09.11.2004 free
CONSIGLIO di STATO - (Recupero, da parte della Amministrazione, disomme erogate a titolo di c.d. indennita' De Maria; doverosita' e natura del credito)
§ - La indennità di cui all'art. 31 D.P.R. n. 761/79 e' volta a colmare eventuali disparità registrabili tra i complessivi trattamenti economici del personale ospedaliero e di quello universitario ; ne consegue che occorre, in sede di raffronto, tener conto di tutte le voci stipendiali e non, che concorrono a costituire il trattamento economico del personale universitario, compresi, quindi, gli assegni non pensionabili.
§ - Il recupero di somme corrisposte per tale titolo, ha carattere di doverosità e la buona fede dell’accipiens non è di ostacolo all'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del diritto di ripetere le somme indebitamente erogate ai sensi dell'art. 2033 c.c.: la stessa Amministrazione non è tenuta, quindi, a fornire una specifica e dettagliata motivazione, essendo sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore. ( www.dirittosanitario.net )
sentenza N.6899/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10310 del 1999, proposto da .... contro
l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, in persona del Rettore pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III bis, n. 2805 del 21 ottobre 1998. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato e la relativa memoria difensiva; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 9 luglio 2004 il Cons. Giuseppe Minicone; Uditi l’avv. Dei Rossi e l’avv. dello Stato Giacobbe; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 7 aprile 1997, un gruppo di dipendenti dell’Università degli studi “La Sapienza” di Roma, in servizio presso strutture convenzionate e policlinici universitari, impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio il provvedimento a firma del Direttore Amministrativo prot. n. G143928/23.2.1 - Rip. II - Div. VI del 17.12.1996, con cui l'Università, in asserita conformità ai pareri del Consiglio di Stato - Sez.II - nn. 965 del 1° ottobre 1989 e 233 del 1° marzo 1995, aveva disposto l'avvio del procedimento e il recupero, a far tempo dall'1.1.89, di parte delle somme erogate al personale universitario a titolo di indennità, in applicazione dell'art. 31 del DPR n. 761/79 (c.d. indennità De Maria), mediante ritenute mensili di 1/5 dello stipendio a decorrere dal mese di febbraio.
Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’impugnativa relativamente al solo profilo concernente la riserva, contenuta nel provvedimento impugnato, di future ripetizioni, mentre ha ritenuto il disposto recupero immune dai vizi dedotti in ricorso, respingendo, quindi, per il resto, il gravame. Avverso detta decisione hanno proposto appello i soggetti indicati in epigrafe, lamentando il travisamento e l’omessa considerazione, da parte del primo giudice, delle doglianze prospettate, integralmente riproposte e puntualizzate in questa sede.
Si è costituita l’amministrazione, chiedendo il rigetto del gravame. Alla pubblica udienza del 9 luglio 2004 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Ai fini di un migliore inquadramento dei profili giuridici coinvolti nella presente controversia, appare utile ricostruire la vicenda amministrativa riguardante gli odierni appellanti. 1.1. Con deliberazione risalente al 1979, il Consiglio di Amministrazione dell'Università degli Studi di Roma ebbe ad individuare i parametri di applicazione dell'indennità prevista dall'art. 31 del D.P.R. n. 761/79, in favore del personale universitario che prestasse anche attività assistenziale, sì da garantire l'equiparazione del trattamento economico a quello del personale sanitario.
In particolare, l'Università stabiliva che dovesse restare escluso dal computo del complessivo trattamento economico del personale universitario, da porre a raffronto con quello del corrispondente personale del Servizio sanitario nazionale, ai fini della determinazione della predetta indennità, la maggiorazione del trattamento stipendiale spettante per l'opzione effettuata in favore del regime di impegno a tempo pieno per i docenti (indennità ex art. 39 D.P.R. n. 328/80), nonché l'indennità di incentivazione e funzionalità per i non docenti (prevista dall'art. 23 D.P.R. n. 567/87): ciò sul presupposto secondo cui solo le voci retributive caratterizzate da "obbligatorietà, continuità e pensionabilità" dovessero essere computate nell'indicata base di calcolo.
1.2. Sennonché, interveniva, sul punto, il Consiglio di Stato, che, investito in sede consultiva dal Ministero dell'Università e della ricerca scientifica, affermava l'opposto principio, secondo cui la retribuzione universitaria da porre a raffronto per la determinazione dell'indennità ex art. 31 D.P.R. n. 761/79, doveva ricomprendere tutte le voci stipendiali a carattere fisso e ricorrente, a prescindere dalla relativa natura pensionabile (sez. II, 11 ottobre 1989, n. 965; 1° marzo 1995, n. 233).
