13.12.2006 free
CASSAZIONE PENALE - ( il Direttore di U.O. può chiedere soldi ai pazienti? )
§ - Posta la qualifica di pubblico ufficiale rivestita dal direttore di Unità operativa, si configura il reato di concussione ove sia stata utilizzata detta posizione per indurre i pazienti ricoverati nella struttura, o che a questa si rivolgevano, ad accettare la proposta di farsi operare da lui, dietro pagamento di una somma non dovuta con successiva redazione di una lettera con cui avrebbero dovuto affermare che il pagamento era a scopo benefico e a titolo di ringraziamento per la riuscita operazione. L'induzione, sufficiente per la configurazione del reato di concussione (art. 317 c.p.), sussiste anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al pubblico servizio sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un medico dalle cui prestazioni dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute. ( Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net )
Cassazione penale , sez. VI, 30 settembre 2005, n. 39955
omissis
Fatto
1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catania ha rigettato la richiesta di riesame presentata dai difensori di M. A., confermando il provvedimento con cui il G.I.P. di quello stesso Tribunale aveva applicato nei confronti dell'imputato la misura cautelare degli arresti domiciliari, in quanto gravemente indiziato di una serie di episodi di concussione posti in essere abusando della qualità di direttore dell'Unità operativa di cardiochirurgia dell'ospedale […] di […]. Secondo il giudice del riesame l'ordinanza poggiava su gravi indizi di colpevolezza costituiti dalle dichiarazioni delle persone offese e dalle intercettazioni ambientali, da cui emergeva che l'A., in diverse occasioni, aveva prospettato ai pazienti, che si rivolgevano alla struttura da lui diretta per sottoporsi a delicati interventi chirurgici, la possibilità, in alternativa all'intervento condotto in regime ospedaliero ordinario - quindi gratuito - ovvero intramoenia - cioè, con possibilità di scegliere l'equipe chirurgica di propria fiducia dietro pagamento all'azienda ospedaliera di circa 12.000 euro, metà dei quali destinati al direttore dell'unità operativa di cardiochirurgia -, di condurre l'operazione personalmente, facendo figurare comunque il regime ospedaliero gratuito, a condizione che gli fosse corrisposta, direttamente ed in contanti, una somma di denaro da versare dopo l'intervento - di solito inferiore rispetto a quella prevista per gli interventi intramoenia - e che venisse sottoscritta una lettera da cui doveva risultare, contrariamente al vero, che tale dazione di denaro era una spontanea iniziativa dei soggetti operati. Il Tribunale riteneva che allo stato degli atti tali condotte potessero configurare il delitto di concussione per induzione di cui all'art. 317 c.p. - per alcuni episodi solo tentato -, sussistendo sia l'abuso dei poteri inerenti il pubblico servizio, che l'induzione del privato a promettere indebitamente denaro. La reiterazione dei reati in un breve lasso temporale, l'utilizzazione di collaudate modalità operative e la pervicacia con cui l'imputato aveva posto in essere le condotte criminose rappresentavano, per i giudici, un sicuro sintomo dell'elevato grado di pericolosità sociale dell'A. in relazione al concreto pericolo di commissione di altri delitti della stessa specie.
2. Contro tale ordinanza hanno proposto ricorso i difensori dell'imputato deducendo, innanzitutto, che il Tribunale nel considerare unitariamente le condotte contestate, avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della concussione in tutti i diversi episodi, senza cogliere i dati di differenziazione e dando così una valutazione del tutto generica dal punto di vista della motivazione: in alcuni episodi, si sostiene, non vi sarebbe alcuna prova di una forma di "coartazione" esercitata nei confronti dei pazienti, ma una semplice "contrattazione" tra le parti che integrerebbe, semmai, il reato di corruzione. Inoltre, si contesta la qualificazione giuridica data alle condotte poste in essere dall'imputato, che non rientrerebbero nella fattispecie della concussione, bensì in quella della truffa: infatti, le prestazioni professionali dell'A. erano eseguite fuori dell'orario di lavoro, per cui sarebbero dovute essere assoggettate al regime intramurario, con destinazione di una parte dei compensi all'ospedale; l'artifizio sarebbe consistito nel far figurare le operazioni in regime ospedaliero gratuito, provocando così un danno all'amministrazione sanitaria, che veniva privata della quota di spettanza. Nella ricostruzione difensiva si esclude ogni ipotesi di utilizzo strumentale della posizione di direttore dell'Unità operativa di cardiochirurgia, in quanto non vi sarebbe stata alcuna forma di abuso dei poteri, dal momento che l'imputato si sarebbe limitato a fornire una doverosa informazione circa le diverse possibilità degli interventi chirurgici, sostenendosi che le pretese economiche erano richieste qualora l'operazione dovesse svolgersi oltre il debito orario assegnato all'A., quale direttore di divisione e professore associato.
