13.10.2004 free
TRIBUNALE di MANTOVA - (Indagine sul nesso di causalità tra la mancata diagnosi della malattia ed il successivo aggravamento)
§ - Non sussiste la responsabilità del medico colpevole di aver tenuto un comportamento negligente ed imprudente qualora possa ragionevolmente affermarsi che la malattia ed il decesso del paziente non siano la conseguenza di detto comportamento colposo. (fattispecie in cui viene accertato che, con un elevato grado di probabilità, la condotta omessa non sarebbe stata in grado di modificare ed impedire l'exitus della paziente) a cura del Centro Studi di Diritto Sanitario
Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice unico Dott. Laura De Simone - Sentenza del giorno 16 gennaio 2004.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Rossi T., con atto di citazione notificato il 9.5.1996, conveniva in giudizio l’Azienda Territoriale n. di __ e il dott. A. C., al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni alla stessa derivati per le conseguenze riportate in esito ad un intervento chirurgico ambulatoriale effettuato il 30.3.1992.
L’attrice esponeva di essersi recata nell’ambulatorio del dott. C., presso il presidio ospedaliero n. di __, a causa di un nodulo formatosi nella regione pettorale destra, ove il chirurgo aveva provveduto ad asportare il corpo estraneo senza tuttavia farlo analizzare, affermando trattatavasi di “lipoma”. Dopo un mese e mezzo dall’intervento l’attrice riferiva al dott.C. i medesimi sintomi precedenti e la formazione di un ulteriore nodulo nella stessa sede. Il medico non dava rilevanza alla cosa ed invitava la paziente a tornare dopo cinque-sei mesi. La Rossi, tuttavia, per l’insistenza dei disturbi, si risolveva a recarsi presso l’Ospedale di __, dove una corretta analisi evidenziava la presenza di un nodulo di natura maligna. Nonostante le successive cure, in pochi mesi la neoplasia si diramava a livello polmonare, femorale e cerebrale. Concludeva l’attrice rilevando che il comportamento del medico, per aver omesso gli opportuni esami clinici ed istologici, doveva ritenersi caratterizzato da negligenza ed imprudenza, ed era stato causa delle gravissime lesioni di cui la Rossi era portatrice, per cui chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni materiali e morali subiti.
Si costituiva in giudizio il dott. A. C., insistendo per il rigetto della domanda proposta, eccependo l’insussistenza di un comportamento colposo del sanitario, avendo egli effettivamente asportato alla Rossi un lipoma sottocutaneo, e comunque non sussistendo un nesso di causalità tra la mancanza imputata al dott. C. e l’instaurarsi o l’aggravarsi del quadro clinico dell’attrice, atteso che una diagnosi precoce sarebbe stata comunque ininfluente relativamente al prosieguo della malattia. Per queste ragioni anche il procedimento penale connesso era stato archiviato. Si costituiva in giudizio l’Azienda USSL Ambito territoriale n. __ eccependo che l’unica negligenza imputabile al dott. C. era stata quella di non aver sottoposto ad esame istologico il tessuto asportato alla Rossi il 30.3.1992, ma ciò non aveva comportato aggravamento della malattia per cui la domanda proposta doveva essere rigettata. Chiamate in manleva su istanza del chirurgo convenuto, si costituivano in giudizio le compagnia di assicurazione Lloyd Nazionale Italiano S.p.A. in l.c.a. ed Assimoco S.p.A.. La prima eccepiva l’improponibilità della domanda e l’incompetenza del giudice adito per essere l’assicurazione sottoposta a procedura di liquidazione coatta amministrativa che consentiva l’accertamento dei credito solo ex art.209 L.F., avanti al Tribunale di Milano. L’ Assimoco S.p.A. viceversa eccepiva la prescrizione del diritto dell’assicurato ex art.2952 c.c. essendo intervenuta la denuncia ben oltre un anno dal sinistro, e comunque l’insussistenza della garanzia assicurativa decorrendo la polizza solo a far tempo dal 6.11.1996 ed essendo il fatto di causa riferito ad un intervento ambulatoriale avvenuto il 30.3.1992, nonché l’annullamento del contratto per reticenza dell’assicurato non avendo dichiarato al momento della stipula la sussistenza di un’altra polizza e di indagini penali ex art.590 c.p.. Concludeva quindi l’Assimoco S.p.A. per il rigetto della domanda di manleva ed in via riconvenzionale per la condanna del dott. C. ex art.96 c.p.c.. Si costituiva altresì in giudizio la Commercial Union Italia S.p.A., chiamata in garanzia dall’USSL n., eccependo preliminarmente l’inoperatività della garanzia relativamente all’evento per cui è causa, essendo la polizza stata stipulata per i rischi connessi alla responsabilità extra contrattuale derivante da danni involontari cagionati a terzi e non già alla responsabilità professionale dei sanitari, e confermando nel merito la tesi esposta dall’Ente ospedaliero.