1.3. In conseguenza di tali pareri, l'Università ha mutato il sistema di determinazione del trattamento economico del proprio personale medico e non, decidendo di computare tra le voci retributive anche l'assegno aggiuntivo per il tempo pieno e l'indennità di incentivazione, e, con il provvedimento impugnato in primo grado, ha, quindi, disposto il recupero delle somme corrisposte al personale interessato in difformità dai pareri stessi, al contempo prevedendo l'applicazione di un sistema di compensazione tra i crediti spettanti ai dipendenti ex D.P.R. n. 384/90 e i debiti risultanti dalla retrodatazione all'1.1.1989 del nuovo sistema di calcolo dell'indennità di cui all'art. 31 D.P.R. n. 761/79.
2. Avverso tale determinazione e i successivi provvedimenti intesi a darne applicazione è stato proposto il ricorso in primo grado, disatteso, in gran parte, dal T.A.R. Lazio, che ha dichiarato illegittima (e questo profilo non è appellato incidentalmente dall’Amministrazione) solo la riserva di ulteriori eventuali successivi recuperi.
3. Nell’ordine logico di apprezzamento delle censure mosse dagli interessati alla sentenza impugnata, va esaminato prioritariamente il quinto motivo di appello, con il quale gli istanti contestano l'opzione interpretativa seguita dal Giudice di prime cure con riguardo al citato art. 31 D.P.R. n. 761/79, a tenore del quale "al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un'indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità...".
Orbene, ad avviso degli appellanti, in sede di computo del trattamento economico del personale universitario, da porre a raffronto con quello del corrispondente personale del Servizio sanitario nazionale, ai fini della determinazione della predetta indennità, dovrebbero essere prese in considerazione le sole voci retributive connotate da obbligatorietà, continuità e pensionabilità, con conseguente esclusione della maggiorazione del trattamento stipendiale spettante per l'opzione effettuata in favore del regime di impegno a tempo pieno per i docenti (indennità ex art. 39 D.P.R. n.328/80), nonché dell'indennità di incentivazione e funzionalità per i non docenti (prevista dall'art. 23, D.P.R. n. 567/87): ciò sul rilievo secondo cui dovrebbero essere poste a raffronto situazioni omogenee, con esclusione, pertanto, di voci caratteristiche del solo trattamento del personale universitario, sì da garantire che l'indennità di cui all'art. 31 D.P.R. n. 761/79 costituisca un effettivo compenso per il più oneroso svolgimento dell'attività assistenziale da parte del personale universitario.
3.1. La censura, in adesione all’orientamento già espresso da questa Sezione (cfr., da ultimo, dec. n. 1864/2004, resa in identica fattispecie), va disattesa, stante l'erroneità delle premesse teoriche da cui muove.
3.2. Ed invero, come chiarito anche dal Giudice costituzionale, l'indennità di cui all'art. 31 D.P.R. n. 761/79, lungi dal rispondere alla finalità di retribuire l'attività assistenziale espletata dal personale universitario, è stata introdotta per ragioni squisitamente perequative, essendo volta a colmare eventuali disparità registrabili tra i complessivi trattamenti economici del personale ospedaliere e di quello universitario (Corte Cost., 16 maggio 1997, n. 136).
Ne consegue che occorre, in sede di raffronto, tener conto di tutte le voci stipendiali e non, che concorrono a costituire il trattamento economico del personale universitario, compresi, quindi, gli assegni non pensionabili.
3.3. La contraria tesi di parte appellante va, quindi, respinta in uno ai prospettati dubbi di legittimità costituzionale. 4. Vanno, parimenti, disattesi i rilievi (terzo motivo), con i quali si lamenta l'asserita violazione dei principi in tema di ripetizione di somme indebitamente erogate dall'Amministrazione in favore dei propri dipendenti.
4.1. Premesso, infatti, che, per costante indirizzo, a più riprese ribadito anche da questa Sezione, il recupero in questione ha carattere di doverosità (cfr., ex plurimis, C.d.S. sez. VI, n. 4539/2004), si osserva che la stessa buona fede dell’accipiens non è di ostacolo all'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del diritto di ripetere le somme indebitamente erogate ai sensi dell'art. 2033 c.c.: la stessa Amministrazione non è tenuta, quindi, a fornire una specifica e dettagliata motivazione, essendo sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore (ex multis, C.d.S., sez. VI, 4 maggio 1999, n. 574; 3 febbraio 2000, n. 649).
5. Inoltre, nel caso di specie, le concrete modalità di recupero non possono considerarsi eccessivamente onerose per gli appellanti (sesto motivo), posto che la trattenuta sullo stipendio nel limite di un quinto dello stesso costituisce una congrua modalità di recupero delle somme indebitamente percepite, non essendo lesiva del sostegno economico necessario alle primarie esigenze di vita.
6. Quanto alle censure di difetto di motivazione e di istruttoria (quarto motivo), è sufficiente osservare che nei contestati provvedimenti di recupero sono riportati gli elementi di computo di quanto dovuto dai singoli dipendenti, con l'indicazione dell'indennità effettivamente percepita, di quella dovuta, del saldo attivo o passivo.
Né gli interessati si sono dati carico di specificare, in relazione alla doglianza di mancata considerazione delle deduzioni da essi presentate nel corso del procedimento, le argomentazioni in opposizione svolte, la cui pretermissione, da parte dell’Amministrazione, abbia concretamente inciso sull’an o sul quantum del recupero.
7. Lamentano, ancora, gli istanti, con il primo e secondo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati) che sia stato violato il loro interesse a partecipare al procedimento di determinazione dell’indebito e di recupero, ex lege 7 agosto 1990, n.241, giacché la notizia fornita in proposito dall’Università, con il rappresentare che, trascorso il termine assegnato per le controdeduzioni, si sarebbe proceduto all’inizio del recupero e che l’effettuazione delle relative trattenute avrebbe significato l’esito negativo della valutazione delle controdeduzioni stesse, avrebbe sostanzialmente eluso la ratio della norma di partecipazione.
7.1. La censura non merita accoglimento.
7.2. L’avviso dell’inizio del procedimento è preordinato a consentire a chi sia destinatario di un provvedimento sfavorevole di interloquire nel relativo procedimento allo scopo di apportare gli elementi in suo possesso, che eventualmente possano incidere sulla soluzione finale. Tale finalità è stata garantita dall’amministrazione, che, assegnando un termine congruo per l’invio delle controdeduzioni, ha permesso agli appellanti di far pervenire le loro osservazioni.
7.3. Ciò di cui gli interessati, dunque, possono dolersi, in relazione alla circostanza che l’Università abbia previsto di dar corso, scaduto il termine, direttamente al recupero, assorbendo, in tale eventuale comportamento, il mancato recepimento delle osservazioni pervenutele, non è la violazione del diritto di partecipazione, bensì l’immotivata non considerazione, nel merito, delle osservazioni stesse.
Sennonché, vertendosi in materia di diritti soggettivi, tale difetto di motivazione non si traduce in un vizio autonomo, di per sé inficiante il provvedimento finale, essendo la legittimità di quest’ultimo ancorata alla sussistenza o no dei presupposti, che ben può essere verificata dal giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva. E’ da aggiungere che gli interessati hanno, comunque, avuto modo di verificare la correttezza dei calcoli effettuati dall’università. 8. Parimenti infondato si rivela, infine, l'assunto (settimo motivo) secondo cui l'amministrazione avrebbe dovuto tener conto delle somme da recuperare, calcolate al netto delle ritenute fiscali e non al lordo, come invece effettuato.
Come già affermato dalla Sezione (Cons. Stato, VI, n. 2153/2001), i termini di raffronto devono necessariamente essere omogenei. L’amministrazione avrebbe potuto seguire il criterio del recupero delle somme corrisposte al dipendente al netto delle ritenute fiscali, decurtandole degli importi sempre da corrispondere al netto; nel caso di specie, il recupero delle somme indebitamente corrisposte, effettuato al lordo delle ritenute, determina un minor carico fiscale sullo stipendio attuale per un equivalente importo, in modo che le imposte all’epoca pagate in eccesso per l’errore dell’amministrazione non finiscano per gravare sul dipendente in sede di recupero, ma vengono recuperate a seguito della conseguente diminuzione dell’imponibile alla data di esecuzione del recupero.
9. In conclusione, l’appello deve essere respinto. Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.
Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 9 luglio 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente Luigi MARUOTTI Consigliere Giuseppe ROMEO Consigliere Giuseppe MINICONE Consigliere Est. Lanfranco BALUCANI Consigliere