30.04.03 free
Conclusioni dell'Avvocato generale - L.A. GEELHOED - Causa C-25/02- Obbligo di svolgere un periodo minimo a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo ridotto per il conseguimento del titolo di medico generico»
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 6 febbraio 2003
Causa C-25/02
Katharina RINKE
contro
Ärztekammer Hamburg
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) (Germania)]
«Parità di trattamento fra uomini e donne - Interpretazione delle direttive 76/207/CEE, 86/457/CEE e 92/16/CEE - Obbligo di svolgere un periodo minimo a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo ridotto per il conseguimento del titolo di medico generico»
I - Introduzione
1.
Il presente procedimento concerne la questione se l'obbligo di svolgere una serie di periodi a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo parziale per il conseguimento del titolo di medico generico, stabilito dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli (2)(in prosieguo: la «direttiva 93/16»), discrimini indirettamente le donne, la questione del rapporto fra detta direttiva e la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (3) (in prosieguo: la «direttiva 76/207»), e la questione se il divieto di discriminazione sulla base del sesso faccia parte dei principi fondamentali non scritti del diritto comunitario, che si sostituiscono ad una norma contraria del diritto comunitario derivato.
II - Ambito normativo
2.
Ai sensi dell'art. 1 della direttiva 76/207, scopo della direttiva è l'attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l'accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro (4)e la previdenza sociale.
3.
Conformemente all'art. 2 della direttiva 76/207, il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
4.
L'applicazione del principio della parità di trattamento comporta, ai sensi di detta direttiva (5), l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso - indipendentemente dall'attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale - per quanto attiene alle condizioni d'accesso, all'orientamento, alla formazione, al perfezionamento e all'aggiornamento professionali. Gli Stati membri devono prendere tutte le misure necessarie affinché siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento.
5.
La direttiva del Consiglio 15 settembre 1986, 86/457/CEE, relativa alla formazione specifica in medicina generale (6)(in prosieguo: la «direttiva 86/457»), ha introdotto una specifica formazione in medicina generale. Ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), di questa direttiva, detta formazione deve avere una durata di almeno due anni a tempo pieno. L'art. 5 della direttiva consente anche una formazione a tempo ridotto, purché venga rispettata una serie di condizioni. Il contenuto della direttiva 86/457 è stato riprodotto nella direttiva 93/16. L'art. 5 della direttiva 86/457 è identico all'attuale art. 34 della direttiva 93/16.
6.
L'art. 34 della direttiva 93/16 recita quanto segue:
«1. Fermo restando il principio della formazione a tempo pieno enunciato nell'articolo 31, paragrafo 1, lettera b), gli Stati membri possono autorizzare, oltre a detta formazione a tempo pieno, una formazione specifica in medicina generale a tempo ridotto, purché vengano rispettate le seguenti condizioni particolari:
- la durata complessiva della formazione non può essere abbreviata in ragione del fatto che è effettuata a tempo ridotto;
- l'orario settimanale della formazione a tempo ridotto non può essere inferiore al 60% dell'orario settimanale a tempo pieno;
- la formazione a tempo ridotto deve comportare un certo numero di periodi di formazione a tempo pieno, sia per la parte dispensata in un centro ospedaliero, che per la parte dispensata presso un ambulatorio di medicina generale riconosciuto o un centro riconosciuto nel quale i medici dispensano cure primarie. Questi periodi di formazione a tempo pieno sono di numero e di durata tali da preparare in modo adeguato all'effettivo esercizio della medicina generale.
2. La formazione a tempo ridotto deve avere un livello qualitativo equivalente a quello della formazione a tempo pieno. Essa viene comprovata dal diploma, certificato o altro titolo di cui all'articolo 30».
7.
Ai sensi dell'art. 25 della direttiva 93/16, gli Stati membri possono autorizzare una formazione specializzata a tempo ridotto, alle condizioni ammesse dalle autorità nazionali competenti, quando, per casi singoli giustificati, non sia realizzabile una formazione a tempo pieno. Contrariamente all'art. 34, l'art. 25 non impone che un certo periodo di formazione sia svolto a tempo pieno.
III - Fatti della causa principale e svolgimento del procedimento
A - La causa principale
8.
La sig.ra Rinke, ricorrente nella causa principale, è un medico abilitato. Ella fa valere il suo diritto ad essere registrata come «praktische Ärtzin» (medico generico) sulla base di una formazione a tempo parziale seguita presso un ambulatorio di medicina generale nella città di Amburgo.
9.
In origine, la sig.ra Rinke ha seguito la formazione per medico (specialista) in medicina generale prevista dal Weiterbildungsordnung (disposizioni in materia di formazione) dell'Ärtzekammer (ordine dei medici), convenuta nella controversia principale. Dal 1988 al 1992 è stata impiegata a tempo pieno presso il reparto di medicina interna di un ospedale. Di tale periodo, l'Ärtzekammer ha riconosciuto due anni a titolo di formazione a tempo pieno.
10.
In seguito alla nascita di due figli, la sig.ra Rinke ha deciso di seguire la «formazione specifica in medicina generale» sostanzialmente più breve. Dal 1° aprile 1994 al 31 marzo 1995 la ricorrente è stata impiegata a tempo parziale, con più del 60% del normale orario di lavoro, in un ambulatorio di medicina generale come assistente in formazione.
11.
Il 4 maggio 1995 la sig.ra Rinke ha chiesto un certificato relativo alla «formazione specifica in medicina generale», nonché la connessa autorizzazione ad essere registrata come «medico generico». Con decreto 5 maggio 1995, la convenuta ha respinto la richiesta, motivando che, ai sensi dell'art. 13 ter, secondo comma, prima frase, dell'Hamburgisches Ärztegesetz (legge della città di Amburgo sui medici, in prosieguo: la «HmbÄrzteG»), la formazione prevista deve essere svolta in un ambulatorio di medicina generale per almeno sei mesi a tempo pieno. La legge non prevede alcuna deroga, diversamente da quanto avviene nel caso del Weiterbildungsordnung für die Fachartzausbildung (statuto per la formazione dei medici specializzati).
12.
La ricorrente ha fondato il ricorso proposto in seguito ad un'opposizione, rimasta infruttuosa, sul fatto che la normativa prevista dall'art. 13 ter, secondo comma, prima frase, dell'HmbÄrzteG è in contrasto con il divieto comunitario didiscriminazione sancito dalla direttiva 76/207. Il requisito disposto all'art. 5, n. 1, terzo trattino, della direttiva 86/457, relativa alla formazione specifica in medicina generale, secondo cui, in ogni caso, un certo periodo della formazione deve essere svolto a tempo pieno presso un ambulatorio di medicina generale, dovrebbe cedere il passo al principio del divieto di discriminazione.