All’udienza del 12.5.1998 si costituivano, a seguito del decesso in data 12.9.1997 di Rossi T., S. G., per sé e per la minore S. S., S. V. e S. M., quali successori di Rossi T. ex art.110 c.p.c. e spiegando altresì intervento volontario onde far valere iure proprio, nei confronti di entrambi i convenuti, il proprio diritto al risarcimento dei danni conseguiti all’inabilità ed al decesso della congiunta Rossi T.. Con comparsa del 30.3.1999 gli Istituti Ospedalieri di si costituivano in giudizio in successione dell’USSL __ dichiarando di averne assunto la gestione liquidatoria e riconfermandosi nel merito delle difese. Il procedimento veniva istruito mediante l’espletamento di una consulenza medico-legale. Interrotto il processo all’udienza del 20.3.2001 per intervenuto decesso dell’avv. __, lo stesso veniva ritualmente riassunto nei confronti di tutte le parti. Sulle conclusioni come sopra riportate, la causa veniva trattenuta per la decisione all’udienza del 30.9.2003, in cui era concesso alle parti il termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di successivi venti per il deposito di note di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’esame del comportamento tenuto dal dott. A. C. con riferimento all’intervento eseguito il 30.3.1992 deve essere eseguito partendo dalle risultanze della consulenza medico legale esperita nel corso del giudizio, valutata nel confronto con la pluralità delle consulenze di parte in atti e con la consulenza svolta in sede di indagini preliminari dal Pubblico Ministero. Tutti i consulenti concordano in ordine al fatto che la neoplasia mammaria diagnosticata nell’ottobre del 1992 fosse presente al momento della diagnosi del sospetto lipoma del 30.3.1992. Ciò su cui i vari periti divergono è la natura del nodulo asportato dal dott. C. e quindi sulla correttezza della diagnosi dallo stesso effettuata. Orbene, ritiene il giudicante che non essendo stato compiuto dal chirurgo l’esame istologico della neoformazione, le tesi prospettate esauriscano le possibili ipotesi che possono essersi verificate nella fattispecie che si esamina, senza che con certezza assoluta sia possibile preferirne una ed escludere l'altra.
Due sono le prospettazioni:
a) il nodulo asportato era un carcinoma mammario. Sia il CTU nominato nel presente procedimento (pag.16-17 elaborato prof. C./prof. M.) che il consulente del Pubblico Ministero nel procedimento penale (pag.34-38 elaborato prof. F./prof. B.) affermano che il dott. C. ha errato nella diagnosi dell’esatta natura della neoformazione, ritenendo che la massa asportata fosse attribuibile a lipoma e non già a carcinoma mammario come al contrario doveva essere, e questo per una pluralità di motivi: 1) scarsa probabilità di successione di eventi patologici caratterizzata prima dalla comparsa di una neoformazione di natura benigna, quale un lipoma, seguita da una neoplasia maligna nella stessa sede; 2) perfetta coincidenza di sede; 3) continuità delle manifestazioni sintomatologiche; 4) improbabilità che il carcinoma fosse occulto e non palpabile attesa la notevolissima aggressività biologica di seguito evidenziata; 5) irrilevanza del fatto che la recidiva di seguito asportata nell’ottobre del 1992 fosse circondata da tessuto sano, atteso che la recidiva probabilmente si era formata sulla base di residui microscopici di neoplasia per cui aveva assunto le caratteristiche di massa infiltrante di una certa dimensione con margini di resezione indenni, come se si trattasse di un tumore primitivo; 6) irrilevanza del fatto che nella massa successivamente asportata fossero assenti residui cicatriziali riferibili alla recidiva, potendo la presenza di questi dipendere dal tempo trascorso, dall’orientamento del pezzo asportato, dalla distanza dalla precedente cicatrice del residuo microscopico che aveva dato origine alla recidiva locale.