Insussistente sarebbe stato anche l'elemento dell'induzione, in quanto l'imputato non avrebbe posto in essere alcuna condotta diretta a provocare uno stato di soggezione dei pazienti: non vi è prova, secondo la difesa, che l'A. abbia orientato la scelta dei pazienti, attraverso un'opera di coercizione anche indiretta della volontà, ad esempio ingenerando il timore di un esito infausto dell'intervento qualora non si fossero avvalsi della sua opera, inducendoli a sottostare ad una pretesa ingiusta. Per quanto concerne gli episodi di concussione tentata (capi B ed F), si ritiene che sia del tutto evidente la mancanza dell'attitudine offensiva dell'azione rispetto al bene protetto dalla norma incriminatrice.
Peraltro, i difensori ritengono che i fatti debbano essere circoscritti all'ipotesi di tentata truffa o della istigazione alla corruzione in tutti i casi in cui i soggetti passivi non sottostarono alle pretese dell'imputato o perché le rifiutarono espressamente o perché finsero di aderire alla proposta. In conclusione, la difesa ritiene che dall'analisi dei diversi episodi contestati le condotte dell'A. non configurino il delitto di concussione, bensì, in alcuni casi, il reato di truffa in danno dell'ente ospedaliero (capi A, C, K), in altri il reato di truffa tentata o, in alternativa, di istigazione alla corruzione (capi B, D, E, F, G). Durante la pendenza del ricorso la misura degli arresti domiciliari è stata sostituita con la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico servizio.
Diritto
3. Preliminarmente deve rilevarsi che, sebbene l'imputato non si trovi più agli arresti domiciliari, persista l'interesse al ricorso sotto il profilo dell'eventuale azionabilità del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, in quanto il ricorrente ha contestato la qualificazione giuridica del reato per cui è stata disposta la misura coercitiva.
3.1. La difesa ha censurato, in primo luogo, il metodo utilizzato nell'ordinanza impugnata, che avrebbe considerato in maniera globale la condotta dell'imputato, senza scendere ad esaminare le singole contestazioni relative agli otto distinti episodi.
Si osserva al riguardo che la motivazione dell'ordinanza appare del tutto coerente e completa, in quanto i fatti addebitati all'A. risultano presi tutti in considerazione e la sintesi dell'argomentazione non incide sulla logicità del provvedimento. 3.2. Con gli altri articolati motivi viene contestata la qualificazione giuridica delle condotte poste in essere dall'A., sostenendo che i giudici avrebbero dovuto contestare in alcuni casi il reato di truffa ai danni dell'ente ospedaliero (capi A, C, K), in altri il reato di truffa tentata o di istigazione alla corruzione (capi B, D, E, F, G).
Questo Collegio ritiene che, sulla base dei fatti così come ricostruiti dall'ordinanza impugnata, correttamente i giudici del riesame abbiano qualificato le condotte contestate all'imputato come concussione. Sia per quanto concerne i fatti contestati ai capi A, C, D, E, G e K, per i quali sono stati ritenuti sussistenti i gravi indizi in relazione alla concussione consumata, sia per i fatti di concussione tentata di cui ai capi B ed F, l'ordinanza ha fornito una coerente e logica giustificazione delle ragioni per le quali ha ritenuto ipotizzabile la concussione, anziché la truffa o l'istigazione alla corruzione, evidenziando come nella condotta dell'imputato fossero ravvisabili tutti gli elementi costitutivi di tale reato: l'abuso dei poteri inerenti il pubblico servizio e la induzione del privato a promettere indebitamente denaro. In particolare, le contestazioni della difesa riguardano l'esistenza dell'abuso dei poteri inerenti la funzione di direttore dell'unità di cardiochirurgia e dell'induzione.
Nessun dubbio che la posizione di direttore dell'Unità operativa di cardiochirurgia di un ente ospedaliero, come l'ospedale […] di […], comporti l'attribuzione della qualità di pubblico ufficiale e quindi la configurabilità del reato di concussione anche nei confronti dei pazienti (Cass., Sez. VI, 1 aprile 1980, n. 1017, Dattolo).
I giudici del riesame hanno sostenuto che l'imputato avrebbe utilizzato la sua posizione di direttore dell'unità di cardiochirurgia per indurre i pazienti ricoverati in tale struttura, o che a questa si rivolgevano, ad accettare la proposta di farsi operare da lui, dietro pagamento di una somma non dovuta, facendo loro redigere una lettera con cui avrebbero dovuto affermare che il pagamento era a scopo benefico e a titolo di ringraziamento per la riuscita operazione. In questa ricostruzione la condotta del direttore dell'unità di cardiochirurgia ha determinato un oggettivo condizionamento della libertà morale dei pazienti, i quali, ricoverati per essere sottoposti a delicati interventi chirurgici, hanno aderito alla proposta in una situazione di soggezione psicologica nei confronti dell'A., che li ha sottoposti a pressioni indirette per ottenere quelle dazioni di denaro di cui le persone offese percepivano l'ingiustizia.
In una analoga fattispecie questa Corte ha avuto modo di affermare che l'induzione, sufficiente per la configurazione del reato di cui all'art. 317 c.p., sussiste anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al pubblico servizio sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un medico dalle cui prestazioni dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute (Cass., Sez. VI, 29 marzo 1995, n. 5809, Azzano).
Medesime considerazioni sono state svolte dai giudici del riesame. Si è di fronte a condotte che, così come ricostruite nell'ordinanza, configurano indubbiamente una induzione che, come è noto, non è vincolata a forme predeterminate e tassative, potendo concretizzarsi anche in frasi indirette ovvero in atteggiamenti o comportamenti surrettizi, che si esplicitino in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, purché siano idonee ad influenzare la volontà della vittima, convincendola della opportunità di provvedere al pagamento indebito richiesto (Cass., Sez. VI, 22 ottobre 1993, n. 2985, Fedele).
Peraltro, nell'ordinanza è stato evidenziato che in alcuni casi l'A., dinanzi alle perplessità manifestate da qualche paziente rispetto alle sue proposte, abbia assunto atteggiamenti più espliciti, dicendo loro che se non si fossero affidati a lui "sarebbero stati operati dal cardiochirurgo di turno - cioè un assistente qualunque, uno che aveva necessità di fare pratica", arrivando persino a rimproverare i familiari colpevoli di far correre tali rischi al malato pur di non pagare quanto richiesto.
In questo modo, l'imputato ha utilizzato la sua posizione di preminenza per esercitare un'apprezzabile opera di pressione morale sui pazienti, alludendo, talvolta in maniera implicita, altre volte in modo più esplicito, alla possibilità dell'aumento del "rischio operazione" qualora non fosse stato egli stesso a condurre l'intervento chirurgico, spingendoli ad aderire alla sua proposta, abusando dei poteri derivanti dall'essere direttore dell'unità di cardiochirurgia di un ente ospedaliero, ufficio che gli consentiva di predisporre e di modificare i turni dei medici incaricati degli interventi chirurgici.
3.3. Allo stesso modo, deve ritenersi che l'ordinanza abbia correttamente qualificato come concussione tentata i due episodi di cui ai capi B ed F, in cui le vittime rifiutarono la proposta del direttore dell'unità di cardiochirurgia, formulata con le solite modalità. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte per la configurabilità del tentativo è sufficiente che siano stati posti in essere atti idonei a indurre taluno a dare o a promettere denaro o altre utilità, indipendentemente dal verificarsi dello stato di soggezione della vittima per effetto del metus potestatis, bastando che la condotta del pubblico ufficiale abbia determinato una situazione idonea in astratto a generare quel timore per integrare l'ipotesi di concussione tentata (Cass., Sez. VI, 25 febbraio 1994, n. 6113, Fumarola). Ne consegue che qualora la persona offesa resista alla proposta, come nel caso della Signora G. (capo B) e dei Signori S. - B. (capo F), non può parlarsi di inidoneità degli atti, né di desistenza, ma deve aversi riguardo alla adeguatezza della condotta rispetto al fine che l'imputato intendeva perseguire, potendosi configurare il tentativo di concussione. Di questi principi ha fatto applicazione l'ordinanza, che ha ritenuto la condotta dell'A. idonea a determinare uno stato di soggezione nei confronti delle vittime dei due episodi contestati nei capi B ed F, ritenendo correttamente configurabile il tentativo.
3.4. Deve, pertanto, escludersi che le condotto dell'imputato configurino il reato di truffa, come sostiene la difesa. Nella concussione l'abuso della qualità assume una preminente incidenza prevaricatrice, in quanto il soggetto viene indotto a una prestazione che sa non dovuta; mentre nella truffa aggravata la qualità del pubblico ufficiale non è determinante per le scelte della vittima, che viene indotta alla prestazione che crede dovuta sulla base di artifici o raggiri. Nei casi in questione le persone offese erano tutte consapevoli dell'ingiustizia della prestazione richiesta, che hanno eseguito non sulla base di artifici posti in essere dall'A., bensì in quanto indotti dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale. Nei casi in cui il paziente o il suo familiare ha effettuato o promesso il pagamento in favore dell'A. ciò ha fatto non allo scopo di trarre vantaggio dall'abuso del pubblico ufficiale, ma per effetto di quella situazione di timore provocata dallo stesso imputato. In entrambe le figure di reato l'induzione è lo strumento della condotta antigiuridica dell'agente, ma nella truffa essa avviene attraverso una serio di atti ingannatori che portano all'errore del soggetto passivo; nella concussione la persuasione avviene per la pressione prevaricatrice del pubblico funzionario.
Allo stesso modo, non sembra possibile, allo stato, ritenere configurabile il solo reato di truffa aggravata ai danni dell'ente ospedaliero. Il tribunale ha messo in giusta evidenza che dagli atti risulta che i malati siano stati effettivamente operati in regime ospedaliero gratuito e, quindi, non al di fuori dell'orario di lavoro, per cui nessun danno patrimoniale avrebbe subito l'azienda ospedaliera, che non aveva diritto in tali casi di ottenere il pagamento di somme di denaro per gli oneri aggiuntivi. In ogni caso, come è stato giustamente sottolineato nell'ordinanza impugnata, il reato di truffa in danno dell'ente potrebbe semmai concorrere con quello di concussione, ma mai essere a questo alternativo.
3.5. Infine, deve escludersi che i fatti così come ricostruiti possano essere qualificati come corruzione o istigazione alla corruzione, secondo una prospettazione alternativa della difesa. Manca, infatti, ogni elemento che possa far ritenere che tra le parti vi sia stata una "trattativa" paritaria, che abbia dato luogo ad un accordo convergente verso una comune utilità. Al contrario, non vi è stato alcun accordo paritetico, ma l'imputato, abusando della sua posizione di direttore dell'unità di cardiochirurgia, ha indotto i pazienti a sottostare all'ingiusta richiesta. D'altra parte nella corruzione è il privato che determina l'abuso del pubblico ufficiale per conseguire il vantaggio desiderato, cosa che nella specie non si è verificato.
In relazione ai fatti contestati ai capi B, D, E, F e G non può parlarsi neppure di istigazione alla corruzione, come ritenuto dal ricorrente. L'art. 322 comma 3 c.p. è una ipotesi di reato residuale, introdotta per punire quelle condotte del pubblico ufficiale che non integrano il tentativo di concussione e si configura quando difettano gli elementi della costrizione o della induzione nei confronti del privato (Cass., Sez. VI, 25 febbraio 1994, n. 6113, Fumarola). Nei casi in esame, invece, sono state poste in essere condotte induttive da parte dell'imputato che, almeno nella valutazione dei gravi indizi per l'emissione della misura cautelare, sono state correttamente qualificate come concussione consumata, mentre per quanto riguarda i due episodi di cui ai capi B ed F, altrettanto correttamente, è stato ritenuto configurabile il delitto di tentata concussione, in quanto la condotta del pubblico ufficiale è stata considerata astrattamente idonea a determinare uno stato di soggezione anche se, per la resistenza dei soggetti passivi, il risultato della condotta criminosa non è stato raggiunto. Il ricorso, pertanto, è infondato e deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese. Roma, 30 settembre 2005 Depositata in cancelleria il 3 novembre 2005.