01.05.03 free
Tar Lazio - ( sulla retribuibilta' delle mansioni superiori e sui requisiti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. Reg. Sent.
Anno 2003
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO N. 18071 Reg. Ric.
Anno 1993
- Sezione I-bis -
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 18071 del 1993, proposto da Marraudino Francesco, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Claudia Ioannucci, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Roma, via Maria Adelaide n. 12
contro
l'Unità Sanitaria Locale RM/30, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Perica, per il presente giudizio elettivamente domiciliata in Roma, alla via della Giuliana n. 63, presso lo studio dell'avv. G. Fiorino
per l'annullamento
della nota n. 10244 del 20 settembre 1993, con la quale veniva respinta la richiesta di corresponsione degli emolumenti relativi all'espletamento delle mansioni superiori di primario anestesista, svolte dal ricorrente su posto vacante, nel periodo 1° gennaio 1989 - 17 dicembre 1992;
nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 13 gennaio 2003 il Cons. Roberto POLITI; uditi altresì l'avv. G. Siriani (in sostituzione dell’avv. M. C. Ioannucci) per la parte ricorrente e l'avv. G. Perica per l'Amministrazione resistente.
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espone preliminarmente il ricorrente di aver ininterrottamente svolto, presso l'intimata U.S.L. RM/30 di Colleferro, mansioni primariali su posto vacante relativamente al periodo 1° gennaio 1989 - 17 dicembre 1992.
Contesta il ricorrente la determinazione con la quale l'anzidetta U.S.L. ha negato (assumendo la carenza di formale atto di assegnazione) il riconoscimento del differenziale retributivo dal ricorrente richiesto a fronte del più elevato impegno mansionistico per il cennato periodo in ragione dei seguenti argomenti di doglianza:
Violazione dell'art. 36 della Costituzione, dell'art. 2126 c.c., dell'art. 29 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761. Eccesso di potere per erroneità del presupposto e carenza di motivazione.
Sostiene il ricorrente - richiamandosi ad un consolidato insegnamento giurisprudenziale - che lo svolgimento di mansioni primariali su posto vacante necessariamente comporta la remunerazione dell'attività lavorativa di fatto disimpegnata (detratti sessanta giorni nell'anno solare, secondo quanto stabilito dal II comma dell'art. 29 del D.P.R. 761/79), indipendentemente dalla presenza di un previo formale atto di assegnazione ad opera delle competenti strutture decisionali dell'Amministrazione di appartenenza.
Conclude pertanto parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente:
annullamento degli atti oggetto di censura;
e condanna dell'intimata U.S.L. alla corresponsione, per il periodo in precedenza indicato, del differenziale retributivo relativo alle disimpegnate mansioni di primario di anestesiologia (maggiorato degli importi per rivalutazione monetaria ed interessi legali), nonché alla regolarizzazione della propria posizione ai fini previdenziale ed assistenziale.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 13 gennaio 2003.
Diritto
1. Viene in considerazione, alla luce dei fatti esposti dalla parte ricorrente con il presente gravame, la pretesa da quest’ultima dedotta quanto al riconoscimento – ed alla conseguenziale liquidazione – del differenziale retributivo corrispondente alle superiori mansioni primariali dall’interessato disimpegnate – relativamente al periodo compreso fra il 1° gennaio 1989 ed il 17 dicembre 1992 – rispetto alla qualifica (aiuto) di formale inquadramento.
Il provvedimento con il quale l’intimata U.S.L. ha respinto la richiesta come sopra avanzata dall'odierno ricorrente trova fondamento nella sostenuta assenza di formali determinazioni atte a conferire al dr. Marraudino le superiori funzioni di primario; ulteriormente specificandosi come, alla stregua di quanto previsto dall’art. 121 del D.P.R. 384 del 1990, lo svolgimento di siffatto ambito mansionistico avrebbe, al più, potuto dar luogo alla liquidazione della corrispondente indennità per un arco temporale inferiore rispetto alla richiesta formulata dall’interessato.
2. Come sopra puntualizzati i fondamentali termini di riferimento della sottoposta controversia, va dato atto della parziale fondatezza delle doglianze con il presente gravame dedotte.
E’ infatti noto che la giurisprudenza, applicando i principi ermeneutici espressi dalla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 16 maggio 1991, ha costantemente affermato che, nel caso di svolgimento da parte del dipendente della U.S.L. di mansioni superiori per sostituzione in un posto vacante e disponibile, senza che l'Amministrazione abbia provveduto a coprirlo, qualora il trasferimento alle mansioni superiori si protragga oltre il termine di 60 giorni nell'anno solare ed anche indipendentemente dall'esistenza di un formale atto di assegnazione, spetta al prestatore di lavoro, sulla base dell'art. 29, II comma, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (ed in via di applicazione diretta dell'art. 36 della Costituzione e dell'art. 2126, I comma, c.c.), il trattamento economico corrispondente all'attività concretamente svolta.
Non rileva infatti, in tal caso, la disposizione di cui all'art. 29, I comma D.P.R. n. 761 del 1979, dal momento che il divieto, ivi previsto, di essere assegnato alle mansioni superiori, rende illegittimo non già il comportamento del dipendente ospedaliero il quale, essendo vacante il posto superiore, svolga anche di solo fatto le mansioni corrispondenti per un periodo eccedente 60 giorni nell'anno solare, ma il comportamento dell'Amministrazione, che, dopo essersi giovata della facoltà concessale dalla norma in esame (esercizio delle funzioni superiori senza retribuzione), mantenga l'assegnazione, o tolleri l'esercizio delle mansioni, oltre il termine ivi previsto (cfr., fra le numerose pronunzie in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 1995 n. 964, 9 marzo 1995 n. 328, 11 novembre 1994 n. 1284, 20 settembre 1994 n. 1010, 13 luglio 1994 n. 772, 9 aprile 1994 n. 267, 14 marzo 1994 n. 173, 13 gennaio 1994 n. 7, 6 dicembre 1993 n. 1251, 6 ottobre 1993 n. 996, 11 maggio 1993 n. 573, 14 aprile 1993 n. 493).
Il divieto posto dall'art. 29, I comma, D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 di assegnare a mansioni superiori il dipendente per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare, è infatti diretto nei (soli) confronti dell'Amministrazione: verificandosi, ove l'impiego del dipendente in più elevate mansioni si protragga oltre detto termine, un illegittimo comportamento della P.A. che non si riflette in un giudizio di illiceità della prestazione la quale, pertanto, deve essere retribuita (Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 1993 n. 793).
Questa conclusione, poi, si armonizza perfettamente con l'indirizzo ermeneutico delineato dalla Corte Costituzionale, secondo la quale l'art. 29, II comma, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 va interpretato nel senso che la maggiorazione della retribuzione all'aiuto ospedaliero che esercita le funzioni di primario e all'assistente che esplichi quelle di aiuto, non spetta solo quando l'assegnazione temporanea non ecceda i 60 giorni: restando fermo che, ove l'incarico ecceda tale termine, al prestatore di lavoro spetta il trattamento corrispondente all'attività svolta ai sensi dell'art. 2126, I comma, c.c.
Il citato art. 29, II comma, del D.P.R. n. 761 del 1979 non si pone, quindi, in contrasto con l'art. 36 Cost., in ragione dell’erroneità del presupposto che l'articolo stesso abbia inteso negare la maggiorazione della retribuzione anche nel caso di prestazioni eccedenti i 60 giorni (cfr. Corte Costituzionale, 23 febbraio 1989 n. 57; 19 giugno 1990 n. 296; 26 marzo 1991 n. 130; 23 luglio 1993 n. 337; 31 marzo 1995 n. 101).
3. Come sopra chiarito il fondamento giustificativo del diritto alla retribuzione delle superiori mansioni disimpegnate dal dipendente sanitario, va poi ulteriormente rammentato che la giurisprudenza ha chiaramente definito il rilievo assunto, ai fini in discorso, dalla presenza di un «atto formale» di conferimento del relativo incarico; anche in questo caso, uniformandosi agli indirizzi espressi dalla Corte Costituzionale e dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Secondo i giudici della Consulta (sent. 19 giugno 1990 n. 296), non è necessario un «atto formale, ancorché illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni»; all'insufficienza rivelata dal mero riscontro dell'effettivo espletamento delle mansioni superiori accedendo l'esigenza che il servizio sia stato espletato «in conformità di una disposizione impartita dall'organo amministrativo dell'ente pubblico nell'esercizio del suo potere direttivo».
Siffatta precisazione – e le conseguenze che da essa scaturiscono in ragione alla configurabilità dei presupposti sottesi alla retribuibilità delle mansioni superiori – si atteggia tuttavia in maniera significativamente difforme nel caso in cui le mansioni in discorso siano disimpegnate da un assistente, ovvero in cui l’aiuto svolga le funzioni primariali (fattispecie, quest'ultima, che ricorre nella sottoposta vicenda contenziosa).
Il principio di diritto enunciato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella citata pronunzia n. 2 del 16 maggio 1991 - secondo cui «le spettanze retributive con gli accessori previdenziali trovano giustificazione nella mera prestazione di fatto delle mansioni espletate» - si riferisce, infatti, alla specifica ipotesi in cui l'aiuto svolga le funzioni di primario; dimostrandosi non estensibile alla diversa fattispecie in cui l'assistente medico espleti le mansioni di aiuto.
Se in tale eventualità, pur essendo superfluo un «formale» atto di incarico, è comunque indispensabile accertare l'esistenza di una specifica disposizione organizzativa impartita dall'Amministrazione, diversamente lo svolgimento delle funzioni primariali da parte dell'aiuto assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo della Amministrazione, in quanto non è concepibile che la struttura sanitaria affidata alla direzione del primario resti priva dell'organo di vertice, che assume la responsabilità dell'attività esercitata nell'ambito della divisione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 1997 n. 614 e 7 dicembre 1996 n. 1475).
Di contro, la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell'assistente nell'esercizio delle mansioni superiori, potendo l'Amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative, secondo la previsione dell'art. 7 del D.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1447); né è precluso l’esercizio delle mansioni proprie dell'aiuto, anziché ad opera di un assistente, da parte dello stesso primario, con ampliamento dei propri compiti e responsabilità (Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 1996 n. 100).
4. Escluso, dunque, che nel caso di specie la mancanza di un formale atto di conferimento di funzioni possa assumere valenza ostativa ai fini della richiesta retribuibilità delle mansioni superiori dal ricorrente disimpegnate (ed ulteriormente dato atto della incontroversa vacanza del posto al quale le mansioni stesse attengono), viene ora in considerazione la quantificazione del differenziale retributivo al dr. Marraudino spettante al titolo di cui sopra, avuto riguardo al complessivo arco temporale (1° gennaio 1989 – 17 dicembre 1992) al quale si riferisce la pretesa dedotta in giudizio.
Va infatti rilevato che la U.S.L. resistente ha, con l'impugnato provvedimento in data 20 settembre 1993, sottolineato che "… l'entità del periodo che si vuole retribuito … va comunque al di là di quanto previsto dall’invocato art. 121 del contratto vigente”.
4.1 L'art. 121 del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384, nel prevedere che gli Enti, nel caso di vacanza o di disponibilità dei posti previsti nelle piante organiche definitive o provvisorie, debbono attivare le procedure concorsuali di cui all'art. 9 della l. 20 maggio 1985 n. 207, per provvedere alla regolare copertura dei posti stessi (I comma), ha altresì precisato che:
"le mansioni superiori si configurano … quando la sostituzione del superiore assente, pur rientrando negli ordinari compiti sia imputabile a vacanza del posto" (IV comma);
"l'assegnazione temporanea alle mansioni superiori … non deve eccedere i sessanta giorni nell'anno solare e non dà titolo ad alcuna retribuzione" (VI comma);
e che, "qualora per giustificati motivi le procedure di cui al comma I non possano essere portate a compimento nell'arco di tempo previsto dal comma VI, al dipendente incaricato delle mansioni superiori, con provvedimento formale secondo le vigenti disposizioni, è corrisposto un compenso per il periodo eccedente i sessanta giorni commisurato alla differenza fra lo stipendio base della posizione superiore e quello della posizione di appartenenza, per un periodo non superiore a sei mesi, al termine del quale le mansioni superiori non sono in alcun caso rinnovabili".
A fronte della riportata disciplina della retribuibilità delle mansioni superiori, sono venuti a delinearsi, in giurisprudenza, orientamenti significativamente difformi.
Secondo un primo convincimento, la disposizione di cui all'art. 121, I comma, del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 avrebbe natura di norma organizzatoria, non potendo conseguentemente incidere sul diritto del pubblico dipendente a percepire una retribuzione adeguata alla qualità dell'attività lavorativa prestata qualora tale attività, col consenso anche tacito dell'Amministrazione sanitaria e nell'inerzia della stessa ad individuare altro dipendente avente titolo all'assegnazione delle funzioni superiori, si sia protratta (anche) oltre gli otto mesi (cfr. T.A.R. Molise, 19 gennaio 2000 n. 1, 15 ottobre 1999 n. 451 e 24 giugno 1996 n. 229).
Al sanitario incaricato dello svolgimento di mansioni superiori su posto vacante e disponibile - come appunto nel caso in esame - spetterebbe, quindi, il trattamento retributivo differenziato ai sensi dell'art. 29, II comma, del D.P.R. 761/79, ancorché tale incarico continuativo si sia protratto oltre il termine all'uopo stabilito dall'art. 121 D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 o non venga attivato dall'Amministrazione il procedimento concorsuale in vista del quale l'incarico stesso è stato conferito (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 4 aprile 2001 n. 2858; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2000 n. 5650).
Un'altra corrente ermeneutica ha invece sottolineato il carattere innovativo recato dalla disciplina di cui al D.P.R. 384/90 rispetto al previgente assetto delineato, per la materia in esame, dal D.P.R. 761/79; in particolare rilevando che:
se nel periodo antecedente al 20 dicembre 1990 (entrata in vigore del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384), l'assegnazione a mansioni superiori dei sanitari dipendenti di U.S.L., a norma dell'art. 29 D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, non dava diritto a maggiorazioni retributive solo nel limite dei sessanta giorni per ciascun anno solare, onde il suo prolungamento oltre tale periodo produceva a favore del datore di lavoro un arricchimento ingiustificato compensabile in applicazione diretta dell'art. 36 Cost.;
nel periodo successivo al 19 dicembre 1990, l'art. 121 del citato D.P.R. n. 384 del 1990, oltre a richiedere l'attivazione delle procedure per la copertura dei posti vacanti e disponibili e un incarico formale, ha previsto in via eccezionale, per il periodo eccedente i sessanta giorni, un compenso commisurato alla differenza tra lo stipendio base della posizione superiore e quello della posizione di appartenenza, espressamente limitando a sei mesi tale compenso e precisando che al termine del detto periodo le mansioni superiori non sono in alcun caso rinnovabili, con comminatoria, in caso di inosservanza di tali prescrizioni, della nullità dei relativi atti e della responsabilità personale degli amministratori (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 29 marzo 1999 n. 778 e 4 agosto 1998 n. 2336; T.A.R. Basilicata, 14 novembre 2000 n. 706 e 17 marzo 1999 n. 47).
4.2 Come sopra delineato il quadro di riferimento che l'interpretazione giurisprudenziale offre in materia, intende la Sezione ribadire il convincimento giurisprudenziale da ultimo enunciato, attesa la piena rispondenza dei principi in esso affermati con la formulazione letterale e la ratio appalesate dalla lettura delle disposizioni di cui al citato art. 121 del D.P.R. 384 del 1990.
Dato preliminarmente atto che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisioni 18 novembre 1999 n. 22, 28 gennaio 2000 n. 10 e 23 febbraio 2000 n. 11, ha ribadito l’inesistenza di un diritto del dipendente pubblico, in mancanza di specifiche disposizioni contenute nella legge o negli atti di approvazione dei contratti nazionali di lavoro, di ottenere compensi per l’esercizio, con incarico formale o di fatto, di mansioni della qualifica superiore, va ulteriormente rammentato come la legittimità dei limiti alla corresponsione del trattamento differenziale per mansioni contenuti nell’art. 121 del D.P.R. 384/90 (incarico formale, concorso già indetto, indennità per non oltre sei mesi) sia stata affermata sia dalla Corte Costituzionale (sent. 22 luglio 1996 n.289), che dal giudice amministrativo di appello (Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 1995 n. 722).
Né la portata contenutistica dell'art. 121 in discorso appare suscettibile di fondata critica, in quanto:
non è, in primo luogo, consentito al giudice di legittimità di operare la disapplicazione di disposizioni di accordi nazionali di lavoro resi esecutivi con atti di natura regolamentare, in mancanza di rituale impugnazione nei termini decorrenti dalla data di pubblicazione del provvedimento di approvazione;
il contrasto delle disposizioni restrittive ex D.P.R. 384/90, rispetto a quanto previsto dall’art. 29 del D.P.R. n. 761/79 (come interpretato dalla Corte costituzionale), non dimostra, comunque, profili di censurabilità, in quanto non può trascurarsi di considerare che, con l’entrata in vigore della l. 29 marzo 1983 n. 93, la disciplina dei trattamenti economici di attività dei pubblici dipendenti era stata interamente affidata agli accordi di lavoro, con possibilità di modificare previgenti regimi retributivi di legge.
