05.05.03 free
TAR BARI , I sez - Sent.1068 del 5 marzo 2003 -( Servizio sanitario nazionale - Programmazione - Piano regionale di riordino ospedaliero)
TAR BARI , I sez - Sent.1068 del 5 marzo 2003 - SOC. C.C.S.C. c. Regione Puglia
(Servizio sanitario nazionale - Programmazione - Piano regionale di riordino ospedaliero - Inclusione strutture provvisoriamente accreditate - Inclusione - Legittimità.)
DIRITTO - Omissis.
1.1.4) La legislazione regionale pugliese, per quanto consta, non ha dettato specifiche disposizioni in ordine ai contenuti del piano di ristrutturazione (o riordino) della rete ospedaliera, aggiornate ai parametri di riferimento come modificati e integrati dalla normativa statale dianzi esaminata (dalla percentuale di dotazione media dei posti letto -da ultimo fissata al 5 per mille, di cui l'1 per mille riservato alla riabilitazione e alla lungodegenza; al tasso di spedalizzazione -fissato a 160 posti letto per mille abitanti; al tasso di occupazione dei posti letto -non inferiore al 75 per cento; al numero dei posti letto di assistenza ospedaliera diurna -day hospital o day surgery: pari al 10% della dotazione di posti letto per acuti; agli standards dimensionali minimi delle varie unità operative; ai dati di base, indicatori e parametri di riferimento, come testé richiamati).
Si comprende quindi come non abbia avuto alcuna attuazione il piano di riordino ospedaliero approvato con deliberazione di Consiglio regionale n. 379 del 2 e 3 febbraio 1999, sulla base dell'art. 32 della legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 in funzione della sua rapida obsolescenza a fronte della richiamata variazione dei parametri di riferimento dinanzi ricordata.
Cionondimeno, la legge regionale 28 dicembre 1994, n. 36 ha fissato alcuni punti essenziali del processo di programmazione sanitaria regionale, dei relativi contenuti e procedure.
Mette conto anzitutto rilevare che, all'art. 3, la legge regionale in esame ha ricompreso espressamente, tra i c.d. soggetti concorrenti del servizio sanitario regionale, di cui alla rubrica (ovvero, tra quelli che "concorrono alle finalità del servizio sanitario regionale") oltre alle comunità montane e province (i comuni, al pari della regione, delle AA.UU.SS.LL., delle università e delle aziende ospedaliere sono individuate come "soggetti istituzionali" dal precedente art. 2) anche "...le istituzioni sanitarie pubbliche -ivi compresi gli ospedali militari- e private e i professionisti convenzionati".
Il successivo art. 4 della legge regionale ha poi disposto che (comma 2) "la regione definisce i rapporti tra le Unità sanitarie locali e le istituzioni sanitarie pubbliche e private e i professionisti convenzionati attraverso gli strumenti, le procedure e i vincoli della programmazione regionale".
D'altro canto, ai sensi dell'art. 5 comma 2, l'azienda unità sanitaria locale "...assicura ai cittadini l'erogazione delle prestazioni previste dai livelli uniformi di assistenza stabiliti dal piano sanitario nazionale e dal piano sanitario regionale, avvalendosi (oltre che delle proprie strutture, aziende, istituti ed enti di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 502 del 1992) delle istituzioni sanitarie pubbliche -ivi compresi gli ospedali militari- o private, sulla base di criteri di integrazione con il servizio pubblico".
L'art. 9 della legge regionale n. 36 del 1994 ha, poi, definito gli strumenti della programmazione sanitaria regionale, indicati, rispettivamente (comma 1): a) nel piano sanitario regionale; b) nei programmi di intervento di area specifica a tutela della salute; c) nei piani settoriali; d) nelle azioni programmatiche nonché quali strumenti attuativi della programmazione regionale (comma 2): a) i piani generali attuativi delle singole unità sanitarie locali ed i loro aggiornamenti annuali; b) i singoli programmi di intervento.
Il comma 4 dell'art. 9 definisce tanto i programmi di intervento di area specifica quanto i piani settoriali come "...strumenti per l'attuazione degli obiettivi previsti dalla legge di piano sanitario regionale (che) fissano, per i periodi non superiori al triennio, i contenuti delle azioni finalizzate a tale situazione, le condizioni organizzative e le risorse necessarie con la previsione delle relative fonti di finanziamento".
Si delinea, così, un modello "a cascata" (frequente nella strutturazione della pianificazione regionale), al cui vertice si colloca il piano sanitario regionale, che a sua volta si articola in programmi d'intervento di area specifica e piani settoriali, ulteriormente articolati nei piani generali attuativi di ciascuna aa.uu.ss.ll. e nei singoli programmi d'intervento (che costituiscono la programmazione attuativa locale prevista dall'art. 1 comma 2 quater del d.lgs. n. 502 del 1992, come sostituito dall'art. 3 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 e poi modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 229 del 1999 e dall'art. 8 del d.lgs. n. 254 del 2000).
Soltanto per questi ultimi, peraltro, è prevista l'approvazione diretta da parte della Giunta regionale (comma 6).
Peraltro, benché la legge regionale n. 36 del 1994 non definisca affatto i contenuti dei piani settoriali, deve rammentarsi che l'art. 3 della legge regionale 30 dicembre 1994, n. 38, recante norme sull'assetto programmatico, gestionale e di controllo delle aa.uu.ss.ll., equipara il piano generale attuativo triennale ai piani di settore, disponendo che entrambi devono uniformarsi ai contenuti del piano sanitario regionale e degli altri atti della programmazione sanitaria regionale e tener conto dei piani di zona approvati dal comune, dalla conferenza dei sindaci o dai presidenti delle circoscrizioni di riferimento territoriale.
Da tale circostanza è agevole dedurre che i piani settoriali, non per caso contemplati unitamente ai programmi d'intervento di area specifica, non hanno il contenuto di strumenti di pianificazione di organizzazione generale del sistema sanitario, e quindi che al novero dei medesimi non può ricondursi il piano di riordino (o ristrutturazione) della rete ospedaliera.
Quest'ultimo, d'altro canto, è strumento di programmazione sostanzialmente equiordinato al piano sanitario regionale, posto che tanto nella legislazione statale, dianzi contemplata, quanto in quella regionale, è presentato come specifico atto programmatorio adottato anche a stralcio del piano sanitario regionale.
In altri termini, astrattamente il piano di riordino ospedaliero potrebbe essere anche contenuto nel piano sanitario regionale, ed in tal caso, secondo le indicazioni dell'art. 9 comma 4 della legge regionale n. 36 del 1994, potrebbe essere approvato anche con legge regionale.
Al contrario, in quanto sia adottato, come pure espressamente consentito dalla legislazione statale e regionale (come si vedrà tra breve), "a stralcio" del piano sanitario regionale, esso può assumere la forma e l'efficacia di atto amministrativo generale di organizzazione.