13.
L'Ärztekammer ha invece fatto valere che la formazione a tempo pieno prevista dalla legge è obiettivamente giustificata. La normativa sarebbe intesa a garantire che il futuro medico generico riceva, durante la sua attività in un ambulatorio di medicina generale, una conoscenza complessiva di tutti i compiti e dell'intera gamma delle attività da svolgere. Durante una mera formazione a tempo parziale, potrebbe avverarsi che il soggetto in formazione non acquisti esperienze in materia di visite a domicilio, ovvero percepisca solo parzialmente gli sviluppi dello stato di salute di un paziente.
14.
Il Verwaltungsgericht ha respinto il ricorso. Il ricorso per cassazione («Revision») proposto contro tale decisione è stato respinto dalla sezione a qua con sentenza 18 febbraio 1999. Il Bundesverwaltungsgericht ha considerato, da un lato, che l'HmbÄrzteG prevede, come parte di una formazione specifica nella medicina generale, al suo art. 13 ter, seconda comma, prima frase, in combinato disposto con l'art. 13 bis, terzo comma, terza frase, un'attività a tempo pieno in un ambulatorio di medicina generale per almeno sei mesi, e, dall'altro, che la ricorrente non soddisfa tale requisito. Secondo detto giudice, sarebbe possibile ritenere che il requisito di una formazione a tempo pieno costituisca in abstracto una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi degli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva sulla parità di trattamento 76/207. Comunque, la normativa emanata dal legislatore amburghese sarebbe giustificata a livello comunitario dall'art. 34, n. 1, della direttiva 93/16. Il terzo trattino di tale disposizione, identico all'art. 5, n. 1, della direttiva 86/457, osta ad una normativa nazionale che autorizzi l'intera formazione in un ambulatorio di medicina generale a tempo parziale. Secondo i principi generali, tale disciplina si sostituisce alla direttiva in materia di parità di trattamento, dato che le due norme sono di uguale rango nella gerarchia delle norme e la legge speciale adottata successivamente si sostituisce a quella più generica adottata in precedenza. Essa non viola né il divieto di provvedimenti arbitrari, né il principio di proporzionalità. L'esigenza di svolgere la formazione, almeno in parte, a tempo pieno in un ambulatorio di medicina generale è fondata su considerazioni oggettive, data l'immagine di medico generico alla base della direttiva.
15.
Dietro ricorso proposto dalla ricorrente in via di esame di legittimità costituzionale, il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) ha annullato tale sentenza ed ha rinviato il procedimento al Bundesverwaltungsgericht con ordinanza 9 gennaio 2001. Il Bundesverwaltungsgericht ha considerato che quest'ultimo avrebbe violato il diritto della ricorrente al giudice naturale ai sensi dell'art. 101, n. 1, seconda frase, della costituzione tedesca, in quanto, in contrasto con l'art. 234, secondo comma, CE, non ha sottoposto alla Corte di giustizia delleComunità europee, con domanda di pronuncia pregiudiziale, il problema del rapporto tra l'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16 e la direttiva 76/207, sulla parità di trattamento. Secondo detto giudice, non sarebbe evidente l'ammissibilità, anche in ambito comunitario, dei criteri interpretativi presi in considerazione nella sentenza, attinenti alla specialità ed alla prevalenza della norma successiva. Inoltre, si dovrebbe considerare che il divieto di discriminazione ha assunto intanto, nel diritto comunitario, il rango di principio fondamentale e si sostituisce, pertanto, alla direttiva 93/16.
16.
Per tali motivi, il Bundesverwaltungsgericht ha sospeso il procedimento e sottoposto una serie di questioni pregiudiziali. Per chiarire dette questioni il giudice del rinvio ha osservato quanto di seguito illustrato.
17.
In primo luogo, appare problematico accertare se costituisca una discriminazione fondata sul sesso ai sensi della direttiva 76/207 il requisito di cui all'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16, secondo cui la formazione specifica nella medicina generale deve comprendere periodi di formazione a tempo pieno, segnatamente la parte che si svolge in un ambulatorio di medicina generale riconosciuto. E' fuor di dubbio che l'esclusione della possibilità di svolgere l'intera formazione a tempo parziale colpisce le donne in misura maggiore rispetto agli uomini, dato che esse, per esperienza comune, richiedono un impiego a tempo parziale molto più spesso degli uomini. E' invece dubbio se la direttiva relativa alla parità di trattamento sia applicabile al caso di specie, in quanto sembra che, fino ad oggi, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee non si sia confrontata con questa problematica. Tale giurisprudenza verte spesso sulla posizione di svantaggio dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno. Tuttavia nel caso di specie non si tratta del collegamento di conseguenze giuridiche svantaggiose con determinate modalità di impiego. Piuttosto, il legislatore esclude, per tutti i lavoratori interessati, una determinata forma di impiego: il tempo parziale. A tutt'oggi, la Corte non si è pronunciata sulla questione se la direttiva in materia di parità di trattamento sia diretta anche contro tali normative e quali parametri debbano essere presi in considerazione.
18.
Si deve altresì tener conto del fatto che il divieto di discriminazione non è applicabile, in quanto l'esigenza di una formazione a tempo pieno nell'ambito della medicina generale può essere giustificata da fattori estranei ad una discriminazione fondata sul sesso. In questo senso si sviluppano, ad esempio, le considerazioni del giudice a quo nella sentenza annullata sul ruolo del medico di famiglia. D'altra parte, non si può ignorare che, per la formazione del medico specialista in medicina generale, l'art. 25 della direttiva 93/16 non prevede periodi in cui debba essere obbligatoriamente prescritta una formazione a tempo pieno.
19.
Qualora l'esigenza di una formazione a tempo pieno dovesse rappresentare una violazione del divieto di discriminazione, sorgerebbe il problema di come risolvere il conflitto di norme tra l'art. 34, n. 1, della direttiva 93/16 e gli artt. 2 e 3 della direttiva 76/207. Da un lato, vengono in considerazione i principi dellaspecialità e della priorità, radicati nella tradizione giuridica europea. Dall'altro, sembra possibile che il divieto di discriminazione fondata sul sesso assuma il rango di diritto fondamentale, il che condurrebbe eventualmente all'invalidità della disciplina contenuta all'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16.
