ha fatto riferimento ad un’applicazione ad ogni «fase» del processo di produzione e di distribuzione, risulta chiaro dall’art. 2 della prima direttiva che ciò che si intende è un’applicazione alla fase di ciascuna operazione in tale processo. Non rientra nella natura di un’imposta sulla cifra di affari il fatto di essere applicata in fasi puramente interne all’attività commerciale svolta dal soggetto passivo e l’IVA non si applica a tali fasi. 56. L’art. 2 del decreto legislativo prevede che il criterio per l’assoggettamento all’IRAP è «l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi», e l’art. 4, n. 1, prevede che l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione interessata. 57. Sotto questo profilo, la Commissione tributaria afferma che l’«IRAP è riscossa in ogni fase del processo di produzione o di distribuzione, poiché ogni operatore che si inserisce in una fase del ciclo, producendo valore aggiunto tassabile, viene elevato, dalla legge, a soggetto passivo d’imposta». 58. L’IRAP appare quindi conforme allo stesso modello dell’IVA. Essa è riscossa sulle imprese di tutti coloro che esercitano un’attività tassabile, cosicché qualora i beni o servizi di un’impresa siano utilizzati da un’altra impresa al fine di procurarsi i propri beni o servizi, e questi ultimi siano a loro volta utilizzati da una terza impresa che effettua cessioni ai consumatori finali, l’imposta sarà applicata relativamente a ciascuna fase in tale processo. Ancora, l’applicazione è globale anziché su una base operazione per operazione ma non può esservi dubbio che essa si applichi a ciascuna fase, fino alla stadio del commercio al minuto incluso, come specificato nella prima direttiva. Proporzionale al prezzo dei beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni 59. Sotto questo profilo il giudice del rinvio rileva che «la somma delle IRAP riscosse nelle varie fasi del ciclo, dalla produzione alla immissione al consumo, è pari all’aliquota IRAP applicata al prezzo di vendita di beni e servizi praticato in sede di immissione al consumo. Nonostante il frazionamento, quindi, l’IRAP finisce per agire come un’imposta generale e proporzionale sul prezzo di cessione al consumo di beni e servizi». 60. L’IRAP è riscossa ad una o due aliquote, espresse come una percentuale della base imponibile, che sono stabilite nel decreto legislativo ma possono essere variate entro certi limiti dalla competente autorità regionale (23) . Dato che la base imponibile è sostanzialmente il valore aggiunto dal contribuente ai beni o servizi da lui ceduti, essa è pertanto proporzionale a tale valore. 61. Tuttavia, il carattere globale dell’IRAP consente indubbiamente agli operatori economici un grado di flessibilità maggiore rispetto al caso dell’IVA. Essi possono adeguare il modo in cui trasferiscono l’onere dell’imposta ai loro clienti, o possono addirittura scegliere di non trasferire tale onere per nulla. L’IVA per contro dev’essere applicata all’aliquota appropriata a ciascuna singola cessione. 62. Di conseguenza, mentre il regime IVA richiede che l’ammontare dell’imposta sia una quota proporzionale specificata del prezzo applicato a ciascuna cessione di beni o servizi, di modo che almeno a fini contabili esso rimane rigorosamente «proporzionale, qualunque sia il numero di transazioni», ciò può non essere letteralmente vero relativamente all’IRAP, il cui ammontare in proporzione al prezzo di una data cessione può variare notevolmente o può addirittura essere impossibile da determinare. 63. Non ritengo però che questo punto sia molto importante ai fini della valutazione complessiva. 64. In primo luogo, per quanto riguarda la realtà economica, l’onere di un’imposta riscossa in ciascuna fase di una catena commerciale sarà in genere trasferito lungo la catena stessa. 65. Eccezionalmente e a breve termine, alcuni operatori economici, per varie ragioni, possono aver optato per assorbire l’onere dell’IRAP senza trasferirlo ai loro clienti, ma a lungo termine è probabile che il margine di ciascun operatore si adeguerà e che l’onere verrà alla fine sopportato alla fine della catena. 66. In secondo luogo, la stessa identica opzione è possibile, in termini economici, relativamente all’IVA. Vi è scarsa differenza, o non vi è nessuna differenza di natura pratica o economica, per l’una o l’altra parte ad un’operazione, tra la situazione in cui un operatore decide di «assorbire» l’onere di un’imposta e quella in cui egli riduce il suo margine di profitto, ovvero, forse più verosimilmente, ridistribuisce i suoi margini di profitto tra varie categorie di cessioni in risposta a spinte competitive. Inoltre né l’una né l’altra situazione incide sulla riscossione dell’imposta, che rimane in proporzione costante rispetto al prezzo delle cessioni. 67. In tale contesto, la Corte Costituzionale, nella sua sentenza 10 maggio 2001, ha considerato che «l’onere economico dell’imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative». 