Ed infatti, l'art. 32 della legge regionale n. 36 del 1994, fissando termine che, in difetto di indicazioni sulla sua natura decadenziale e sulle conseguenze della sua inosservanza, non può che rivestire natura ordinatoria (trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 36, avvenuta per disposizione dell'art. 37 nel giorno stesso della pubblicazione nel B.U.R.P. 30 dicembre 1994, n. 146), ha demandato al Consiglio regionale di approvare la riorganizzazione della rete ospedaliera "....anche a stralcio del piano sanitario regionale".
Finalità e obiettivi della riorganizzazione della rete ospedaliera sono specificati nei commi 2 e 3 dell'art. 32 della legge regionale n. 36 del 1994, come di seguito enumerati: "La riorganizzazione della rete ospedaliera deve perseguire: a) la razionalizzazione e la riqualificazione dei servizi ospedalieri, ai fini di una più equilibrata distribuzione degli stessi sul territorio regionale, in relazione al fabbisogno della popolazione e all'ottimale utilizzazione delle risorse; b) l'organizzazione di una rete di servizi conforme, anche per tipologia, alla normativa vigente, finalizzata a fornire ai cittadini le risposte più adeguate, in rapporto alle loro diverse esigenze assistenziali; c) l'eliminazione dei ricoveri impropri per ricondurre la rete ospedaliera alla funzione propria; d) la riconversione o la riduzione delle unità operative che nell'ultimo quinquennio presentano dati di funzionalità inferiori a quelli indicati dalla normativa di cui al primo comma del presente articolo; e) la riconversione o la soppressione delle strutture ospedaliere che nell'ultimo quinquennio presentano una dotazione funzionale inferiore a n. 120 posti letto". (comma 2) "Il piano di riorganizzazione della rete ospedaliera è diretto al raggiungimento dei seguenti obiettivi: a) adeguamento della rete ospedaliera ai criteri organizzativi e agli standards previsti dalla vigente normativa, con particolare riguardo alla dotazione complessiva dei posti letto nonché agli standards di attività e di efficienza; b) riconduzione dell'Ospedale alle sue proprie funzioni di diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie acute e di risposta alle emergenze sanitarie; c) integrazione funzionale delle strutture ospedaliere tra di loro e con i servizi del territorio; d) rimozione negli Ospedali delle cause di disfunzione sul piano organizzativo, al fine di una ottimale utilizzazione delle risorse, anche tecnologiche, esistenti e riordino, su base omogenea e secondo parametri funzionali, delle piante organiche; e) riconversione delle strutture ospedaliere, non rispondenti a criteri di funzionalità, efficienza ed economicità, in strutture extraospedaliere residenziali o non residenziali, nell'ambito delle tipologie previste dalla vigente normativa; f) dimensionamento e razionalizzazione della rete delle case di cura accreditate, in relazione al soddisfacimento del fabbisogno assistenziale programmato.
L'art. 33 della legge regionale n. 36 del 1994 detta disposizioni ulteriori specifiche in ordine alla riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, disponendo che: "Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, in attuazione delle linee programmatiche e di indirizzo e in conformità alle prescrizioni della presente legge, provvede, previa verifica della situazione esistente, alla quantificazione dei posti letto complessivi, distinti per area funzionale e disciplina, delle singole Unità sanitarie locali, così come risultanti a seguito del riazzonamento previsto dall'art. 3, comma 5, lett. a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e di ciascun complesso ospedaliero individuato per essere costituito in Azienda ospedaliera in attuazione del decreto legislativo stesso" (comma 1).
"La Giunta regionale, nel definire l'assetto organizzativo degli Ospedali, accorpa, di norma ai fini funzionali e tenuto conto del bacino di utenza e della specificità del territorio, quelli ubicati nell'ambito della stessa Unità sanitaria locale, che non siano destinati ad essere costituiti in Aziende ospedaliere, ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502" (comma 2).
"Nell'ambito dei provvedimenti di cui ai commi precedenti, sono stabiliti i tempi di realizzazione della riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera, assegnando priorità ai servizi connessi alle emergenze sanitarie" (comma 3).
Non può poi obliterarsi che l'art. 37 comma 1 della legge regionale n. 36 del 1994 ha dettato specifiche disposizioni in ordine alle case di cura accreditate, prescrivendo che: "Le convenzioni con le Case di cura private decadono alla data di entrata in vigore della presente legge. Le stesse continuano a produrre effetti fino al termine indicato nei provvedimenti di riorganizzazione territoriale della rete ospedaliera nei quali è indicato il fabbisogno di attività ospedaliera da accreditare, distinte per disciplina in conformità ai criteri di seguito indicati e comunque non oltre il 31 dicembre 1996: a) complementarietà ed integrazione delle attività svolte dalle Case di cura private rispetto a quelle dei presidi ospedalieri pubblici; b) accreditamento delle Case di cura private per le quali sia stato accertato il possesso dei requisiti strutturali organizzativi e funzionali previsti dalle leggi vigenti; c) accreditamento delle Case di cura che, per l'insieme delle tecnologie sanitarie e la presenza di più specialità, offrano migliori garanzie di assistenza in rapporto alle patologie da trattare".
Pertanto, anche alla luce dell'art. 37 (oltre che delle disposizioni statali e regionali dianzi esaminate) risalta il pieno inserimento anche delle strutture sanitarie private nel sistema della programmazione sanitaria regionale, e quindi la piena legittimità delle previsioni del piano di riordino ospedaliero concernente il loro dimensionamento (con consequenziale infondatezza delle censure svolte nel motivo sub 3).
Giova qui precisare che le disposizioni degli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994 hanno chiaramente abrogato per incompatibilità quelle di cui all'art. 9 della legge regionale 30 maggio 1985, n. 51, erroneamente invocate perciò dalla ricorrente, posto che, a tacer d'altro, esse per un verso si riferivano a finalità assorbite dalla legislazione regionale successiva (art. 32 comma 2 lettera f) della legge regionale n. 36 del 1994) attraverso il richiamo dell'accertamento a cura del piano sanitario regionale della "...necessità di convenzionamento delle case di cura private, tenuto conto prioritariamente di quelle convenzionate" (art. 9 comma 1), e per altro aspetto dettavano una normativa transitoria in base alla quale "in attesa del piano sanitario regionale, il Consiglio regionale approva(va)...il programma di riorganizzazione della rete ospedaliera, delle strutture e delle attività sia pubbliche che private...il numero dei posti letto convenzionabili provvisoriamente non può, comunque, essere superiore a quello dei posti letto globalmente convenzionati alla data di entrata un vigore della presente legge". (art. 9 comma 2).
