11.05.2007 free
CASSAZIONE CIVILE – (esclusione della responsabilità professionale del veterinario nella cura non riuscita di un “cavallo da corsa” )
§ - considerato che la infiltrazione praticata ad un cavallo affetto da zoppia, con movimento "a scatto"era consigliata dalla pratica sanitaria e non deve essere considerata inopportuna, anzi doverosa e necessaria; l'effetto collaterale verificatosi (gonfiore dell'articolazione con le conseguenze ulteriori) era imprevisto ed imprevedibile nella sua certezza; la valutazione sul rischio dell'impiego del farmaco usato deve essere lasciata al medico nella sua autonomia, "garantita dalla informazione scientifica", nel calcolo che va fatto in relazione al beneficio che il farmaco comporta. L'assenza, dunque, nella specie, di negligenza o inadeguata preparazione nell'esecuzione della prestazione professionale, come pure l'accertata preesistenza (al momento cioè del suo acquisto) di una patologia che sconsigliava l'impiego sportivo del cavallo, portavano a ritenere che "nessun addebito" può essere posto a carico del veterinario sia a titolo di colpa grave che lieve. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione civile, Sezione III, Sent. n. 5069 del 05/03/2007
omissis
Svolgimento del processo
Con citazione del settembre 1993 X, quale amministratore della Società equestre XX, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cassino il veterinario Dott. M.M. per ottenerne la condanna a risarcire il danno cagionato alla società proprietaria del cavallo X, per le conseguenze patite dall'animale a seguito delle infiltrazioni praticate dallo stesso professionista, nel X, al ginocchio posteriore sinistro, dalle quali era derivata una marcata deficienza di funzionalità dell'arto, e, in particolare, l'impossibilità del cavallo di partecipare a concorsi ippici.
Il convenuto, costituitosi, contestava la fondatezza della domanda, deducendo che la terapia praticata era stata del tutto corretta, mentre le affezioni patite dall'equino erano probabilmente di origine infettiva e non potevano essere fatte risalire al proprio comportamento.
Veniva espletata consulenza medico-legale e con sentenza del 16.11.1996 il Tribunale rigettava la domanda.
Proponeva appello la società nonchè appello incidentale la controparte in punto di spese e la Corte d'Appello di Roma con sentenza dell'1.10.2002 rigettava il primo e accoglieva il secondo. Avverso la sentenza d'appello la Società sportiva equestre X, in persona del suo amministratore X, ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi e depositato memoria. Il Dott. M.M. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Va previamente ritenuta l'ammissibilità del proposto ricorso, risultando la qualità di "amministratore unico" dell'X dalla prodotta visura della Camera di Commercio di Frosinone dell'11.12.2006.
Nel primo motivo - deducendo la "violazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., per errata interpretazione delle norme regolatrici la responsabilità e la diligenza del professionista" - la ricorrente lamenta che la Corte d'Appello di Roma ha optato per una responsabilità generica non confacente al caso, dovendo invece la diligenza del professionista valutarsi in riferimento alla natura della attività dallo stesso esercitata (di veterinario), comportante il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obiettivamente connesse all'esercizio della professione.
Il motivo non è fondato.
La Corte romana ha ritenuto non sussistere alcun profilo di colpa nell'operato professionale del M., veterinario, rilevando come il primo Giudice avesse indicato gli specifici elementi dai quali emergeva l'assenza di profili di responsabilità nella condotta del veterinario nella scelta della terapia, nella sua applicazione e, infine, nella fase successiva all'intervento medico.
Dalla sentenza del Tribunale, espressamente richiamata, invero risulta, più direttamente, che l'intervento effettuato dal detto professionista ha interessato un cavallo affetto da zoppia, con movimento "a scatto", dell'articolazione del garretto dell'arto posteriore sinistro ed è consistito in una infiltrazione della muscolatura paravertebrale nella regione lombo-sacrale e della articolazione tibio-tarsica; l'operazione è stata praticata con tutte le buone norme (fatto non contestato); la infiltrazione praticata era consigliata dalla pratica sanitaria e non deve essere considerata inopportuna, anzi doverosa e necessaria; l'effetto collaterale verificatosi (gonfiore dell'articolazione con le conseguenze ulteriori) era imprevisto ed imprevedibile nella sua certezza; la valutazione sul rischio dell'impiego del farmaco usato deve essere lasciata al medico nella sua autonomia, "garantita dalla informazione scientifica", nel calcolo che va fatto in relazione al beneficio che il farmaco comporta.
L'assenza, dunque, nella specie, di negligenza o inadeguata preparazione nell'esecuzione della prestazione professionale, come pure l'accertata preesistenza (al momento cioè del suo acquisto) di una patologia che sconsigliava l'impiego sportivo del cavallo, portavano a ritenere che "nessun addebito" poteva essere posto a carico del Dott. M. sia a titolo di colpa grave che lieve", non essendo l'evento dannoso lamentato comunque attribuibile al medesimo.
Nel secondo motivo si sostiene che la decisione impugnata si fonda su un'errata interpretazione degli atti e delle risultanze di causa, poichè la Corte d'Appello non ha tenuto nella dovuta considerazione un mancato consenso informato ad opera del professionista, avendo questi omesso il dovere di dare informazione circa la presenza di possibili effetti collaterali.
Il motivo è da disattendere, giacchè non consta che la relativa questione sia mai stata dedotta nel giudizio di merito e, peraltro, come si è evidenziato, l'effetto collaterale del gonfiore dell'articolazione era "imprevisto ed imprevedibile nella sua certezza in quell'animale". Nel terzo motivo la ricorrente denuncia la "violazione di legge, in relazione alla errata interpretazione dei criteri di determinazione del nesso di causalità (art. 360 c.p.c., n. 3).
Il motivo è parimenti da disattendere, atteso che, alla stregua degli elementi sopra esposti, deve ritenersi essere stato escluso, conseguentemente, qualsiasi nesso eziologico tra evento dannoso e prestazione sanitaria.
Dunque, nell'adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, cui non è utilmente contrapponibile la propria diversa valutazione di parte ricorrente, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente, per soccombenza, alle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 1.600,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2007. Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2007