68. Nella sentenza Careda (24) , la Corte ha specificamente stabilito che «per avere il carattere d’imposta sulla cifra di affari ai sensi dell’art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore (25) », ma che non è necessario che la normativa nazionale pertinente preveda espressamente la possibilità di trasferirlo in tal modo, o che tale trasferimento risulti da una fattura o da un documento equipollente. 69. Se uno Stato membro potesse introdurre quella che è essenzialmente un’imposta sul valore aggiunto ma sfuggire al divieto di cui all’art. 33 della sesta direttiva garantendo che l’ammontare dell’imposta non debba necessariamente rimanere costante come quota proporzionale del prezzo di ogni singola cessione di beni o servizi, tale divieto sarebbe in realtà reso inoperante e l’armonizzazione richiesta dal mercato interno potrebbe essere elusa (26) . Conclusione per quanto riguarda la compatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario 70. Pertanto giungo alla conclusione che un’imposta quale l’IRAP presenta le caratteristiche sostanziali dell’IVA ed è colpita dal divieto sancito all’art. 33 della sesta direttiva. 71. Tuttavia, deve anche considerarsi quali effetti concreti questa conclusione comporti. Possibilità di limitazione degli effetti della sentenza nel tempo 72. Secondo una giurisprudenza costante, i singoli hanno il diritto di ottenere il rimborso di tributi nazionali riscossi in violazione del diritto comunitario (27) . Risulta che, se l’IRAP fosse dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, in base alle norme procedurali italiane il diritto retroattivo ad un rimborso si estenderebbe per 48 mesi. 73. All’udienza, il governo italiano ha asserito che gli importi riscossi e utilizzati per finanziare le attività delle autorità regionali nel corso di tale periodo erano superiori a EUR 120 miliardi. Alla luce delle gravi conseguenze, esso ha pertanto chiesto che, se l’IRAP dovesse essere dichiarata incompatibile con l’art. 33 della sesta direttiva, gli effetti della sentenza nel tempo debbano essere limitati, come ad esempio nella sentenza EKW (28) . 74. La Corte ha costantemente affermato che l’interpretazione da essa data ad una disposizione di diritto comunitario chiarisce e definisce il significato e la portata di tale disposizione quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore. 75. Eccezionalmente, tuttavia, tenendo presente l’esigenza della certezza del diritto, la Corte può limitare la possibilità per le parti di far valere l’interpretazione contenuta in tale sentenza per mettere in discussione rapporti giuridici instaurati in buona fede nel passato. Prima di decidere di imporre tale limitazione, essa verifica che siano soddisfatti due criteri essenziali, e cioè che le persone interessate debbono aver agito in buona fede e che deve sussistere un rischio di gravi difficoltà (29) . 76. Per quanto riguarda la buona fede, la Corte ha tenuto conto in particolare della posizione assunta dalla Commissione in relazione alla normativa dello Stato membro. La Corte ha riconosciuto, ad esempio, che uno Stato membro può far valere il mancato avvio, da parte della Commissione, di un procedimento per inadempimento nei suoi confronti. Uno Stato membro deve tanto più aver diritto a far valere l’espressa accettazione da parte della Commissione della compatibilità della sua normativa con il diritto comunitario. 77. Nel caso di specie, il governo italiano fa valere il fatto che la normativa era stata notificata alla Commissione in forma di progetto (in quella fase l’imposta era denominata «IREP»), e che in una risposta del 10 marzo 1997, prodotta dall’Italia con altri documenti dell’udienza, il Direttore generale responsabile per le dogane e le imposte indirette scriveva: «Per quanto riguarda… l’IREP, dopo un attento esame della documentazione fornita, posso informarLa che, nel suo stato attuale, la proposta di questa nuova imposta non appare incompatibile con la normativa applicabile nel settore dell’imposta sul valore aggiunto. Ciononostante, mi riservo il diritto di riesaminarla alla luce di eventuali modifiche e/o delle norme di attuazione da adottare». 78. Alla luce di tale lettera, e dell’assenza di qualsiasi successiva reazione critica da parte della Commissione, il governo italiano ritiene che esso potesse legittimamente concludere che l’imposta non era incompatibile con il diritto comunitario. L’agente della Commissione, tuttavia, ha sostenuto all’udienza che la lettera conteneva semplicemente un parere provvisorio emesso dai servizi della Commissione e che nessuna posizione definitiva era stata mai assunta dalla Commissione stessa. La cancelleria ha successivamente inviato alla Commissione i documenti prodotti all’udienza, per eventuali commenti, ma la Commissione non ha aggiunto nulla su questo punto. 79. Per quanto riguarda il rischio di gravi difficoltà, il governo italiano fa valere le enormi somme potenzialmente implicate nei ricorsi per il rimborso di quella che è attualmente la principale se non l’unica fonte di entrate per le regioni, nonché i catastrofici effetti che l’accoglimento di tali ricorsi avrebbe quindi sul finanziamento delle Regioni. 