b) il nodulo asportato era un lipoma. Secondo questa tesi il dott. C. ha effettivamente asportato un lipoma ed il nodulo tumorale, quand’anche già presente, non ha potuto essere individuato nell’esame clinico con palpazione attesa l’esiguità delle sue dimensioni. A favore di questa tesi sono portati i seguenti argomenti: 1) le peculiari caratteristiche morfologiche del lipoma lo rendono facilmente riconoscibile per cui è poco plausibile che un chirurgo erri nell’individuazione della natura della formazione asportata; 2) non vi sono ragioni per escludere che le due malattie, il lipoma ed il carcinoma mammario, si siano manifestate nello stesso arco temporale e nella stessa sede; 3) le dimensioni del nodulo tumorale asportato il 30.9.1992 (1.9 cm), valutati i tempi di accrescimento delle neoplasie, e la particolare aggressività biologica del carcinoma successivamente riscontrato, consentono di ritenere che nel marzo del 1992 la patologia fosse inferiore a 1 cm e pertanto ai limiti dell’apprezzabilità clinica; 4) se il tumore fosse stato asportato completamente dal dott. C. nel mese di marzo è poco probabile che dopo soli tre mesi (giungo 1992) fosse apprezzabile palpatoriamente una recidiva locale; 5) non è plausibile che il dott. C. abbia asportato una massa tumorale, non presentando il nodulo asportato nel settembre 1992 le caratteristiche della recidiva, trattandosi di massa singola anatomicamente localizzata in altra sede, seppure in vicinanza, rispetto alla pregressa incisione chirurgica; 6) inoltre l’esame istologico del settembre del 1992 non ha consentito di rilevare la presenza di tessuto cicatriziale e la presenza di un “margine” non libero del tessuto tumorale, e ciò consente di ritenere che la massa tumorale sia stata asportata, in toto, per la prima volta nel settembre del 1992.
E' evidente che se nella prima ipotesi potrebbe rinvenirsi una responsabilità professionale del chirurgo per errata diagnosi, nel secondo caso nessun addebito potrebbe essere mosso al dott. C., avendo egli correttamente individuato la natura della massa asportata e non essendo esigibile da parte del medico la previsione dell’esistenza di un’ulteriore neoformazione nella stessa sede, peraltro non riscontrata né ancora riscontrabile clinicamente con certezza.
In realtà, come già osservato, sulla scorta delle consulenze in atti non è consentito al giudicante propendere per l’una o l’altra prospettazione, ma va ritenuto che nel concreto la circostanza assuma scarso rilievo, in considerazione del fatto che la mancata esecuzione da parte del medico di accertamenti diretti a dimostrare la natura della massa asportata nel marzo del 1992, valutata congiuntamente alla mancata predisposizione di ulteriori accertamenti diagnostici anche in occasione della visita del 29.6.1992 nonostante il riscontro di una nuova formazione nodulare, consentono di individuare comunque un comportamento gravemente colposo del sanitario, caratterizzato in particolare da negligenza e imprudenza. Le prestazioni rese dal chirurgo e l’intervento ambulatoriale effettuato non presentavano particolari difficoltà tecniche, ma unicamente problemi ed eventuali dubbi diagnostici che avrebbero potuto essere agevolmente risolti con l’esecuzione dell’esame istologico. Osservano, sul punto, i CTU prof. C. e prof. M. (pag.18 dell’elaborato), nonchè i consulenti del P.M. prof. F. e prof. B. (pag.41-42), che l’esame istologico della neoformazione asportata in sede chirurgica, ed interpretata solo clinicamente, anche all’epoca costituiva consuetudine professionalmente consolidata e sistematicamente eseguita alla quale il dott. C. avrebbe dovuto conformarsi.
A causa della colposa mancata esecuzione dell’esame istologico il chirurgo ha assunto su di sé il rischio di una diagnosi clinica non corretta e pertanto dovrebbe essere chiamato a rispondere delle conseguenze in concreto derivate dalla tardività della diagnosi, eseguita in maniera appropriata solo nell’ottobre del 1992.