In altri termini, il piano disciplinato dall'art. 9 era dichiaratamente transitorio (ed infatti, ai sensi dell'art. 14 della legge regionale n. 51 del 1985 "...perde ogni efficacia alla data di entrata in vigore del piano sanitario regionale"), sicché la disposizione deve senz'altro ritenersi abrogata per incompatibilità a seguito dell'entrata in vigore della compiuta disciplina "a regime" introdotta dagli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994.
1.2) Così delineato il quadro normativo statale e regionale di riferimento, relativo ai rapporti tra piano sanitario nazionale e regionale, nonché ai contenuti di quest'ultimo, alle relative procedure di adozione, agli altri strumenti della programmazione sanitaria, ed in particolare ai contenuti e procedure di adozione del piano di riordino sanitario, come atto programmatorio a contenuto generale anche "a stralcio" del piano sanitario regionale (e come tale non riconducibile ai piani di settore, per quanto innanzi evidenziato), è opportuno rammentare, sempre richiamando la più dettagliata analisi contenuta nella sentenza n. 5637 del 16 dicembre 2002, la vicenda relativa all'adozione del piano sanitario regionale 2002-2004.
1.2.1) Il Piano sanitario regionale per il biennio 2002-2004, approvato con deliberazione della Giunta regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, costituisce, dichiaratamente (vedi par. 3), parte del più ampio "Piano di Salute Regionale 2002-2007", articolato, appunto, in una prima fase, coincidente con l'adozione e attuazione del Piano sanitario regionale - P.S.R 2002-2004 (definito come "programma a medio termine, con ampia considerazione dell'integrazione socio-sanitaria"), e in una seconda fase, caratterizzata dall'adozione e attuazione del Piano socio sanitario regionale - P.S.S.R. 2005-2007 (qualificato come "piano socio sanitario regionale...con le realizzazioni di lungo periodo", in funzione della migliore esplicazione degli aspetti dell'integrazione socio-sanitaria).
1.2.1.2) Per quanto qui interessa, il Piano, già nei suoi enunciati più generali, attinenti agli obiettivi (par. 2), indica le linee essenziali della ristrutturazione della rete ospedaliera, tra cui (corsivi e sottolineature sono dell'estensore): - "la riconfigurazione della Rete Ospedaliera, ridisegnata nella sua architettura ed integrata nella funzionalità dai Distretti, di modo che 'il sistema' raggiunga un grado di efficacia dell'assistenza, coerente con gli obiettivi di ottimizzazione nell'impiego delle risorse economiche e di progressiva ed uniforme espansione delle garanzie di tutela della salute dei Cittadini"; - "la individuazione dei posti letto "per acuti", eccedenti rispetto all'effettivo bisogno di assistenza, stabilendo principi per la finalizzazione delle dotazioni in esubero (nell'imprescindibile obiettivo di equilibrio economico di gestione) al soddisfacimento di bisogni "non acuti", attraverso il monitoraggio e la gestione diretta e capillare da parte dei Distretti di dette ultime tipologie assistenziali, nel rispetto dei budget loro attribuiti"; - "l'integrazione delle responsabilità e delle funzioni ospedaliere e territoriali anche in materia di assistenza residenziale, di prevenzione e cura delle tossicodipendenze, di lungodegenza, di assistenza agli anziani ed ai disabili e domiciliare"; con la finalità di realizzare: "...una organizzazione regionale "a rete", "organica", "dinamica", "unitaria" ed "efficiente" della capacità di assistenza sanitaria con crescenti livelli di integrazione e complementarietà funzionale, anche attraverso una capillare informatizzazione al fine di confermare o cambiare precocemente le scelte operative, organizzative e finanziarie", e per quanto attiene in specie all'assistenza ospedaliera "...di ristrutturare la Rete di Ospedali, dandole una connotazione di medio - alta specializzazione al fine di migliorare l'autosufficienza della Puglia nelle capacità erogative di alta specialità, mediante potenziamento e depotenziamento di unità operative ospedaliere, dipartimentalizzazione e cooperazione anche interaziendale, con applicazione del principio di unitarietà del SSR".
1.2.2.3) In tale quadro, sono chiaramente individuati i limiti strutturali-operativi dell'assetto organizzativo esistente e i criteri ispiratori del riordino della rete ospedaliera (par. 10.1).
Quanto ai primi (i limiti) il P.S.R. evidenzia, testualmente: "- distribuzione disomogenea dell'offerta sul territorio regionale in senso quantitativo e per specialità; - sperequazione tecnologica sul territorio; - elevata mobilità sanitaria infra ed extraregionale; -carenze e disomogeneità delle risorse umane in relazione all'assetto organizzativo esistente; - scarsa efficienza; - elevati livelli dei costi; - necessità di garantire l'assistenza omogenea sul territorio regionale con riferimento ai livelli essenziali".
In ordine ai secondi (i criteri ispiratori), essi sono così identificati: "1) la realizzazione di un razionale e qualificato sistema di assistenza ospedaliera distribuito sul territorio nel quadro di un riequilibrio delle dotazioni sanitarie nel loro complesso; 2) la riorganizzazione delle attività interne dei presidi ospedalieri, superando la frammentazione degli stabilimenti e le situazioni ripetitive delle strutture esistenti; 3) la contestuale disattivazione, trasformazione o riconversione di parte degli attuali stabilimenti ospedalieri in strutture residenziali o in altre tipologie di strutture assistenziali; 4) l'accorpamento funzionale di strutture ospedaliere in un unico Presidio ospedaliero, ove ne ricorrano le condizioni; 5) l'unificazione dei servizi di diagnosi e cura, ove ne ricorrano le condizioni; 6) la riqualificazione dell'assistenza ospedaliera anche attraverso la dipartimentalizzazione; 7) l'attivazione di strutture costituenti centri di alta specializzazione di cui la regione è allo stato carente; 8) l'attivazione di strutture assistenziali necessarie allo svolgimento delle attività istituzionali delle Facoltà di Medicina e Chirurgia; 9) la realizzazione di piani intra-ospedalieri per un rapido adeguamento ad esigenze assistenziali connesse ad eventi calamitosi o di maxi-emergenze".
Si osservi che, nel riferimento al riequilibrio delle dotazioni sanitarie nel loro complesso, è del tutto trasparente il riferimento alla necessità di considerare, ai fini della programmazione sanitaria regionale e del dimensionamento delle strutture erogatrici delle prestazioni in funzione del fabbisogno regionale, anche le strutture sanitarie private e le case di cura (provvisoriamente) accreditate.