80. A mio parere esiste una seria ragione per limitare gli effetti nel tempo di una declaratoria di incompatibilità dell’IRAP con il diritto comunitario. Non mi convince la tesi della Commissione dell’importanza da accordare alla lettera del 10 marzo 1997; essa era redatta in termini inequivocabili e firmata dal competente direttore generale, né è stata seguita da ulteriori azioni da parte della Commissione. Il rischio di gravi difficoltà appare inoltre reale; parafrasando i termini della sentenza EKW (30) , un’efficacia temporale illimitata potrebbe «perturbare retroattivamente il sistema di finanziamento delle Regioni italiane». 81. Tuttavia sorge il problema della data che possa poi essere opportuno porre come limite a tale efficacia nel tempo. 82. Nella sentenza EKW, secondo la sua costante prassi in casi del genere, la Corte ha escluso che possa essere fatta valere la sua sentenza in domande di rimborso di un’imposta pagata o esigibile «prima della data della presente sentenza, salvo per i richiedenti i quali, prima di tale data, abbiano agito in giudizio o altrimenti contestato l’imposizione con un’impugnativa equivalente». 83. Tuttavia, è successivamente emerso che tutte le autorità regionali interessate in tale causa avevano modificato la loro legislazione tributaria in modo tale da limitare notevolmente la possibilità di successo di una domanda, anche per chi avesse già intentato un’azione giudiziaria. In tutti i casi tali modifiche erano state effettuate dopo la presentazione delle conclusioni per la sentenza EKW e, in tutti i casi salvo uno, prima della pronuncia della sentenza (31) . 84. Nella fattispecie, il problema è diverso. Risulta dalla stampa italiana che un gran numero di operatori italiani stanno già chiedendo o sono spinti a chiedere un rimborso di somme pagate a titolo di IRAP, in previsione della pronuncia della Corte in questa causa. 85. Pertanto, alla luce dell’effetto delle varie tattiche che sono state o che possono ancore essere adottate in previsione della sentenza della Corte, e del pericolo di gravissima perturbazione del finanziamento regionale – senza alcun probabile beneficio complessivo a lungo termine per i contribuenti dato che ad ogni diminuzione nel finanziamento deve presumibilmente ovviarsi con un’altra imposizione – potrebbe essere opportuno prendere in considerazione un orientamento diverso da quello seguito nella sentenza EKW e in altri casi. 86. Tale orientamento potrebbe ispirarsi a quello frequentemente seguito dalla Corte costituzionale tedesca: una declaratoria di incompatibilità subordinata ad una data futura prima della quale i singoli non possono far valere l’incompatibilità in qualunque domanda nei confronti dello Stato, data scelta al fine di lasciare tempo sufficiente all’emanazione di una nuova normativa. 87. Per codesta Corte muoversi in tal senso sarebbe una notevole innovazione. Tuttavia innovazioni del genere sono state fatte in passato. Vi fu un’innovazione ad esempio nel 1976 quando, nella sentenza Defrenne (32) , la Corte limitò l’effetto retroattivo della sua interpretazione di un articolo del Trattato. Vi furono altre innovazioni nel 1980, quando, nella sentenza Providence Agricole de la Champagne (33) , la Corte applicò il secondo comma di quello che è attualmente l’art. 231 CE per analogia in una pronuncia pregiudiziale, limitando l’efficacia retroattiva di una declaratoria di invalidità di determinati regolamenti della Commissione, e nuovamente nel 1988, quando, nella sentenza van Landschoot (34) essa fece un passo in più, mantenendo gli effetti di una disposizione comunitaria invalida sino al momento in cui essa fosse sostituita da una disposizione valida. 88. Tuttavia, nella fattispecie, può essere difficile per la Corte decidere sulla limitazione nel tempo adeguata, in particolare dato che uno scostamento dall’abituale orientamento della Corte non è stato né discusso durante il procedimento né richiesto dal governo italiano. Alla luce delle difficoltà insite nella scelta della limitazione adeguata, può essere consigliabile per la Corte riaprire la trattazione orale per sentire un’ulteriore discussione su questo punto.
Conclusione
89. Ritengo pertanto che la questione sollevata dalla Commissione tributaria debba essere risolta nel senso che: un’imposta nazionale come l’imposta regionale sulle attività produttive, che – è riscossa su tutte le persone fisiche e giuridiche che esercitano abitualmente un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, – colpisce la differenza tra i ricavi e i costi dell’attività tassabile, – è applicata in ordine a ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione corrispondente ad una cessione o ad una serie di cessioni di beni o servizi effettuate da un soggetto passivo, e – impone, in ciascuna di tali fasi, un onere che è globalmente proporzionale al prezzo al quale i beni o servizi sono ceduti dev’essere qualificata come un’imposta sulla cifra d’affari vietata dall’art. 33, n. 1, della sesta direttiva. 90. Tuttavia, per coloro che cercano di far valere la pronuncia che la Corte emanerà, gli effetti di essa dovrebbero essere soggetti ad una limitazione nel tempo, con riferimento ad una data che dovrà essere fissata dalla Corte.