B - Le questioni pregiudiziali
20.
In considerazione di quanto precede, con ordinanza 8 novembre 2001, pervenuta alla cancelleria della Corte il 31 gennaio 2002, il Bundesverwaltungsgericht ha sottoposto alla Corte le questioni pregiudiziali che seguono:
«1) Se costituisca uno svantaggio indiretto basato sul sesso ai sensi della direttiva 76/207/CEE l'obbligo, posto nelle direttive 86/457/CEE e 93/16/CEE, di svolgere a tempo pieno determinati periodi della formazione specifica in medicina generale diretta al conseguimento della qualifica di medico generico.
2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1.:
a) come debba essere risolto il conflitto di norme tra la direttiva 76/207/CEE, da un lato, e le direttive 86/457/CEE e 93/16/CEE, dall'altro;
b) se il divieto di discriminazione indiretta basata sul sesso rientri fra i diritti fondamentali non scritti del diritto comunitario che si sostituiscono ad una norma contraria del diritto comunitario derivato».
C - Il procedimento dinanzi alla Corte
21.
Nel procedimento dinanzi alla Corte la sig.ra Rinke, il governo svedese, il Consiglio e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte. La sig.ra Rinke, il Consiglio e la Commissione hanno chiarito il loro punto di vista all'udienza del 12 novembre 2002.
IV - Analisi
A - La prima questione pregiudiziale
22.
Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se costituisca una discriminazione indiretta il requisito secondo cui la formazione a tempo parziale nella medicina generale deve comprendere periodi di formazione a tempo pieno.
23.
Secondo una costante giurisprudenza della Corte, sia per quanto riguarda le retribuzioni o le prestazioni previdenziali sia per quanto riguarda l'accesso allavoro e le condizioni di lavoro, una disposizione o una normativa (nazionale) comporta una discriminazione indiretta ai danni dei lavoratori di sesso femminile qualora, pur essendo formulata in modo imparziale, colpisca di fatto le donne più degli uomini, sempreché tale disparità di trattamento non sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (7). Detta giurisprudenza nel frattempo è stata codificata in diverse direttive (8). In prosieguo esaminerò in primo luogo la questione se la disposizione controversa pregiudichi una percentuale molto più elevata di donne rispetto agli uomini. Vaglierò successivamente gli argomenti addotti per giustificare detta disposizione.
24.
La Corte ha stabilito che, qualora sia accertato che un provvedimento pregiudica una percentuale molto più elevata di donne che di uomini, o viceversa, si presume che costituisca una discriminazione indiretta e in quel caso spetta al datore di lavoro o all'autore del provvedimento dimostrare il contrario. Inoltre, una situazione può prefigurare una discriminazione indiretta solo qualora i dati ad essa inerenti siano attendibili, riguardino cioè una popolazione sufficiente, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e, in generale, appaiano significativi (9).
- Discriminazione indiretta: svantaggio per le donne?
25.
La sig.ra Rinke e il governo svedese hanno asserito che il requisito di cui trattasi colpisce sostanzialmente più donne che uomini e che pertanto costituisce una discriminazione indiretta. Essi rilevano che l'esperienza mostra che una percentuale maggiore di donne rispetto agli uomini si avvale della possibilità di svolgere una formazione a tempo parziale. La ricorrente e il governo svedese osservano che l'età media al momento della conclusione della formazione di base in medicina è di circa 28 anni. Per le donne quest'età coincide con il periodo in cui esse devono pensare seriamente se avere o meno figli. Un corso di perfezionamento dura da tre a cinque anni. La maggior parte delle donne ha il(i) primo(i) figlio(i) in quel periodo. Poiché non è possibile effettuare il necessariotirocinio seguendo una formazione completamente a tempo parziale, a questo gruppo in sostanza è negato l'accesso alla professione. Infatti, la formazione svolta a tempo ridotto non viene riconosciuta, di modo che queste donne non possono esercitare la professione di medico generico.
26.
Il Consiglio sostiene che la direttiva prevede solo una serie di modalità per quanto riguarda la formazione a tempo parziale in medicina generale. Il fatto che un determinato periodo debba essere svolto a tempo pieno non può essere equiparato ad una totale esclusione della possibilità di seguire una formazione a tempo parziale. Secondo il Consiglio, quest'ultima soluzione sarebbe svantaggiosa per le donne. Tuttavia, secondo il Consiglio, i medici che svolgono una formazione a tempo parziale non sono svantaggiati rispetto ai medici che seguono una formazione a tempo pieno. Le condizioni di accesso alla professione sono simili per entrambe le categorie e sono prescritti sia un tirocinio pratico sia un periodo di formazione a tempo pieno. Il Consiglio non ritiene ammissibile che la norma in questione colpisca le donne in misura maggiore rispetto agli uomini anche se, come affermato dal giudice del rinvio, sarebbero soprattutto le donne a svolgere una formazione a tempo parziale.
27.
La Commissione osserva che è possibile accertare se la normativa sia effettivamente svantaggiosa per le donne solo sulla base di dati inconfutabili. Essa ritiene che nel procedimento principale il giudice a quo non abbia esaminato tali dati. Nell'ordinanza di rinvio esso ha affermato soltanto che «l'esclusione della possibilità di svolgere l'intera formazione in tempo parziale colpisce le donne in misura maggiore rispetto agli uomini, dato che esse, per esperienza comune, richiedono un impiego a tempo parziale molto più spesso degli uomini». Ad avviso della Commissione, questa constatazione generale non è sufficiente ad accertare l'esistenza di una discriminazione indiretta. Essa reputa che, alla luce dell'evoluzione del ruolo dell'uomo e della donna sul mercato del lavoro e nella famiglia, non sia possibile affermare senza procedere ad ulteriori indagini che le donne si avvalgono della possibilità di svolgere una formazione a tempo parziale in misura maggiore rispetto agli uomini.
28.
Secondo la Commissione, il giudice a quo avrebbe dovuto accertare se la normativa concreta colpisca effettivamente una percentuale più elevata di donne che di uomini. Tale accertamento dovrebbe avvenire con l'ausilio di statistiche sul numero di uomini e di donne che svolgono almeno un periodo della loro formazione in medicina generale a tempo ridotto. Solo nel caso in cui risultasse che la percentuale di donne è sostanzialmente maggiore, potrebbe affermarsi che l'esclusione della possibilità di svolgere l'intera formazione a tempo parziale incide negativamente sulle donne.