5. Quanto sopra ribadito, il presente ricorso merita accoglimento:
in misura integrale, con riferimento alla pretesa demolitoria in esso contenuta (e sostanziata dalla richiesta di annullamento del provvedimento di diniego di retribuzione delle mansioni superiori, recante la data del 20 settembre 1993);
parzialmente, per quanto concerne la domanda di accertamento e condanna relativa alla rivendicazione delle spettanze economiche.
Consegue infatti alle svolte considerazioni il diverso atteggiarsi della retribuibilità delle mansioni superiori disimpegnate dall'odierno ricorrente, quanto al periodo di riferimento (1° gennaio 1989 – 17 dicembre 1992), in relazione alla data di entrata in vigore delle ripetute disposizioni di cui al D.P.R. 384 del 1990 (20 dicembre 1990).
Infatti:
se per il periodo intercorrente fra il 1° gennaio 1989 ed il 19 dicembre 1990 spetterà al dr. Marraudino il differenziale retribuitivo fra il trattamento economico relativo alla posizione di primario e quello dal medesimo percepito in ragione del formale inquadramento nella posizione di aiuto (detratti gli iniziali giorni sessanta, ex art. 29, II comma, D.P.R. 761/79);
per il rimanente periodo (20 dicembre 1990 - 17 dicembre 1992) il differenziale retributivo al ricorrente spettante al titolo di cui sopra sarà commisurato a mesi sei di trattamento economico, come sopra determinabile.
All'accertamento, nei limiti di cui sopra, del diritto del ricorrente al riconoscimento - ed alla conseguenziale liquidazione - del differenziale retributivo relativo alle superiori mansioni dal medesimo disimpegnate, accede la condanna dell’Azienda intimata al pagamento delle differenze stipendiali correlate alle anzidette mansioni, secondo i criteri in precedenza dalla Sezione indicati.
Sulle somme così determinabili, andranno altresì calcolati gli interessi nella misura di legge ed i maggiori importi a titolo di rivalutazione monetaria, dalla maturazione dei singoli ratei fino al soddisfo; dovendosi - ai fini del computo in discorso - ulteriormente precisare che, successivamente alla data del 31 dicembre 1994, trova applicazione la previsione di cui al XXXVI comma dell’art. 22 comma della l. 23 dicembre 1994 n. 724, la quale ha, come è noto, stabilito, quanto ai crediti retributivi tardivamente corrisposti, che l'importo degli interessi sia portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a titolo di rivalutazione monetaria.
Va poi dato atto dell’accoglibilità della pretesa – che, con ogni evidenza, accede alla riscontrata fondatezza della domanda principale – relativa alla regolarizzazione della posizione del ricorrente ai fini previdenziale ed assistenziale, con riferimento alla posizione retributiva come sopra individuata relativamente all’arco temporale compreso fra il 1° gennaio 1989 ed il 17 dicembre 1992.
6. Nei termini suesposti dato atto dell'accoglibilità del gravame, rileva conclusivamente il Collegio la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I-bis - accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto:
annulla l'impugnato provvedimento prot. n. 10244 del 20 settembre 1993;
accerta e dichiara il diritto del ricorrente al riconoscimento della maggiore retribuzione a fronte delle superiori mansioni di primario dal medesimo disimpegnate nell'arco temporale 1° gennaio 1989 – 17 dicembre 1992;
condanna, conseguentemente. l'intimata U.S.L. RM/30, nella persona del responsabile p.t., alla liquidazione e corresponsione delle somme a tale titolo spettanti al dr. Maraudino (alla stregua di quanto precisato in motivazione circa i criteri di compiuta determinazione dei relativi importi);
condanna altresì l'anzidetta U.S.L. alla liquidazione, sulle somme come sopra calcolate, dei maggiori importi a titolo di interessi nella misura legale e di rivalutazione monetaria, giusta quanto in motivazione specificato sub 5, nonché alla regolarizzazione della posizione del ricorrente ai fini previdenziale ed assistenziale, con riferimento alla posizione retributiva come sopra individuata relativamente all’arco temporale compreso fra il 1° gennaio 1989 ed il 17 dicembre 1992.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 13 gennaio 2003, con l’intervento dei signori giudici
Dr. Bruno Rosario POLITO – Presidente
Dr. Roberto POLITI – Consigliere, relatore, estensore
Dr.ssa Donatella