Ed infatti, per un verso il piano sanitario regionale considera, nell'offerta di posti letto distinti per discipline anche quelli della spedalità privata (par. 10.1.2 pag. 76), che concorrono a definire l'offerta complessiva; e per altro verso, e soprattutto, ricomprende nel sistema ospedaliero pugliese (par. 10.3 a pag. 80): - Aziende Ospedaliere; - Aziende Ospedaliero - Universitarie; - Presidi ospedalieri dell'Azienda Unità Sanitaria Locale; - Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati; - Presidi ospedalieri dipendenti da Enti Ecclesiastici; - Strutture ospedaliere private.
Ed in riferimento a queste ultime, nel medesimo paragrafo, precisa che: "Le strutture ospedaliere private fanno parte della rete ospedaliera regionale e garantiscono un apporto coerente con le finalità di politica socio-sanitaria della Regione che con le stesse definisce accordi contrattuali fondati sulla pari dignità rispetto ai soggetti erogatori pubblici.
In tal senso, le suddette strutture, confermate in tutto o in parte le attività attualmente svolte per il sistema sanitario nazionale, ovvero riconvertite in tutto o in parte, secondo le esigenze della programmazione regionale, garantiscono forme di complementarietà e/o sinergia e/o integrazione con le altre strutture del Sistema sanitario regionale, di modo che le risorse strutturali tecnologiche e di personale resesi disponibili dai suddetti erogatori privati contribuiscano al miglioramento della qualità e della distribuzione sul territorio del servizio".
1.2.1.3) In tale contesto vengono ribaditi i vincoli rivenienti dalla legislazione statale attinenti al dimensionamento e alla distribuzione qualitativa della dotazione di posti letto (col limite massimo di 5 p.l. per 1000 abitanti, di cui 1 per la riabilitazione e lungodegenza post-acuzie, e quanto ai primi con la percentuale minima (10% della dotazione) da destinare ai ricoveri a ciclo diurno c.d. day hospital e/o day surgery).
Nell'ambito dello stesso paragrafo, importanza essenziale riveste la previsione che: "Entro 90 giorni dall'adozione del Piano Sanitario, la Giunta adotta il Piano di riordino della rete ospedaliera e nei successivi 90 giorni, il programma straordinario di ammodernamento strutturale e tecnologico ex Art. 20 della L.67/88".
Vi è dunque un'espressa attribuzione di competenza, rispetto alla quale, in modo del tutto consequenziale, il punto 1) del dispositivo della deliberazione di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002, di adozione definitiva a seguito di integrazioni del piano di riordino della rete ospedaliera (impugnato col ricorso in esame), dispone: "di approvare, in esecuzione della Deliberazione di Giunta Regionale 27 dicembre 2001, n. 2087, di adozione del Piano Sanitario Regionale 2002-2004, il 'Piano di Riordino della Rete Ospedaliera' allegato sub A) alla presente deliberazione in tutte le sue componenti...".
1.2.1.4) Tralasciate, per economia di esposizione e perché specificamente relativi all'organizzazione dei presidi ospedalieri dell'a.u.s.l., le indicazioni contenute nel paragrafo 10.1 del piano sanitario regionale (già esaminate nella richiamata sentenza n. n. 5637 del 16 dicembre 2002), deve invece ribadirsi che dalla disamina dei contenuti del P.S.R. 2002-2004, è dato dunque di evincere senza incertezze che: - è al P.S.R. che deve ricondursi l'attribuzione diretta di competenza alla Giunta regionale in ordine all'approvazione del piano di riordino della rete ospedaliera; - è al P.S.R. che deve ricondursi la inclusione delle strutture sanitarie private nel sistema ospedaliero pugliese e quindi la previsione della sua (peraltro necessaria considerazione, a tenore delle disposizioni legislative statali e regionali dianzi esaminate) considerazione in sede di ristrutturazione o riordino della rete ospedaliera; - sempre nel P.S.R. sono fissati gli obiettivi, i criteri ispiratori, i vincoli da osservare nel processo di ristrutturazione della rete ospedaliera, le tipologie dei presidi e stabilimenti sanitari con l'individuazione delle unità operative attivabili, i limiti dimensionali minimi delle unità operative di diagnosi e cura.
Ne consegue che le censure afferenti all'invocata incompetenza della Giunta regionale in rapporto all'approvazione del Piano di riordino della rete ospedaliera, in funzione dell'invocata competenza del Consiglio regionale, andavano appuntate anzitutto nei confronti della deliberazione di Giunta regionale del 27 dicembre 2001, n. 2087 (di approvazione del piano sanitario regionale 2002-2004), costituente il primo atto concretamente ed effettivamente lesivo della supposta sfera di attribuzioni dell'organo consiliare, la cui impugnativa non poteva essere pretermessa in quanto le successive deliberazioni di Giunta regionale n. 1987 del 2 agosto 2002 (di approvazione del P.R.O. dopo la prima rimodulazione), n. 1086 del 26 luglio 2002 (di adozione del progetto di prima rimodulazione) e n. 1429 del 30 settembre 2002 (di affinamento e adeguamento del P.R.O.) costituiscono, sotto tale profilo, atti applicativi della previsione contenuta nel P.S.R. e di esercizio dell'attribuzione di competenza ivi stabilita.
Considerazioni analoghe valgono per le censure riferite alla lamentata inclusione delle strutture sanitarie private nel piano di riordino ospedaliero ed alle previsioni relative all'allocazione dei posti letto per la lungodegenza nelle sole strutture sanitarie pubbliche.
Né può revocarsi in dubbio che le previsioni del piano sanitario regionale, relative all'attribuzione di competenza alla Giunta regionale del potere di approvazione, nonché quelle intese a ricomprendere nel sistema ospedaliero, e quindi nel riordino, anche le strutture sanitarie private (provvisoriamente) accreditate, rivestissero immediata efficacia lesiva e come tali fossero doverosamente impugnabili nel termine decadenziale decorrente, in funzione della natura dell'atto (generale di organizzazione e pianificazione) dalla sua pubblicazione nel b.u.r.p., con conseguente indubitabile fondatezza della censura di tardività dell'impugnativa della deliberazione n. 2097 del 27 dicembre 2001.
2.) Così delineato il quadro di riferimento normativo e provvedimentale, può quindi passarsi all'esame della più radicale ed assorbente eccezione pregiudiziale di improcedibilità sopravvenuta del ricorso connessa al contenuto ed agli effetti dispositivi dell'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 9 dicembre 2002.