29.
La sig.ra Rinke sostiene però che tali statistiche non sono disponibili proprio perché non viene riconosciuta una formazione svolta completamente a tempo ridotto e quindi non esiste un siffatto gruppo. A suo avviso, tutte le donne e gli uomini dovrebbero essere paragonati nella categoria dei medici generici. Dovrebbepoi procedersi ad una distinzione fra i medici di sesso maschile che hanno conseguito il loro titolo sulla base di una formazione specialistica e i medici che hanno ottenuto l'abilitazione solo sulla base del tirocinio, prima che venisse introdotta nel 1995 una formazione speciale in medicina generale. Le statistiche non contengono una tale distinzione, motivo per cui non è possibile presentare dati in merito.
30.
La sig.ra Rinke sottolinea tuttavia la scarsa presenza delle donne in questa professione. In base alle statistiche, la percentuale di donne abilitate alla professione di medico in Germania nel periodo 1993-1999 era del 35%, mentre nel 2000 del 37%. Negli altri paesi europei la percentuale è in media analoga. Non è quindi possibile ricavare dalle statistiche l'esistenza di problemi inerenti ai corsi di perfezionamento. Di quel 37% solo il 62% ha il titolo di medico specialista, fra cui quello di medico generico specializzato, mentre per gli uomini la percentuale raggiunge il 76%. Inoltre la sig.ra Rinke osserva che nell'ambito di specializzazioni diverse da quella di medico generico è possibile svolgere un'intera formazione a tempo parziale. Per di più, è risaputo che le donne lavorano a tempo parziale in misura maggiore rispetto agli uomini, sicuramente le donne fra i 28 e i 35 anni. La sig.ra Rinke ritiene di aver addotto argomenti sufficienti a far presumere l'esistenza di una discriminazione indiretta.
- Analisi della discriminazione indiretta
31.
La prima questione cui deve darsi soluzione nel caso di specie è se si configuri una discriminazione indiretta. Al riguardo osservo che questa problematica, rispetto alla quale è determinante sapere se e in quale misura gli ostacoli al lavoro a tempo parziale e le relative conseguenze possano provocare una discriminazione indiretta, non è sconosciuta alla Corte. La Corte, nella sua giurisprudenza, ha dimostrato più volte, implicitamente o esplicitamente, di essere ben consapevole delle difficoltà che possono incontrare le donne in un impiego a tempo pieno e degli svantaggi in materia ad esempio di retribuzioni, di condizioni lavorative o di previdenza sociale (10).
32.
Va poi osservato che in questo caso si tratta di una formazione che, in quanto tale, riguarda l'accesso ad una professione e quindi rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 76/207, il che presuppone che anche una formazione possa essere indirettamente discriminatoria. La fattispecie riguarda una formazionespecifica per il conseguimento del titolo di medico, che può essere svolta dopo aver superato l'istruzione di base universitaria in medicina generale (11).
33.
E' pacifico inoltre che l'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16 impone che un certo numero di periodi di formazione sia svolto a tempo pieno. Nel frattempo detta direttiva è stata modificata dalla direttiva 2001/19 (12). Tuttavia la disposizione controversa sui periodi da svolgere a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo parziale in medicina generale è stata mantenuta in vigore (13).
34.
Sorge ora la questione se l'obbligo di lavorare a tempo pieno per un certo periodo della formazione costituisca un ostacolo più grave per le donne che per gli uomini.
35.
Tuttavia i dati presentati dalla sig.ra Rinke per dimostrare questa tesi e che riguardano soprattutto il numero totale di donne che esercitano in Germania la professione di medico generico non sono convincenti al riguardo perché non riescono a provare un nesso causale fra l'asserito limite e il risultato. Possono esistere infatti altre cause storiche alla base di una ridotta partecipazione, in proporzione, a questa professione per la quale è necessaria una formazione postuniversitaria.
36.
Sono invece convincenti i dati da cui risulta che l'esercizio della professione a tempo parziale in generale attrae in misura maggiore le donne rispetto agli uomini. Dati statistici mostrano che in generale nelle professioni esercitate a tempo parziale le donne sono maggiormente rappresentate. Ciò vale anche per le professioni per cui sono necessari studi universitari o postuniversitari (14). La possibilità di lavorare a tempo parziale sembra far aumentare incontestabilmente la partecipazione al mondo del lavoro per un vasto gruppo di donne. Ciò vale per l'esercizio della professione in quanto tale.
37.
Dai dati Eurostat (15)risulta che il lavoro a tempo parziale è scelto principalmente dalle donne. Le statistiche del 2001 mostrano che un terzo delle donne lavoratrici è occupato a tempo parziale, mentre solo il 6% (16)degli uomini che lavorano occupano un posto a tempo ridotto. Risulta inoltre che, nei paesi in cui la percentuale di donne occupate a tempo parziale è bassa, si verifica una circostanza che riflette un ostacolo all'accesso al mercato del lavoro.
Nell'Unione europea l'età media in cui le donne hanno figli è di 28 anni. Inoltre, in tutti gli Stati membri dell'Unione europea le donne dedicano molto più tempo alla cura dei figli rispetto agli uomini. Per le donne fra i 20 e i 49 anni si tratta in media di 45 ore o più a settimana, per gli uomini molto meno di 30 ore a settimana (la media dell'Unione europea è di 22 ore). Non soltanto le donne dedicano più tempo alla cura dei figli, ma quest'attività influisce sulla scelta se lavorare fuori casa o meno e sulla scelta fra tempo pieno o tempo parziale. L'assistenza ai figli e il lavoro comportano soprattutto per le donne la scelta di lavorare a tempo parziale, mentre gli uomini lavorano al massimo qualche ora in meno in un impiego a tempo pieno. Circa il 37% delle donne fra i 20 e i 49 anni che si occupa dei figli ed ha unimpiego a tempo parziale lavora meno di 30 ore a settimana. Ciò corrisponde a due volte il numero di donne appartenenti alla stessa fascia d'età che non hanno figli e che quindi non devono occuparsi della loro assistenza.
38.
Nel caso in cui un requisito relativo alla formazione non possa essere soddisfatto lavorando a tempo parziale, si può concludere per l'inesistenza della facilitazione che il lavoro a tempo parziale offre a molte donne ai fini dell'accesso a detta professione. In altre parole, il tempo parziale riduce l'ostacolo solo per le donne.
39.
Nel caso di specie esiste l'obbligo di svolgere una formazione postuniversitaria a tempo pieno. Pertanto, viene meno tale tipico effetto di riduzione dell'ostacolo che facilita l'accesso alle donne. Per questo motivo, detto obbligo colpisce in misura maggiore le donne rispetto agli uomini.
40.
Il fatto che nella specie si tratti di un requisito relativo alla formazione rende gli effetti della discriminazione indiretta ancora più gravi per il gruppo svantaggiato rispetto all'obbligo di esercitare una funzione o una professione a tempo pieno. Infatti, il requisito relativo alla formazione può comportare la creazione di un ostacolo all'accesso alla professione di cui trattasi. Per questo motivo il gruppo svantaggiato non solo viene colpito nel proseguimento della carriera prescelta, ma anche nelle possibilità di iniziare una determinata carriera.
41.
Né il Consiglio né la Commissione riescono a dimostrare l'inesistenza di siffatto effetto discriminatorio indiretto.
42.
Alla luce dei dati statistici univoci relativi al rapporto fra partecipazione di uomini e partecipazione di donne a impieghi a tempo parziale, ritengo insostenibile l'argomento addotto dalla Commissione, secondo cui lo sviluppo del ruolo degli uomini e delle donne nel mercato del lavoro non porti pertanto alla conclusione che le donne si avvarrebbero molto di più della possibilità di svolgere una formazione a tempo parziale.
43.
Probabilmente gli sviluppi cui fa riferimento la Commissione potranno, in futuro, modificare detto rapporto di partecipazione in modo significativo, ma non intaccano la validità dei dati attuali.
44.
Del resto, gli argomenti dedotti dal Consiglio e dalla Commissione sono poco coerenti. Le due istituzioni, al fine di giustificare l'obbligo di svolgere un certo periodo della formazione in medicina generale a tempo pieno, dichiarano che si tratterebbe solo di un periodo limitato. In tal modo intendono ovviamente minimizzare l'effetto amplificatore dell'ostacolo. Eppure, già il solo fatto di addurre un siffatto argomento mostra che il Consiglio e la Commissione sono consapevoli di detto effetto.
45.
Non può accettarsi il ragionamento del Consiglio e della Commissione secondo cui la ricorrente nella causa principale, dinanzi al giudice nazionale, avrebbe dovuto dimostrare che la normativa nazionale di attuazione in questione produce effetti discriminatori indiretti, che a loro volta devono essere eliminati dalle autorità nazionali. Laddove la normativa nazionale di attuazione dell'obbligo controverso nella fattispecie della formazione a tempo pieno si basa inequivocabilmente e direttamente sull'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16, nella presente causa va accertato il possibile effetto discriminatorio indiretto della disposizione.
46.
Infatti, in una costante e ampia giurisprudenza, la Corte ha dichiarato che in casi in cui il sospetto di una discriminazione indiretta è giustificabile, spetta al datore di lavoro, ovvero alle autorità nazionali, fugare quei dubbi (17). Il legislatore comunitario ha codificato detta giurisprudenza nella direttiva 97/80 (18). Vero è che la giurisprudenza e la suddetta direttiva sono rivolte agli Stati membri e ai privati; tuttavia il principio in esse contenuto trova a mio avviso piena attuazione in casi come quello di specie in cui il diritto comunitario derivato deve essere valutato alla luce del principio fondamentale della parità di trattamento.
47.
Ora, né il Consiglio né la Commissione nelle loro osservazioni scritte ed orali sopra riportate confutano minimamente, basandosi su dati qualitativi inequivocabili, il sospetto avvalorato dalle statistiche che la norma controversa nella fattispecie produca effetti discriminatori indiretti in relazione alle donne che intendono svolgere una formazione postuniversitaria in medicina generale.
- Giustificazioni obiettive
48.
Quantunque una determinata misura colpisca una percentuale più elevata di donne rispetto agli uomini, o viceversa, non si configura ancora un caso di discriminazione indiretta qualora la misura persegua un obiettivo legittimo, purché i mezzi usati a tal fine siano necessari e proporzionati.
- Osservazioni delle parti
49.
La sig.ra Rinke rileva che non esiste alcuna giustificazione obiettiva dell'obbligo di svolgere un certo periodo a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo parziale in medicina generale. Il governo svedese condivide questa posizione. Esso sostiene che, sebbene detto requisito persegua indubbiamente una finalità oggettiva, tale finalità può essere raggiunta anche in un modo diverso da quello previsto nella direttiva. Per esempio può stabilirsi che unaformazione svolta interamente a tempo parziale equivale per quanto riguarda la durata a quella svolta completamente a tempo pieno. Al riguardo va osservato che per altre specializzazioni la formazione può essere svolta interamente a tempo parziale, compreso il tirocinio. Ciò dimostra che è possibile organizzare la formazione in altro modo, non discriminatorio.
50.
Il Consiglio e la Commissione ritengono che, sebbene la normativa colpisca in misura prevalente le donne rispetto agli uomini, essa sia in ogni caso oggettivamente giustificata. Le due istituzioni osservano che la direttiva è volta a facilitare la libera circolazione dei medici e al contempo a garantire un elevato livello di formazione. Ai sensi della direttiva, gli Stati membri sono obbligati a riconoscere i diplomi, i certificati e gli altri titoli dei medici. A questo fine è necessaria l'armonizzazione dei requisiti minimi di durata e di contenuto della loro formazione. Per quanto riguarda la formazione per la professione di medico generico, rilevano che l'obiettivo specifico dell'art. 34 della direttiva 93/16 è di far sì che il livello qualitativo della formazione in medicina generale svolta a tempo ridotto sia equivalente a quello della formazione a tempo pieno. Inoltre essi sostengono che è parimenti necessario garantire un elevato livello di cure per i pazienti. Le due istituzioni affermano che: 1) la direttiva consente in linea di principio una formazione a tempo parziale, 2) purché siano soddisfatte le condizioni generali di cui all'art. 34, n. 2, della direttiva e 3) a condizione che sia ulteriormente specificato l'art. 34, n. 1, il cui terzo trattino riguarda il requisito secondo cui la formazione a tempo ridotto deve comportare un certo numero di periodi di formazione a tempo pieno. Sostengono infine che 4) il legislatore comunitario deve far sì che detto requisito non vada oltre lo stretto necessario.
51.