Nel caso di specie, tuttavia, i consulenti tecnici d’ufficio, con motivazione adeguata e condivisibile, hanno concluso affermando che il ritardo di diagnosi di sei mesi, imputabile al dott. C. non ha inciso sul decorso della malattia e sul suo epilogo finale. Essi derivano queste conclusioni dalle caratteristiche peculiari del carcinoma mammario, malattia ad “elevato livello di predeterminazione biologica all’epoca della diagnosi” sulla base della “concezione delle cosiddette micrometastasi”. Rilevano i consulenti che “il carcinoma mammario, qualora appaia come apparentemente localizzato e chirurgicamente resecabile all’epoca della diagnosi, ma che manifesti, dopo un intervallo libero più o meno lungo, una ripresa metastatica a distanza, avesse già inizialmente tale disseminazione a livello occulto, disseminazione che si rende clinicamente manifesta in seguito, allorché la crescita tumorale abbia trasformato le micrometastasi in macrometastasi clinicamente apprezzabili”. Per questa ragione “…trattamenti locali, variabili per estensione dell’intervento chirurgico (da una mastectomia radicale o super-radicale, ad una quadrantectomia, o addirittura ad una tumorectomia) e /o per una sua associazione o meno ad una radioterapia, si accompagnano a percentuali diverse di recidive loco-regionali (più elevate per gli interventi chirurgici più conservativi e/o non accompagnati da trattamento radiante), ma non modificano o modificano molto meno la probabilità di malattia di dare metastasi a distanza e soprattutto non modificano o modificano molto meno la sopravvivenza….. Al contrario, l’applicazione di terapie sistemiche subito dopo l’intervento chirurgico (chemioterapia e endocrinoterapia adiuvante), perché potenzialmente in grado di eliminare le micrometastasi, sono in grado di determinare significative riduzioni delle riprese di malattia a distanza e di ridurre la mortalità” (pag.20-21 dell’elaborato); “….applicando un trattamento locale adeguato fin dall’inizio (quadrantectomia e svuotamento ascellare, seguita da radioterapia), non seguito da alcun trattamento adiuvante sistemico, si sarebbe potuta evitare la recidiva locale, ma si sarebbe comunque verificata una ripresa disseminata della malattia e questa avrebbe comunque portato all’exitus la sig.ra T. Rossi”.
In maniera analoga si sono espressi i consulenti del Pubblico Ministero: “Gli elementi di giudizio allo stato disponibili non consentono di affermare che la mancata tempestiva diagnosi conseguente al mancato esame istologico da parte del dr. C. abbia di per se stessa comportato un aggravamento della malattia neoplastica sin da allora coesistente nella sede e successivamente accertata: allo stato degli elementi di giudizio di cui disponiamo, infatti, l’accrescimento volumetrico del nodulo neoplastico verosimilmente verificatosi nel lasso di tempo intercorso non risulta aver modificato le possibilità terapeutiche, ed indirettamente, quelle prognostiche della malattia tumorale (pag.47 elaborato prof. F./ prof. B.).
Non può tacersi che la consulenza di parte attrice si sofferma su altro tipo di valutazioni conclusive ed evidenzia come il rischio “quoad vitam” rappresentato da un neoplasia mammaria sia tanto maggiore quanto maggiori sono le dimensioni della stessa al momento della diagnosi e del trattamento, con la conseguenza che il ritardo diagnostico determinato dal comportamento colposo del dott. C. avrebbe in concreto consentito alla neoplasia un considerevole aumento volumetrico, accentuando il rischio di non sopravvivenza della paziente. Rileva il giudicante che se l’osservazione è sicuramente di pregio, nel caso di specie non introduce elementi di segno contrario alle risultanze della perizia d’ufficio, posto che come affermato dai CTU, attesa la peculiarità della malattia, non risulta essere stata adottata né nel marzo del 1992, né nell’ottobre dello stesso anno, la strategia terapeutica più appropriata, e cioè una terapia sistemica adiuvante, solo in presenza della quale si sarebbe ridotto del 25-30% il rischio di ripresa metastatica e di exitus (pag.26 e 27 dell’elaborato). Alla luce delle considerazioni tecniche svolte non può giuridicamente affermarsi che la malattia ed il decesso di Rossi T. siano imputabili al comportamento colposo riscontrato in capo al dott. C., e questo per il fatto che, quand’anche egli avesse tenuto il comportamento doveroso individuato (eseguendo una diagnosi corretta nel marzo del 1992), deve ritenersi, con un elevato grado di probabilità, che la condotta omessa non sarebbe stata capace, nel caso concreto, di modificare il corso degli eventi ed impedire l’exitus della paziente (in tal senso: Cass.pen.S.U.11.9.2002 n.30328, Cass. Pen. n.7151 11/01/1999 - 07/06/1999; C.App.Torino 10.2.1997). Le considerazioni che precedono importano il rigetto delle domande attrici e rendono superfluo l'esame delle domande di manleva svolte dai convenuti.