2.1) Secondo quanto anticipato nella narrativa in fatto, la Regione Puglia sostiene che: - il contenuto delle deliberazioni gravate è stato "fatto proprio" e "assunto" a "livello di prescrizioni aventi forza di legge" dalle citate disposizioni, onde non potrebbe con l'annullamento dei provvedimenti gravati porsi nel nulla l'efficacia di tale disposizione legislativa che ha conferito forza di legge alle scelte organizzative compiute; - sotto altro profilo, l'art. 18 avrebbe implicitamente abrogato per incompatibilità (assumendo come legittimo l'esercizio di competenza giuntale estrinsecato negli atti gravati) le disposizioni (tra cui anche gli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994 e, per quanto superato e inapplicabile, anche l'art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985) che assegnavano al Consiglio specifica competenza all'adozione di una serie di atti di pianificazione sanitaria, ed in specie del piano di riordino ospedaliero, ciò che troverebbe ulteriore giustificazione nella devoluzione della competenza regolamentare alle Giunte regionali, naturalmente se ed in quanto gli atti impugnati abbiano natura regolamentare.
2.1.1) Prima di considerare natura, contenuto ed effetti della disposizione dell'art. 18 della legge regionale n. 20 del 2002, occorre ribadire che gli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994, nel fissare la competenza del Consiglio regionale in ordine alla approvazione della riorganizzazione della rete ospedaliera (in ciò confermando la normativa transitoria di cui all'art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985), non sono ovviamente condizionati, quanto alla imputazione di competenza, dal termine, evidentemente ordinatorio, per quanto detto supra, espressamente contemplato dall'art. 32 ("entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge", e quindi entro il 29 gennaio 1995, considerato che la legge è entrata in vigore, ai sensi dell'art. 37 ultimo comma, nel giorno stesso della pubblicazione sul B.U.R.P. n. 146 del 30 dicembre 1994).
Né sulla problematica relativa all'invalidità sotto il profilo dell'incompetenza degli atti deliberativi giuntali di approvazione del piano di riordino ospedaliero può incidere la questione della natura giuridica dello strumento di programmazione che, secondo quanto osservato amplius nella sentenza n. 5637 del 16 dicembre 2002, non può considerarsi atto regolamentare se anche la competenza ad emanare i regolamenti regionali debba ormai ritenersi incardinata nella sfera di attribuzione della giunta regionale per effetto della novella dell'art. 121 Cost. come introdotta dall'art. 1 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1.
2.1.2) Ciò posto deve rammentarsi che la legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20 (pubblicata sul B.U.R.P. n. 156 del 9 dicembre 2002 ed entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione, secondo la disposizione in calce all'art. 46), intitolata "Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l'esercizio 2002", nel capo I ("Disposizioni in materia di razionalizzazione, contenimento e qualificazione della spesa sanitaria") del titolo II ("Norme relative al settore finanziario"), contiene varie disposizioni in materia sanitaria (art. 4 in tema di appropriatezza delle prestazioni sanitarie; art. 7 relativa alle dotazioni organiche; art. 8 concernenti spese e ricavi; art. 9 sull'adeguamento dei tetti di spesa; art. 10 sui nuclei di valutazione; art. 11 sulle gestioni liquidatorie; art. 12 sul controllo degli atti delle aziende sanitarie; art. 13 su disposizioni transitorie per persone affette da disturbi psichici; etc.); e, tra di esse, specificamente, quella dell'art. 18, rubricata sotto la voce "Livelli di assistenza", che risulta così testualmente formulata: "La Regione Puglia garantisce i livelli di assistenza di cui all'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, le cui prestazioni sono indicate nell'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, con le esclusioni di cui agli allegati 2A, 2B e 2C e con le indicazioni e linee guida di cui agli allegati successivi (comma 1).
Il livello di assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro è garantito attraverso i Dipartimenti di prevenzione delle aziende USL (comma 2).
Il livello di assistenza territoriale è garantito dai distretti così come articolati con deliberazione della Giunta regionale 8 agosto 2002, n. 1161, nonché dalle strutture territoriali sovradistrettuali di cui al piano sanitario regionale 2002/2004 (comma 3).
Le prestazioni di cui all'allegato 2A al d.p.c.m. 29 novembre 2001 di laserterapia antalgica, elettroterapia antalgica e ultrasuonoterapia, a decorrere dal 1° gennaio 2003 sono incluse nell'allegato 2B (comma 4).
Entro il 31 dicembre 2002 la Giunta regionale individua le specifiche indicazioni cliniche secondo le quali possono essere erogate le prestazioni incluse nell'allegato 2B, come integrato dal comma 4 (comma 5).
Le certificazioni di idoneità alla pratica sportiva, agonistica e non, sono rilasciate con oneri a carico del Servizio sanitario regionale (SSR) per i minori di anni 18 (comma 6).
Il livello di assistenza ospedaliera è garantito dalle aziende ospedaliero-universitarie, dagli IRCCS pubblici e privati, dalle strutture ospedaliere private e dai presidi ospedalieri delle aziende sanitarie locali, costituiti da uno o più stabilimenti funzionalmente accorpati, così come individuati con deliberazione della Giunta regionale n. 1087/2002, modificata con deliberazione 1429/2002, dotati delle discipline ivi previste" (comma 7).
2.1.3) L'attenzione del Tribunale deve dunque concentrarsi sulle disposizioni dei commi 3 e 7 che, secondo il loro piano tenore testuale, "recepiscono" sia la rete distrettuale, come delineata dalla deliberazione di Giunta regionale n. 1161 dell'8 agosto 2002, nonché le strutture sovradistrettuali, come previste dal piano sanitario regionale 2002-2004, sia l'organizzazione della rete ospedaliera individuata dalle deliberazioni di Giunta regionale n. 1087 del 2 agosto 2002 (di approvazione definitiva) e n. 1429 del 30 settembre 2002 (di riapprovazione con modifiche e affinamenti).
Infatti, secondo un'interpretazione letterale e logico-sistematica, nessun altro significato può assegnarsi alle disposizioni in esame se non quello di "sussumere" a livello legislativo il contenuto e gli effetti giuridici delle deliberazioni di Giunta regionale.
Infatti, i distretti rimangono "fissati" e "individuati" in quelli -"così come"-"... articolati con deliberazione della Giunta regionale 8 agosto 2002, n. 1161"; le strutture sovradistrettuali in quelle "...di cui al piano sanitario regionale 2002/2004"; le varie strutture erogatrici dell'assistenza ospedaliera enumerate -aziende ospedaliero-universitarie, gli I.R.C.C.S. pubblici e privati, le strutture ospedaliere private, i presidi ospedalieri delle aziende sanitarie locali- rimangono a loro volta "fissate" in quelle -"cosi come"- "...individuati con deliberazione della Giunta regionale n. 1087/2002, modificata con deliberazione 1429/2002, dotati delle discipline ivi previste".
2.1.3.1) Orbene, appare problematico concordare con la prospettazione della difesa regionale in ordine ad una efficacia abrogatrice implicita, da annettere alle disposizioni dell'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002, delle disposizioni di cui agli artt. 32 e 33 della legge regionale n. 36 del 1994 (e non anche dell'art. 9 della legge regionale n. 51 del 1985 poiché tale disposizione è stata, essa sì, abrogata per incompatibilità dagli artt. 32, 33 e 37 della legge regionale n. 36 del 1994).
Infatti, l'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002 non contiene alcuna specifica e diversa disciplina della "materia" relativa ai distretti ed al piano di riordino ospedaliero né dispone uno stabile spostamento di competenza in favore della Giunta regionale, men che meno fondato sul riconoscimento della natura regolamentare di tali strumenti di programmazione sanitaria.
2.1.3.2) Piuttosto, ai fini dell'indagine sulla natura e sugli effetti delle disposizioni dell'art. 18 commi 3 e 7, occorre interrogarsi sul rapporto tra gli atti amministrativi ivi richiamati (le deliberazioni giuntali n. 1161 dell'8 agosto 2002, n. 1087 del 2 agosto 2002 e n. 1429 del 30 settembre 2002) e la fonte legislativa regionale che li richiama, che la difesa regionale qualifica nei termini (invero di per sé generici e meramente descrittivi) di un "far proprio" il contenuto delle deliberazioni suddette e di una "assunzione" del medesimo a "livello di prescrizioni aventi forza di legge".
Il Tribunale ritiene che, al fine della compiuta individuazione del suddetto rapporto, e quindi della natura, del contenuto e degli effetti giuridici delle disposizioni dell'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20, sia imprescindibile il richiamo al piano costituzionale e ordinamentale sul quale si è dipanato il dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, sulle leggi provvedimento.
2.1.3.3) Per quanto largamente noti, non risultano inutili e inappropriati alcuni riferimenti concettuali di ordine generale sul tema.
Una elaborazione dottrinale ormai consolidata, ha individuato gli elementi essenziali e distintivi delle c.d. leggi in sostituzione di provvedimento amministrativo (o leggi provvedimento tout court), identificati in quei tratti che le differenziano dalle leggi generali in senso proprio (con l'avvertenza che nella realtà sussiste una gradualità nella disciplina legislativa delle fattispecie dall'astratto al concreto, che dal modello "puro" della legge assolutamente generale perviene alla legge singolare attraverso una sequenza di leggi a bassa, o depotenziata, generalità).
La nozione di legge provvedimento si costruisce, infatti, essenzialmente in funzione dei suoi elementi differenziali rispetto alla legge generale tout court, che possono identificarsi in una triplice coppia di "opposti", riferibile ai destinatari (personalità delle leggi provvedimento contrapposta alla generalità delle leggi generali), al contenuto (concretezza delle leggi provvedimento contrapposta alla astrattezza delle leggi generali) ed agli effetti (eccezionalità delle leggi provvedimento contrapposta alla stabilità o ordinarietà delle leggi generali).
In effetti, ove si concordi con la prevalente dottrina in ordine all'impossibilità di costruire, in base al dato normativo positivo costituzionale, una nozione di legge in senso sostanziale, e ferma restando quindi la qualificazione di ogni legge, ivi comprese le leggi provvedimento, in base ai suoi caratteri formali, soltanto gli elementi contenutistici differenziali dianzi richiamati consentono la enucleazione di una categoria di leggi c.d. in sostituzione di provvedimento amministrativo, nella quale peraltro confluisce una tipologia alquanto vasta e variegata.
Così, nell'ampio alveo delle leggi provvedimento sono identificabili le c.d. leggi di privilegio (connotate dai caratteri della personalità ed eccezionalità), le c.d. leggi personali in senso proprio (contrassegnate da destinatari determinati e suddistinguibili in leggi individuali, se rivolte a persone fisiche, e in leggi nominative, se indirizzate a destinatario nominativamente indicato).
Sono peraltro riconducibili, secondo la più attenta e autorevole dottrina in materia (sia consentito, eccezionalmente, l'imprescindibile richiamo a C. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, cui si riferiscono le citazioni testuali più avanti riportate) alle leggi provvedimento anche le disposizioni transitorie, mentre più problematica è la riconduzione alla categoria in esame delle leggi di organizzazione (intese in senso ampio come quelle istitutive e regolatrici di enti e organi); se è vero, infatti, che le leggi di organizzazione si differenziano dalle leggi generali per il carattere finalistico e strumentale che le impronta, laddove nelle leggi generali lo scopo è sempre esterno alla fattispecie e indifferente alla produzione del suo effetto, e che esse costituiscono espressione di indirizzo politico generale e di potestà autorganizzativa in materia amministrativa; nondimeno la stessa dottrina evidenzia come le leggi di organizzazione sono in ogni caso fonti regolatrici di una serie indeterminata di rapporti e che quindi rivestono una funzione normativa generale ed astratta.
Di particolare interesse è, invece, la riconduzione alla species delle leggi provvedimento delle c.d. leggi di approvazione e di autorizzazione (tipico esempio delle prime, le leggi di approvazione del bilancio o del rendiconto, le leggi che dispongono inchieste parlamentari, le leggi che approva(va)no gli statuti regionali; e delle seconde, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi concordatarie e quelle relative alle intese con le confessioni religiose), nonché delle c.d. leggi di pianificazione.
Premesso che, rispetto alla classificazione delle leggi provvedimento in esecutive (di precedenti leggi generali) e innovative (rispetto a precedenti leggi generali), le leggi di approvazione, di autorizzazione (e di pianificazione) dovrebbero senz'altro qualificarsi come esecutive, il proprium di tale categoria di leggi provvedimento è stato individuato nella funzione che esse esprimono, non già di controllo, sebbene di "compartecipazione alla decisione dell'atto approvato" (o autorizzato) (MORTATI, op. cit., pag. 26), ovvero dall'essere "espressione di una scelta politica, con assunzione di una medesima corresponsabilità" (MORTATI, ibidem).
Tale prospettiva apre scenari di grande interesse in ordine al rapporto tra atto approvato e atto (legislativo) di approvazione perché l'atto approvato entra "...a far parte integrante" (dell'atto di approvazione) (MORTATI, op. cit., pag. 143), o, sotto altra prospettiva, si registra un "assorbimento dell'atto approvato o autorizzato nella legge che approva o autorizza" (MORTATI, op. cit., pag. 149); né ha minor rilievo l'essenziale osservazione che l'approvazione "...vale a conferire al provvedimento dell'amministrazione un valore che altrimenti non potrebbe assumere, di non essere suscettibile di deroga o di modifica se non in virtù di altra legge" (MORTATI, op. cit., pag. 101).
Dal rapporto, così suggestivamente e acutamente ricostruito tra atto (amministrativo) approvato e atto (legislativo) di approvazione, conseguono essenziali corollari: a) l'assorbimento dell'atto approvato, ammesso anche che non conferisca al medesimo forza di legge (come pure invece può opinarsi), sottrae la disponibilità del suo contenuto all'esecutivo, ovvero esso diviene intangibile, stabilizzandosene gli effetti, non più disponibili da parte dell'esecutivo; b) l'atto (legislativo) di approvazione è sindacabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non solo in relazione a eventuali vizi del procedimento legislativo, bensì anche in funzione dei vizi propri dell'atto (amministrativo) approvato; in altri termini l'assorbimento dell'atto approvato nell'atto (legislativo) di approvazione non elide né sana i vizi dell'atto approvato, che rifluiscono sulla legge di approvazione.
Il profilo più delicato e problematico delle leggi provvedimento, ivi comprese le leggi di approvazione, è com'è noto, quello della limitazione del sindacato giurisdizionale sui vizi dell'atto (amministrativo) approvato o adottato con la legge in sostituzione di provvedimento.
E' essenzialmente in relazione al problema della depotenziata tutela giurisdizionale che la dottrina ha con tenacia, ma in modo sostanzialmente vano, tentato di ricostruire limiti generali di ammissibilità alle leggi provvedimento, ed in particolare di fondare l'enucleazione di una riserva di amministrazione, ovvero di un limite immanente che precluderebbe al legislatore di emanare leggi in sostituzione di provvedimenti amministrativi o che abbiano contenuto sostanziale di provvedimento amministrativo.
Tali tentativi sono stati volta a volta radicati in una interpretazione dell'art. 70 della Costituzione a tenore della quale la funzione legislativa si riferirebbe alla legge in senso sostanziale o materiale, o ancora nella disposizione dell'art. 113 della Costituzione intesa come fondante l'attribuzione di un diritto individuale indisponibile dal legislatore alla tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi, o altrimenti sul principio di eguaglianza formale di cui all'art. 3 della Costituzione che vieterebbe le leggi personali.
Essi però si sono infranti non soltanto nell'orientamento della dottrina prevalente, ma, soprattutto, nel costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale.
Infatti, e come è ampiamente noto, agli arresti iniziali della giurisprudenza amministrativa in ordine all'illegittimità dei decreti legislativi di esproprio emanati in attuazione della riforma fondiaria di cui alla legge delega 12 maggio 1950, n. 230 (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 marzo 1052, n. 6), si contrapposero, oltre che quelli della Suprema Corte (Cass., SS.UU., 15 gennaio 1953, n. 107), anche quelli della Consulta (Corte Cost., 27 maggio 1957, nn. 59 e 60) che puntualizzarono come "la funzione legislativa non consiste esclusivamente nella produzione di norme generali ed astratte ma può consistere anche nella emanazione di leggi provvedimento" (riconoscendosi allora la legittimità della delegazione legislativa all'emanazione di decreti legislativi provvedimento in funzione della natura eccezionale della medesima e della ricorrenza di speciali situazioni "...suscettibili solo di valutazione politica...").
Da quei lontani arresti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale è rimasta sostanzialmente ferma nell'ammettere la legittimità (in astratto e salvo il c.d. "scrutinio rigoroso di legittimità costituzionale") delle leggi provvedimento, e coevamente, nel negare l'esistenza di una riserva d'amministrazione, foss'anche fondata sulle esigenze di tutela giurisdizionale di cui all'art. 113 Cost.
Così, limitando le citazioni all'essenziale, possono ricordarsi, tra le tante, le seguenti sentenze: - Corte Cost., 21 marzo 1989 n. 143 in Cons. Stato 1989, II, 391 che ha rilevato come: "Tanto la Costituzione...quanto gli Statuti regionali definiscono la legge, non già in ragione del suo contenuto strutturale o materiale, bensì in dipendenza dei suoi caratteri formali (negandosi che) il divieto di leggi a contenuto particolare e concreto (potesse toccare) soltanto le regioni in conseguenza di un presunto principio generale dell'ordinamento giuridico, poiché un principio del genere, concernendo i caratteri strutturali della legge diretti a qualificarne l'essenza o l'identità tipologica come atto normativo, dovrebbe essere desunto da una un equivoca norma avente un rango superiore alla stessa legge, che in verità non è dato rinvenire nell'ordinamento giuridico. D'altra parte...nessuna disposizione costituzionale o statutaria comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto"; analoghi rilievi la Corte aveva svolto nella sentenza 24 marzo 1988, n. 331, ponendo in luce che "...si deve escludere qualsiasi fondamento alla pretesa del giudice a quo di individuare nell'adozione di un atto particolare e concreto in forma legislativa la causa della lesione dei diritti garantiti dall'art. 113 della Costituzione"; - Corte Cost., 16 febbraio 1993, n. 62, che ha ribadito che: "...in assenza nell'ordinamento attuale di una 'riserva di amministrazione' opponibile al legislatore non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidate all'azione amministrativa...con la conseguenza che in questi casi il diritto di difesa concesso ai soggetti...non risulterà annullato, ma verrà a connotarsi secondo il regime tipico dell'atto legislativo adottato, trasferendosi dall'ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale"; - Corte Cost., 24 febbraio 1995, n. 63, che ha ancora una volta puntualizzato che: "...non esiste in linea generale un divieto di leggi-provvedimento in quanto tali, occorrendo sempre procedere al controllo sostanziale sull'atto, sia pure con le peculiarità richieste dal suo specifico oggetto..."; - Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 2, che a proposito di leggi provvedimento regionali, e ribadendone implicitamente l'ammissibilità, ha precisato che in riferimento alle medesime: "...si impone uno scrutinio rigoroso di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio"; - Corte Cost., 29 maggio 1997, n. 153, che ha evidenziato come: "Secondo i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, spetta in generale al legislatore, sia statale che regionale, un vasto ambito di discrezionalità, ma il relativo potere non si sottrae al sindacato di costituzionalità, sotto il profilo della non arbitrarietà e della ragionevolezza delle scelte; sindacato tanto più rigoroso quanto più marcata sia...la...natura provvedimentale dell'atto legislativo sottoposto a controllo"; - Corte Cost., 26 maggio 1998, n. 185, che ancora una volta ha chiarito che: "...non può dirsi illegittima, di per sé, la legge-provvedimento...anche se per essa si impone uno 'scrutinio stretto' di costituzionalità per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare o derogatorio" .
Orbene, se tale è l'orientamento pressoché univoco della Consulta, rimane essenzialmente isolato il tentativo, compiuto con le sentenze n. 225 e 226 dell'11 giugno 1999, di ritagliare uno spazio di autonomo sindacato di legittimità sull'atto (amministrativo) presupposto da parte del giudice amministrativo, fondato sul rilievo che: - (in materia di approvazione con atto legislativo regionale di piano urbanistico adottato con atto amministrativo) la legge "...interviene esclusivamente sull'approvazione del piano adottato...in funzione di controllo e di compartecipazione come atto di consenso...alla decisione contenuta nell'atto sottoposto ad approvazione finale", senza che essa possa valere come "conversione dell'atto contenente la sostanziale programmazione pianificatoria" o come "...forma di 'validazione' legislativa..." oppure come "...sanatoria del piano stesso" (sentenza n. 226); - configurandosi la legge regionale come "...mera approvazione del piano...gli eventuali vizi della delibera di adozione del piano...non rimangono sottratti all'ordinario sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative..." (sentenza n. 225); - l'eventuale annullamento dell'atto di adozione del piano inciderebbe sulla legge di approvazione nel senso che essa "...finisce con il rimanere in tutto o in parte priva di oggetto" (sentenza n. 226).
In effetti, se si ammette, come pure contraddittoriamente la Corte sostiene, che la legge di approvazione è espressione di "compartecipazione come atto di consenso", e quindi si conviene con la dottrina migliore, dianzi citata, in ordine al rapporto tra atto approvato e atto (legislativo) di approvazione (secondo quanto deve evincersi dalla sostanziale riproduzione paratestuale dei concetti espressi al riguardo da quella dottrina, innanzi testualmente richiamati), risulta assai arduo sostenere che tale compartecipazione non si risolva nel (necessario) assorbimento dell'atto approvato nell'atto di approvazione, e quindi nella inevitabile devoluzione al sindacato di legittimità costituzionale di ogni profilo riguardante i vizi dell'atto approvato, in quanto assorbito dall'atto legislativo di approvazione.
2.1.3.4) Alla luce delle chiarificanti prospettive offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale in tema di leggi provvedimento, risulta ben più agevole l'inquadramento della disposizione dell'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale 9 dicembre 2002, n. 20.
Si è già osservato che essa sussume a livello legislativo il contenuto e gli effetti di atti generali di organizzazione e programmazione assunti nella forma del provvedimento amministrativo con le deliberazioni di Giunta regionale n. 1161 dell'8 agosto 2002 (per la rete distrettuale), n. 2087 del 27 dicembre 2001 (per le strutture sovradistrettuali contemplate dal piano sanitario regionale), e n. 1087 del 2 agosto 2002 e n. 1429 del 30 settembre 2002 (per il piano di riordino ospedaliero).
Si tratta, peraltro, di atti rientranti nella ordinaria competenza del Consiglio Regionale e che, in difetto di espresse indicazioni circa la loro adozione in via legislativa (ciò vale anche per il piano di riordino ospedaliero in quanto adottato a stralcio del piano sanitario regionale, per il quale soltanto l'art. 9 della legge regionale n. 36 del 1994 contiene un fugace riferimento alla "legge di piano sanitario"), ben potevano, ed anzi necessariamente dovevano, assumere la forma dell'atto amministrativo (generale e/o a contenuto programmatorio).
Orbene, con la disposizione dell'art. 18 commi 3 e 7 della legge regionale n. 20 del 2002 il Consiglio regionale, nel recepire l'assetto organizzativo delineato da tali atti, e nell'esercizio di competenze sue proprie, ha sostanzialmente approvato i suddetti provvedimenti amministrativi con atto legislativo , che costituisce dunque atto (legislativo) di approvazione degli atti amministrativi recepiti, e che, secondo la più autorevole prospettiva dottrinale dianzi illustrata (nonché della stessa giurisprudenza costituzionale richiamata, pressoché unanime, salvo gli isolati arresti delle sentenze nn. 225 e 226 dell'11 giugno 1999), "assorbe" i provvedimenti amministrativi (ovvero gli atti generali di organizzazione e pianificazione approvati con le citate deliberazioni), nell'esercizio di una discrezionalità legislativa rivolta ad una "compartecipazione alla decisione contenuta nell'atto approvato" (per usare la felice, chiarificante e insuperabile osservazione del Mortati).
Il fenomeno è, dunque, più complesso ed ampio di quello di una mera ratifica per via legislativa di atti viziati di incompetenza, anche perché con l'evidenziato assorbimento l'oggetto del medesimo (ovvero l'organizzazione della rete distrettuale ed ospedaliera come strutturata dalle deliberazioni giuntali) assume una forza giuridica superiore a quella propria e tipica degli atti provvedimentali assorbiti, che come tali risultano insuscettibili di successive modifiche ad opera di atti che non rivestano la medesima forza giuridica, o che, in altri e più chiari termini, non assumano del pari la forma della legge regionale.
In altri termini non si è in presenza di mera "riappropriazione" di competenza, perché la "condivisione" o "compartecipazione" all'assetto organizzativo contenuto negli atti provvedimentali approvati, nello stabilizzare contenuto ed effetto di questi ultimi con una forza giuridica superiore a quella propria del regime del provvedimento amministrativo, e corrispondente al regime tipico dell'atto legislativo, ne muta natura ed efficacia, rendendoli insensibili a successive modifiche che non assumano la medesima forma e forza giuridica, ovvero che non siano del pari adottate con atto legislativo.
2.2) Alla stregua delle osservazioni che precedono, risulta dunque pienamente fondata l'assorbente eccezione pregiudiziale spiegata dalla Regione Puglia ed incentrata sulla improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento dei provvedimenti impugnati.
E' evidente, infatti, che anche una sentenza costitutiva di annullamento, da parte del Giudice amministrativo, degli atti gravati non potrebbe dispiegare alcun effetto concreto "demolitorio" in ordine agli effetti, stabilizzati a livello legislativo, riconnessi all'approvazione con legge regionale dei medesimi atti, rispetto alla quale è soltanto ipotizzabile un sindacato di legittimità costituzionale, se ed in quanto sussistano profili di irragionevolezza anche riconducibili ai vizi degli atti amministrativi approvati: profili che allo stato, ed ad una sommaria disamina, quale consentita dalla natura e dai limiti del sindacato del giudice a quo sul profilo della non manifesta infondatezza, non appaiono di consistenza tale da consentire una diretta rimessione ex officio della questione al giudice delle leggi, tenuto conto che, in funzione della rilevanza degli interessi pubblici perseguiti e della loro inerenza ad un complesso processo di riordinamento del sistema ospedaliero, ispirato a finalità di razionalizzazione, in termini di maggiore efficienza, eliminazione di sprechi e contenimento della spesa pubblica, non appaiono ictu oculi manifestazione di irrazionale esercizio di discrezionalità legislativa.
3.) In conclusione, e salvi i profili di fondatezza delle altre eccezioni pregiudiziali e di infondatezza del ricorso, nei limiti e per come esaminati supra, il ricorso in epigrafe risulta improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dei provvedimenti impugnati.
4.) L'assoluta novità delle questioni esegetiche affrontate, e la loro relativa opinabilità, giustificano l'integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese ed onorari del giudizio, mentre non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese della parte privata intimata non costituita.