Per quanto riguarda l'ultimo punto, il Consiglio e la Commissione affermano che la durata e il numero dei periodi a tempo pieno non sono stati stabiliti dal legislatore comunitario, ma sono lasciati alla discrezionalità del legislatore nazionale. Si è solo disposto che i periodi di formazione a tempo pieno da svolgere nell'ambito di una formazione a tempo parziale sono tali da «preparare in modo adeguato all'effettivo esercizio della medicina generale».
52.
Il Consiglio e la Commissione sostengono inoltre che, sebbene la misura nazionale non sia oggetto di controversia, anche gli Stati membri sono vincolati al rispetto dei principi del diritto comunitario. Essi devono quindi tenere conto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Pertanto, nell'ambito di una formazione a tempo ridotto in medicina generale devono limitare la durata dei periodi a tempo pieno quanto più possibile, ma detti periodi devono pur essere sufficientemente lunghi se si vuole raggiungere l'obiettivo perseguito dalla direttiva.
53.
Il Consiglio osserva che l'obbligo di svolgere una serie di periodi a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo ridotto non va oltre il necessario. In tal modo, l'esigenza di svolgere una formazione a tempo parziale viene conciliata con i requisiti di qualità inerenti alla formazione in medicina generale. La Commissione e il Consiglio rinviano al ruolo centrale del medico generico nelsistema della sanità e ai requisiti specifici che vengono previsti a tal fine. Il medico generico è sempre più il principale punto di riferimento di pazienti ed assume una posizione centrale ai fini della diagnosi e del trattamento finale. Un medico generico in periodo di formazione deve essere preparato anche per questi compiti.
54.
La Commissione dubita che un'intera formazione svolta a tempo ridotto possa essere sufficiente dal momento che un'attività a tempo parziale in questo contesto non può essere equiparata ad un'attività a tempo pieno. Anche il Consiglio segnala i problemi che si verificherebbero svolgendo un'intera formazione a tempo parziale. Essi sottolineano in particolare il fatto che lavorando a tempo ridotto non è possibile seguire globalmente l'andamento dello stato di salute del paziente, ed anche il fatto che l'esperienza acquisita in determinate situazioni, quali ad esempio le situazioni d'emergenza o l'assistenza in punto di morte o ai malati cronici, non sarebbe la stessa nell'ambito di una formazione a tempo ridotto, al pari del carico di lavoro e della reperibilità. A titolo di esempio essi riportano il caso di un medico generico in formazione reperibile di mattina, ma non nel pomeriggio. Se un paziente visitato la mattina dovesse avere nel pomeriggio una reazione anomala ad un farmaco prescritto non potrebbe rivolgersi al proprio medico curante.
55.
La Commissione e il Consiglio sostengono che un'adeguata formazione dal punto di vista qualitativo presuppone una partecipazione totale a tutte le attività mediche in tutte le situazioni possibili, al fine di seguire l'andamento della malattia ed ottenere una visione globale della stato di salute dei pazienti. Tuttavia i problemi che si verificano nel corso di una formazione in medicina generale svolta interamente a tempo ridotto possono essere risolti prevedendo una serie di periodi a tempo pieno, seppur di breve durata, nell'ambito della formazione a tempo ridotto. In tal modo un medico generico in formazione può acquisire le conoscenze e l'esperienza che gli sono necessarie come medico praticante.
56.
Il Consiglio rileva altresì che è opportuno distinguere fra attività a tempo parziale e formazione a tempo parziale. Quest'ultima ha solo una durata limitata, in cui deve essere acquisita l'esperienza necessaria. Anche la Commissione, in considerazione dell'obiettivo perseguito, ritiene ragionevole l'obbligo di svolgere la formazione a tempo pieno per un periodo di tempo limitato. E' più facile trovare una soluzione per un periodo di tempo limitato, ad esempio per quanto riguarda l'assistenza ai figli, di quanto non avverrebbe svolgendo l'intera formazione a tempo pieno. La Commissione osserva inoltre che la giurisprudenza della Corte riconosce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità per raggiungere obiettivi sociali e occupazionali, anche quando i provvedimenti colpiscono un numeromaggiore di donne che di uomini (19). I criteri applicabili al legislatore comunitario non possono essere più rigidi. Pertanto il Consiglio aveva la facoltà, entro detto margine di discrezionalità, di stabilire requisiti per la formazione in medicina generale. Secondo la Commissione, può configurarsi una violazione del principio della parità di trattamento solo se il disposto della direttiva è manifestamente ingiustificato.
57.
Ad avviso del Consiglio e della Commissione, il fatto che la direttiva disciplini in altro modo la formazione a tempo ridotto per gli specialisti, ovvero non prescrivendo l'obbligo di svolgere un periodo a tempo pieno, non giustifica la conclusione secondo cui tale norma può essere applicata anche alla formazione in medicina generale. Essi fanno riferimento alla differenza di ruolo e di durata della formazione. Essi sostengono che uno specialista non ha lo stesso ruolo centrale del medico generico. Nell'ambito della sua specializzazione, questi non presta le proprie cure in modo globale e continuativo come un medico generico. I requisiti per la formazione sono quindi diversi. La formazione di un medico generico è prevalentemente pratica per natura, mentre quella di uno specialista è sia teorica che pratica. Inoltre nel caso degli specialisti la formazione dura dai tre ai cinque anni a seconda della specializzazione. Ne consegue che questa formazione è considerevolmente più lunga e giustifica pertanto anche la possibilità di essere svolta interamente a tempo ridotto.
- Analisi: giustificazione obiettiva
58.
Come è stato osservato al paragrafo 23, secondo la giurisprudenza della Corte non si configura una discriminazione indiretta qualora esista una giustificazione obiettiva, ovvero quando la misura persegue un obiettivo legittimo e gli strumenti a tal fine sono necessari e proporzionati.
59.
Nell'ambito dell'esame della questione se esista una giustificazione obiettiva per il requisito di cui all'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16, secondo cui un periodo di formazione per medici generici deve essere svolto a tempo pieno, si rendono necessarie tre osservazioni preliminari.
60.
In primo luogo, alla luce della funzione sempre più importante svolta dalla cosiddetta medicina primaria in campo medico, un elevato livello qualitativo della formazione e un'adeguata preparazione alla futura professione sono requisiti evidenti e giustificati. Su di essi si fondano le direttive 86/457 e 93/16, cheprevedono anche per i medici generici una formazione specialistica postuniversitaria a parte che, svolta a tempo pieno, dura tre anni.
61.
In secondo luogo, mi sembra doveroso un rinvio all'osservazione da me fatta in precedenza (paragrafo 40), secondo cui nel caso di specie il controverso obbligo di svolgere in parte un periodo a tempo pieno può ostacolare l'accesso alla professione per taluni gruppi, ovvero renderlo impossibile. Un siffatto effetto incide strutturalmente sulle successive prospettive sul mercato del lavoro di coloro che ne vengono colpiti. Ciò impone valide giustificazioni obiettive dal punto di vista della necessità e della proporzionalità.
62.
In terzo luogo, va osservato che né i 'considerando' né il dispositivo della direttiva motivano il requisito in base al quale un periodo della formazione deve essere svolto a tempo pieno. I 'considerando' sostengono in generale l'auspicabilità di una specifica formazione complementare per la professione di medico generico, il che coincide con la prima osservazione preliminare (paragrafo 60).
63.
Dalla genesi della direttiva risulta che la proposta originaria della Commissione prevedeva la possibilità di un'intera formazione a tempo parziale qualora non fosse stato possibile seguire una formazione a tempo pieno per fondati motivi personali. Detta proposta era conforme alla normativa applicabile alle specializzazioni mediche. Tuttavia la proposta non è stata accettata dal Consiglio. Taluni Stati membri consideravano quest'ultimo requisito superfluo, mentre altri Stati membri ritenevano necessaria una formazione a tempo pieno. Per questo motivo, nella direttiva 86/457 e successivamente nella direttiva 93/16 è stato stabilito che è possibile svolgere una formazione a tempo parziale, purché un determinato periodo sia svolto a tempo pieno. Nella direttiva 93/16, modificata dalla direttiva 2001/19, è stato mantenuto detto requisito, mentre nei 'considerando' si legge che «nella relazione sulla formazione specifica in medicina generale prevista al titolo IV della direttiva 93/16/CEE, per la formazione a tempo parziale in medicina generale la Commissione ha raccomandato di allineare le disposizioni applicabili a quelle vigenti per la formazione a tempo parziale nelle altre specialità mediche». Non si è pervenuti ad un allineamento completo, sebbene gli stessi esperti del settore - il che non è stato contestato dal Consiglio e dalla Commissione all'udienza - non siano contrari ad una formazione in medicina generale interamente a tempo ridotto.
64.
Da quanto precede risulta che in generale non viene condivisa la necessità di svolgere un periodo a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo parziale per la professione di medico generico. Nei 'considerando' della direttiva 93/16 manca una motivazione esplicita a sostegno di tale necessità, mentre un 'considerando' della direttiva 2001/19 indica piuttosto l'inesistenza di siffatta necessità. Le due direttive non offrono alcun punto di riferimento ai fini di una valutazione in merito alla proporzionalità di tale requisito. Alla luce dei dati ricavabili dalla genesi legislativa della norma controversa, sorge la questione se cisi fosse resi conto che siffatta disposizione avrebbe potuto avere un effetto discriminatorio indiretto.
65.
In tale contesto occorre esaminare gli argomenti oggettivi addotti dal Consiglio e dalla Commissione nelle loro osservazioni scritte e orali per giustificare in maniera obiettiva la norma. In sintesi, detti argomenti sono tre:
- acquisire la necessaria esperienza seguendo il quadro clinico dei pazienti, così come può evolversi nel tempo;
- acquisire sufficiente esperienza riguardo alle diverse situazioni che possono presentarsi in particolare in un centro in cui i medici dispensano cure primarie;
- le differenze fra la professione di medico generico e quella di altri medici specialisti e gli altri requisiti correlati alla rispettiva formazione.
66.
Il primo argomento non è inesatto dal punto di vista sostanziale, ma la necessità che i medici acquisiscano esperienza con lo sviluppo del quadro clinico dei loro pazienti e delle eventuali complicazioni è altrettanto valida anche per altre specializzazioni mediche, come la medicina interna, la cardiologia e la psichiatria. Anche in questi casi i quadri clinici possono cambiare rapidamente e costringere ad un adeguamento della diagnosi iniziale e della terapia.
67.
Lo stesso dicasi per il secondo argomento. E' un dato di fatto che nell'attività di ogni medico deve essere garantita la necessaria continuità delle cure prestate al paziente. A questo fine, anche in una formazione a tempo pieno e durante il tirocinio deve essere acquisita la necessaria cura che deve poi accompagnare la prestazione del servizio e l'effettuazione della pratica.
68.
Pertanto è difficile capire perché entrambi gli argomenti depongano a favore dello svolgimento di un certo periodo di formazione a tempo pieno per quanto riguarda i medici generici, mentre chiaramente così non è per le specializzazioni. Inoltre va osservato che per acquisire la necessaria esperienza sarebbero stati sufficienti anche requisiti meno limitativi rispetto al rigido obbligo del tempo pieno, ad esempio la norma secondo cui nell'ambito di una formazione a tempo parziale l'orario dovrebbe essere tale da consentire l'acquisizione di una sufficiente esperienza nel seguire e controllare i pazienti per un periodo di durata superiore. In sintesi, entrambi gli argomenti, sebbene sembrino far presumere già una certa necessità, non riescono a confermare la proporzionalità del requisito del tempo pieno.
69.
Il terzo argomento non è valido dal punto di vista sostanziale, laddove si sostiene solo per i medici generici la necessità di svolgere per un certo periodo la formazione a tempo pieno. Dato che la direttiva modificata ha portato a tre anni la durata della formazione - a tempo pieno - per i medici generici, equiparandolacosì a quella di una serie di specializzazioni, non può più addursi la presunta durata - inferiore - per giustificare il mantenimento dell'obbligo di svolgere periodi a tempo pieno esclusivamente nel caso della formazione dei medici generici.
70.
In una serie di sentenze, in cui sono stati esaminati diversi aspetti del lavoro a tempo parziale, la Corte ha mostrato di non gradire le generalizzazioni quali la presunta minore partecipazione dei lavoratori a tempo parziale o la ridotta possibilità per tali lavoratori di acquisire professionalità ed esperienza (20). Sottolineo che gli argomenti presentati dal Consiglio e dalla Commissione, esaminati supra, non vanno oltre la sfera della generalizzazione. Non dimostrano con pertinenza e precisione la necessità, per non parlare della proporzionalità, del disposito dell'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16.
71.
La Commissione ha altresì sostenuto che la giurisprudenza della Corte lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in relazione alla necessità di realizzare obiettivi sociali e occupazionali. Per analogia, anche il legislatore comunitario godrebbe di un simile margine di discrezionalità. Tale argomento non è rilevante nel caso di specie dato che, come ho spiegato al paragrafo 62, né i 'considerando' né il dispositivo della direttiva 93/16 forniscono una motivazione in merito alla necessità e alla proporzionalità del requisito di svolgere periodi a tempo pieno nell'ambito di una formazione a tempo ridotto in medicina generale. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, l'esistenza di un margine di discrezionalità comporta l'obbligo di motivazione dell'esercizio di detto potere (21).
72.
Sulla base di quanto precede, giungo alla conclusione che il Consiglio e la Commissione non riescono ad addurre una giustificazione obiettiva convincente del disposto dell'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16. Per questo motivo, la norma deve essere considerata come indirettamente discriminatoria per le donne ai fini dell'accesso al mercato del lavoro.
73.
Ad abundantiam, mi soffermerò ancora sull'argomento dedotto dal Consiglio e dalla Commissione in base al quale la norma controversa sarebbe flessibile poiché non determina né la durata né il numero dei periodi da svolgere a tempo pieno e in quanto gli Stati membri, nell'attuazione di detta disposizione, devono tenere conto del principio fondamentale della parità di trattamento nonché del principio di proporzionalità.
74.
L'argomento non è pertinente poiché è stato accertato che la norma comunitaria già di per sé è in contrasto con il principio fondamentale della parità di trattamento. Il potere discrezionale di cui godono gli Stati membri di applicarla in modo più restrittivo o più ampio non è rilevante. Al contrario, laddove nel caso di specie il legislatore comunitario è obbligato ad un'attenta ponderazione fra l'obiettivo della direttiva e la limitazione che eventualmente ne deriverebbe dell'efficacia del principio fondamentale della parità, non si tratta di lasciare agli Stati membri un proprio potere discrezionale. Il legislatore comunitario, se avesse considerato un periodo minimo di tirocinio a tempo pieno talmente importante da giustificare una limitazione al principio di parità, avrebbe dovuto motivarlo in modo adeguato e indicarlo con precisione nella direttiva.
B - La seconda questione pregiudiziale
75.
La seconda questione consta di due parti, ovvero la risoluzione del conflitto fra la direttiva 76/207, da un lato, e la direttiva 93/16, dall'altro, e la questione se il divieto di discriminazione indiretta rientri fra i diritti fondamentali non scritti del diritto comunitario, che si sostituiscono ad una norma in senso contrario del diritto comunitario derivato.
- Osservazioni delle parti
76.
Tutti i soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte sostengono che il diritto alla parità di trattamento rientra fra i diritti fondamentali dell'uomo e che tali diritti fondamentali fanno parte dei principi generali del diritto comunitario da rispettare. Inoltre, il principio in questione è stato inserito nel Trattato con il Trattato di Amsterdam, in particolare agli artt. 2 e 3, n. 2, CE, e per di più l'art. 141, n. 3, CE costituisce un'esplicita base per l'adozione di misure comunitarie. La Commissione e il Consiglio rinviano anche alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea adottata il 7 dicembre 2000 a Nizza (22).
77.
Secondo la sig.ra Rinke, l'obbligo di svolgere un periodo di formazione a tempo pieno è contrario al diritto primario e per questo motivo parzialmente nullo. Pertanto, non si pone il problema di un conflitto fra le direttive 93/16 e 76/207. Qualora invece si presentasse, il conflitto andrebbe risolto in funzione dell'interesse tutelato dalle due direttive. Poiché la direttiva 93/16 non esclude la direttiva 76/207, sarebbe contrario all'obiettivo di quest'ultima trascurare l'interesse che essa tutela solo perché la disposizione rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 93/16.
78.
Il governo svedese osserva che le disposizioni della direttiva 76/207 rappresentano un'espressione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne e che la disposizione controversa è in contrasto con detto principio.
79.
La Commissione ammette che la direttiva 76/207, in quanto diritto derivato, può essere considerata come un'espressione del principio fondamentale del divieto di discriminazione basata sul sesso. Tuttavia la Commissione ritiene che la direttiva sia rivolta agli Stati membri e non alle istituzioni comunitarie nell'ambito della loro attività legislativa. Pertanto occorre accertare se si tratti di disposizioni contrarie ai principi fondamentali del diritto comunitario.
- Analisi
80.
Il principio della parità di trattamento fra uomini e donne nel mercato del lavoro contenuto ed elaborato all'art. 141 CE e la legislazione comunitaria derivata su di esso fondata, fra cui la direttiva 76/207 (23), costituiscono una precisazione del principio fondamentale della parità fra uomini e donne sul mercato del lavoro. Per giurisprudenza costante, la Corte ha attribuito a detto principio il rango di norma costituzionale (24). Ne discende che anche il legislatore comunitario, nella formazione e nell'adozione della legislazione comunitaria derivata, deve verificare in ogni momento se la normativa sia conforme a questo principio fondamentale.
81.
Anche l'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16 va esaminato alla luce di detto obbligo di cautela. Come è stato sostenuto nella soluzione della prima questione, la disposizione di cui trattasi, e quindi anche la modalità di attuazione nella legislazione nazionale, produce una discriminazione indiretta nei confronti delle donne nel loro accesso al mercato del lavoro, discriminazione indiretta la cui necessità non è stata dimostrata in modo convincente e che in ogni caso risulta sproporzionata.
82.
Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato che un principio fondamentale del diritto è di rango superiore rispetto al diritto comunitario derivato e che nel caso in cui una disposizione del diritto comunitario derivato sia contraria alla norma di rango superiore occorre escluderne l'applicazione.
83.
Per questi motivi va affermato che l'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16 è invalido. Di conseguenza, si deve escludere l'applicazione delle normative nazionali che, in attuazione di detta disposizione, prescrivono un periodo a tempo pieno nell'ambito della formazione in medicina generale.
V - Conclusione
84.
Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesverwaltungsgericht come segue:
«1) Il requisito di cui all'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16, intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli, ai sensi del quale la formazione specifica a tempo ridotto per la professione di medico generico deve comportare un certo numero di periodi di formazione a tempo pieno, costituisce una discriminazione indiretta basata sul sesso ai sensi della direttiva 76/207.
2) L'art. 34, n. 1, terzo trattino, della direttiva 93/16 è nullo. Si deve escludere l'applicazione delle disposizioni legislative nazionali adottate in attuazione di detto articolo nella parte in cui prevedono l'obbligo di svolgere un periodo a tempo pieno nell'ambito della formazione specialistica in medicina generale».