Quanto alla domanda riconvenzionale proposta dall'Assimoco S.p.A. nei confronti del dott. C., di annullamento del contratto assicurativo per reticenza dell'assicurato la medesima deve essere rigettata non risultando provato che il chirurgo all'atto della stipula avesse reso con dolo o colpa grave dichiarazioni inesatte o reticenze, risultando documentato che all'epoca della stipulazione della polizza l'assicurazione con il Lloyd Nazionale Italiano S.p.A. non era più operativa per intervenuta liquidazione coatta dell'impresa di assicurazione, ed il procedimento penale promosso da Rossi T. non era ancora stato inziato essendo la querela promossa dalla Rossi datata 19.11.1992. Appare di giustizia porre il 50% delle spese di lite sostenute dai convenuti, liquidate per l'intero in dispositivo, a carico degli attori, compensandole per il rimanente 50%.
Si ritiene viceversa che debbano essere poste a carico del dott. C. le spese sostenute dall'Assimoco S.p.A., liquidate come in dispositivo, trattandosi di chiamata in causa non giustificata dalle domande attrice, risultando documentalmente provato che la copertura assicurativa ha iniziato a decorrere solo dal 6.11.1992 e quindi successivamente alla condotta colposa contestata al chirurgo, individuata - per le motivazioni sopra riportate - nella mancata esecuzione dell'esame istologico sulla massa asportata in occasione dell'intervento del 30.3.1992. Sempre a carico del dott. C. devono essere poste le spese di lite, liquidate come in dispositivo, sostenute dal Lloyd Nazionale Italiano S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa, essendo la domanda di garanzia svolta nei confronti di questa assicurazione improponibile per temporanea carenza di giurisdizione del giudice adito dovendo l'accertamento dei crediti ammessi avvenire unicamente in seno alla procedura concorsuale. Analogamente devono essere poste a carico degli Istituti Ospitalieri di , quale soggetto incaricato della Gestione liqudatoria ex USSL __, le spese sostenute dalla Commercial Union Italia S.p.A., liquidate come in dispositivo, trattandosi di chiamata in garanzia non giustificata dalle domande attrici, emergendo chiaramente dalla polizza in atti che il rischio assicurato non comprendeva i danni derivati dall'attività professionale dei sanitari dipendenti dell'Ente, ma unicamente i danni di natura extracontrattuale cagionati involontariamente a terzi da fatti accidentali verificatosi in relazione ai rischi per i quali era stipulata l'assicurazione.
Le spese relative alla consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio sono definitivamente poste a carico al 50% degli attori e al 50% dei convenuti dott. C. e Gestione liquidatoria ex USSL __.
P.Q.M.
Il Tribunale, in persona del giudice dott. Laura De Simone, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così giudica:
rigetta le domande proposte da S. Guido, per sé e per la minore S. Stefania, S. Sonia e S. Massimiliano nei confronti di C. A. e Istituti Ospitalieri di __, quale soggetto incaricato della gestione liquidatoria ex USSL __, rigetta la domanda di annullamento del contratto assicurativo proposta dall'Assimoco S.p.A. nei confronti del dott. C.; condanna gli attori alla rifusione del 50% delle spese di lite sostenute da C. A. e liquidate per l'intero in € 17.942,67 di cui €738,48 per spese € 6.640,19 per diritti, € 9.000,00 per onorari, € 1.564,00 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, compensandole per il rimanente 50%;
condanna gli attori alla rifusione del 50% delle spese di lite sostenute dagli Istituti Ospitalieri di Cremona, quale soggetto incaricato della gestione liquidatoria ex USSL __, e liquidate per l'intero in €17.942,67, di cui €738,48 per spese, €6.640,19 per diritti, € 9.000,00 per onorari, € 1.564,00 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, compensandole per il rimanente 50%; condanna C. A. alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'Assimoco S.p.A. e liquidate in € 15.558,35 di cui €200,00 per spese, € 6.962,35 per diritti, € 7.000,00 per onorari, € 1.396,00 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge;
condanna C. A. alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla Commercial Union Italia S.p.A. e liquidate in € 11.810,79 di cui €169,41 per spese, € 3.583,19 per diritti, € 7.000,00 per onorari, €1.058,19 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge;
condanna gli Istituti Ospitalieri di , quale soggetto incaricato della gestione liquidatoria ex USSL __, alla rifusione delle spese di lite sostenute dal Lloyd e liquidate in € 10.881,84 di cui €236,33 per spese, € 2.677,74 per diritti, € 7.000,00 per onorari, € 967,77 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge;
pone definitivamente a carico al 50% degli attori e al 50% dei convenuti dott. C. e Gestione liquidatoria ex USSL __ le spese relative alla consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio.