2017-02-17 free
L'omesso controllo della cartella clinica agevola il ricorso alle presunzioni.
Avendo il medico l'obbligo di controllare la completezza e la esattezza delle
cartelle cliniche e dei referti allegati, la relativa violazione non solo comporta la
configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta
nell'art. 1176, comma 2, c.c. e, quindi, di un inesatto adempimento della sua
corrispondente prestazione professionale, ma consente, altresì, di fare ricorso alle
presunzioni per meglio supportare la pretesa risarcitoria, assumendo rilievo, al
riguardo, il criterio della "vicinanza alla prova", cioè della effettiva possibilità per
l'una o per l'altra parte di offrirla.
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App. Campobasso, Sent., 02-08-2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO - Collegio civile - nelle persone dei
Magistrati:
dr. Paolo DI CROCE - Presidente
dr. Maria Grazia d'ERRICO - Consigliere rel.
dr. Rita CAROSELLA - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello n. 107/2014 R.G. avverso la sentenza n. 96/2014
emessa dal Tribunale di Campobasso, in composizione monocratica, nel
procedimento iscritto al n. 82/2010 R.G.
Oggetto : risarcimento danni da responsabilità medica
TRA
C.N. (c.f. (...)), N.C.A. (c.f. (...)), in proprio e quali esercenti la responsabilità
genitoriale sui figli minori C.E. (c.f. (...)) e C.C. (c.f. (...)), elettivamente
domiciliati in Campobasso presso lo studio dell'avv. Franco Palladino, che li
rappresenta e difende, disgiuntamente, con gli avv.ti Enrico Cornelio e Claudia
Cornelio in virtù di procura in calce alla citazione in appello
APPELLANTI
E
A. - Azienda S.R. (p.Iva (...)), con sede in C., in persona del direttore generale p.t.
dr. A.P., elettivamente domiciliata in Campobasso presso lo studio dell'avv. Pio
Maurizio, rappresentata e difesa dall'avv. Monica Di Felice in forza di procura a
margine della comparsa di costituzione e risposta in appello
APPELLATA
NONCHE'
SOCIETA' C.A. - SOCIETA' COOPERATIVA (p.Iva (...)), con sede in V., in persona
del procuratore dr. A.B. -in virtù di procura dell'11/11/2009 per Notar M.B. rep. n.
(...), in atti-, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Clementino
Pallante in Isernia, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Improda in forza di
procura in calce alla comparsa di costituzione in appello
APPELLATA
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
In fatto:- Con sentenza n. 96 depositata il 3/02/2014. il Tribunale civile di
Campobasso in composizione monocratica ha accolto parzialmente la domanda
avanzata con citazione notificata il 13/1/2010 dai coniugi N.C. ed A.N., in proprio
e quali genitori dei minori E. e C.C., nei confronti della A. (la quale aveva
chiamato in garanzia la Società C.A.), per il risarcimento in favore di ciascun attore
di tutti i danni morali, materiali, biologici e conseguenti a violazione di diritti
costituzionalmente protetti, oltre rivalutazione ed interessi sul capitale via via
rivalutato, conseguenti all'intervento di parto cesareo praticato alla N. presso
l'Ospedale di Campobasso il 20/06/2006, dal quale erano nati due gemelli, cui era
seguita la morte del piccolo A. (in data 6/07/2006) e la grave invalidità della
gemella C..
Il Tribunale, sulla scorta della ctu medica espletata, ha condannato l'A. al
pagamento in favore degli attori della somma complessiva di Euro 1.150.009,00
oltre interessi al tasso legale da computarsi come stabilito in motivazione, nonché
al rimborso delle spese di lite e di ctu, ed ha condannato la Soc. C.A. a tenere
indenne la A. dalle conseguenze del giudizio, ivi incluse le spese processuali.
- Avverso tale sentenza hanno proposto appello dinanzi a questa Corte i
Cornacchione-N. con citazione notificata il 9/05/2014, articolato in nove motivi
concernenti l'erroneità della statuizione in ordine al quantum del risarcimento, del
quale hanno chiesto la rideterminazione, previa declaratoria dell'integrale
addebitabilità della morte di A.C. e dell'invalidità di C.C. all'inadempimento
contrattuale dell'Ospedale di Campobasso, con vittoria delle spese di appello e
rettifica dell'importo per spese vive contenuto nella sentenza di primo grado.
Le parti appellate hanno chiesto il rigetto dell'impugnazione e la condanna degli
appellanti al pagamento delle spese del presente grado; la Società C.A. ha inoltre
eccepito l'inammissibiltà dell'appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c.
In diritto: Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello appena
richiamata, la Corte ritiene che l'impugnazione in esame sia conforme ai requisiti
previsti dall'art. 342 c.p.c. nella sua nuova formulazione, successiva all'entrata in
vigore della novella intervenuta con la L. n. 134 del 2012, che ha modificato il
testo del citato art. 342 c.p.c. (nonché dell'art. 434 c.p.c.).
L'atto di appello contiene infatti la chiara ed inequivoca indicazione, nella
trattazione di ciascun motivo di gravame, sia delle parti della sentenza che si
intendono appellare che delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione
del fatto compiuta dal giudice di primo grado, nonchè l'indicazione delle
circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini del
riesame della decisione impugnata.
In ordine al concetto di specificità dei motivi di appello è bene puntualizzare che
esso si concretizza, come nel caso di specie, "nell'esposizione delle ragioni della
critica rivolta dall'appellante alle motivazioni addotte in sentenza dal giudice di
primo grado, ragioni che debbono essere potenzialmente dotate dell'attitudine alla
confutazione logica o giuridica del fondamento della decisione" (cfr. Cass Civ.,
Sez. III, sent. n. 12608 del 18.06.2015); la S.C. ha anche precisato che "il requisito
della specificità dei motivi di cui all'art. 342 c.p.c. si configura, secondo una
verifica da effettuarsi in concreto, allorché l'atto di impugnazione consenta di
individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, onde
permettere al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle
controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva.
Viceversa, non è richiesta né l'indicazione delle norme di diritto che si assumono
violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a
supporto del gravame", ovvero che le deduzioni della parte appellante assumano
una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto
(Cass. civ. Sez. II, 27/03/2015, n. 6294; Cass. 2015/n.2143; Cass. civ., sez. III,
sent. n. 22502 del 2014).
- Con il primo ed il secondo motivo di impugnazione, gli appellanti censurano la
sentenza per "la violazione e falsa applicazione dell'art. 1218 c.c., con riferimento
all'omissione diagnostica ai fini dell'asserita minaccia di parto prematuro e della
diagnosi di sofferenza fetale, e quindi di urgenza dell'intervento di cesarizzazione".
Il Tribunale ha premesso di condividere e richiamare integralmente la relazione del
consulente tecnico d'ufficio dr. U.D.G., il quale, anche sulla scorta delle
valutazioni effettuate dal coadiutore specialista ostetrico-ginecologo dr. G.S.: a)
aveva ritenuto censurabile l'operato dei sanitari che ebbero in cura A.N. nel corso
dell'accesso al P.S. dell'Ospedale Cardarelli di Campobasso in data 19/06/2006 e
del successivo ricovero presso il Reparto di Ostetricia e Ginecologia della stessa
struttura, sia per l'omessa instaurazione di terapia tocolitica, sia nelle modalità di
somministrazione e dosaggio di terapia corticosteroidea (necessaria allo sviluppo
polmonare dei feti, in modo da evitare o quanto meno diminuire significativamente
l'insorgenza della sindrome da distress respiratorio poi manifestatasi in entrambi i
gemelli); b) aveva precisato che, per quanto risultante in cartella clinica, era
mancata la terapia tocolitica e non era stata utilizzata adeguata terapia con
glucocortiroidi; che anche a voler valutare la documentazione prodotta dalla parte
convenuta (consegne ostetriche ed infermieristiche) dalla quale risultava avviata la
terapia tocolitica senza specificità di dosaggio, restava senza spiegazioni la
mancata, necessaria, somministrazione della terapia corticosteroidea, effettuata con
dosaggio e timing di somministrazione insufficienti; c) aveva ritenuto meritevole
di censura anche la decisione di praticare alle 9,10 circa del 20/06/2006 il taglio
cesareo in urgenza alla gestante alla 30ma settimana, laddove le caratteristiche del
tracciato cardiotocografico alle ore 7,42 dello stesso giorno avrebbero consigliato
monitoraggio seriale ed una maggiore osservazione della paziente: al riguardo,
aveva rilevato che dalla cartella clinica ostetrica non risultava alcuna annotazione
circa la decisione di sottoporre la N. a cesareo, e che solo la cartella
anestesiologica riportava la diagnosi di "sofferenza fetale", in ordine alla quale
tuttavia l'unico dato disponibile era il cardiotocogramma, riportante una riduzione
della frequenza media cardiaca (85-105) con lento recupero fra le 8,30 e le 8,34
(fino a 140) e ridotta variabilità sino alle 8,41.
Il primo giudice ha poi recepito anche le conclusioni tratte dal ctu sul piano
dell'incidenza causale della condotta dei sanitari sulla morte del neonato A. e sulle
lesioni di C., ritenendo tale condotta idonea a determinare la perdita delle chances
degli stessi di non andare incontro alle complicanze comunque connesse alla loro
condizione di prematuri, valutate nel 50% per la bambina e nel 35-40% per il
gemello.
Tale conclusione è avversata dagli appellanti, i quali sostengono che sia la
situazione di prematurità dei feti che -soprattutto- la conseguente urgenza di
procedere al parto cesareo non risultano provate dall'Azienda sanitaria appellata,
gravata del relativo onere.
L'appello merita accoglimento.
Emerge dalla stessa relazione di ctu come non vi sia modo di sapere se la
situazione in cui si trovava la N. al momento della decisione di intervenire con il
cesareo fosse di "travaglio di parto pretermine in atto" (caratterizzato dal
raccorciamento ed appianamento del collo uterino e dalla dilazione dell'orificio
esterno dell'utero), o invece di "minaccia di parto pretermine" (in cui l'utero
presenta segni di attività contrattile avvertita dalla donna, ma il collo uterino è
preservato e presenta l'orificio esterno chiuso, o al massimo con dilatazione
inferiore a 3 cm.); il relativo accertamento richiede fra l'altro -sulla scorta della
bibliografia nota all'epoca dei fatti, menzionata dal dr. D.G.- la verifica della
presenza di contrazioni uterine persistenti, se vi è febbre e perdite ematiche,
l'esecuzione di ecotomografia trans vaginale, ed ove si sia in presenza della seconda
ipotesi occorre apprestare una "terapia diretta ad arrestare l'evoluzione del parto
pretermine nell'intento di ottenere la nascita di un bambino in condizioni tali non
solo da sopravvivere, ma da non presentare alcuno dei temuti esiti della prematurità
salvaguardando nel contempo anche la salute della madre; pertanto, è già obiettivo
desiderabile ritardare il parto pretermine anche di pochi giorni, allo scopo di
praticare la terapia con cortisonici per accelerare la maturazione polmonare del
bambino" (cfr. pagg. 48-50 della relazione del ctu).
Esaminando la cartella clinica, il ctu osserva che per la gestante non furono
espletate le incombenze suddette, non risultando posta in essere alcuna delle
procedure diagnostiche sopra descritte per l'accertamento dell'esistenza di un
travaglio di parto pretermine in atto (pag. 58 della relazione citata); si è poi già
sopra riferito al punto c) circa la mancanza in cartella clinica ostetrica di
indicazioni relative al parto cesareo di urgenza.
Come sottolineato dagli appellanti, in base ai principi in tema di responsabilità
civile nell'attività medico-chirurgica ormai consolidati in giurisprudenza, ove sia
dedotta una responsabilità contrattuale (o da "contatto sociale") della struttura
sanitaria e/o del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il
danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e
dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie
per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione od
omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato che la prestazione sia stata
eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento
imprevisto ed imprevedibile; peraltro, quanto alla prova dell'anzidetto nesso di
causalità, in ambito civilistico esso consiste anche nella relazione probabilistica
concreta tra condotta ed evento dannoso, secondo il criterio ispirato alla regola
della normalità causale, del "più probabile che non" (cfr. Cass. Sez. un., n.577/'08;
Cass. n.975/'09; n.15993/'11; n.17143/12; n.4792/13).
In particolare, avendo il medico l'obbligo di controllare la completezza e la
esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati, la relativa violazione non solo
comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione
generale contenuta nell'art. 1176, comma 2, c.c. e, quindi, di un inesatto
adempimento della sua corrispondente prestazione professionale, ma consente,
altresì, di fare ricorso alle presunzioni per meglio supportare la pretesa risarcitoria,
assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della "vicinanza alla prova", cioè della
effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla (cfr., Cass. n.12273/04;
n.20101/09; n.1538/10; n.10060/10; Cass. 2011/n.12686).
Manca dunque la prova, che sarebbe stato onere dell'Azienda sanitaria fornire,
dell'effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi dell'intervento urgente di
parto cesareo: tanto rende superflua la disamina della problematica, cui hanno fatto
cenno gli appellanti, relativa all'errore medico innestatosi su di una situazione
patologica già in corso (ove dimostrata), in cui l'evento di danno imputabile può
configurarsi in termini di aggravamento della patologia già in via di sviluppo,
ovvero -nella prospettiva della causalità da perdita di chance - in termini di
privazione di possibilità di scongiurare un maggior pregiudizio rispetto a quello
che sarebbe seguito nel caso di tempestivi interventi terapeutici; in dette ipotesi,
l'orientamento della S.C. è comunque nel senso che, allorchè il fattore naturale non
sia tale da escludere del tutto il nesso causale rispetto alla condotta sanitaria,
questa resti fonte di responsabilità esclusiva, potendo al più operarsi una
delimitazione del "quantum" del risarcimento, in base ai principi di cui all'art. 1223
e ss. c.c. (cfr. Cass. civ. Sez. III, 21/07/2011, n. 15991; Cass. civ. Sez. III,
29/02/2016, n. 3893).
- Premesso che alla riconosciuta fondatezza dell'appello in ordine alla integrale
responsabilità della parte appellata consegue, in accoglimento per quanto di ragione
degli ulteriori motivi di appello, la rideterminazione dei danni già riconosciuti in
primo grado, il terzo motivo di appello concerne l'erronea quantificazione da parte
del Tribunale del danno non patrimoniale subito dai genitori per la morte del figlio
A. (effettuata in 150.000,00 Euro per ciascun genitore).
Il primo giudice ha premesso, alle pagg. 14 e 15 della motivazione, di intendere
applicare ai fini della liquidazione equitativa del danno non patrimoniale ex artt.
2059 c.c. e 32 Cost., comprensivo delle sue componenti del cd. danno biologico,
morale soggettivo ed esistenziale (Cass. Sez. Unite n.26972/'08), le tabelle
elaborate dal Tribunale di Milano, tenuto conto della loro maggiore diffusione
nazionale, e pur non avendolo esplicitamente indicato sembra avere utilizzato le
tabelle aggiornate al 2013, epoca della decisione - l'importo di 150.000,00 Euro
rientra infatti nell'ambito di quelli previsti da tale tabella a titolo di danno spettante
al genitore per la perdita del figlio, tenuto conto del riconoscimento della sola
percentuale del 40% da parte del Tribunale-.
Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale spettante a ciascun
genitore iure proprio per la morte del piccolo A. -sulla base del dato presuntivo
delle sofferenze ordinariamente provocate dalla perdita di un congiunto, tanto
maggiori quanto più forte è il rapporto di parentela-, viene pertanto rideterminato
dalla Corte in considerazione della situazione concreta, in cui il neonato è deceduto
dopo 15 giorni di vita durante i quali ha presentato alterne condizioni di salute,
sino alla crisi manifestata nell'ultimo giorno, sulla scorta delle tabelle milanesi
aggiornate al 2014 (cfr., per la necessità di tenere presenti le ultime tabelle
aggiornate da parte del giudice d'appello, Cass. 2012/n.7272), in misura pari,
all'attualità, all'incirca alla media delle previsioni tabellari, e quindi in 245.000,00
Euro ciascuno.
- Il quarto motivo attiene alla ritenuta erronea valutazione dei danni spettanti in
proprio a C.C. (determinati in sentenza in complessivi 738.909,00 Euro,
comprensivi di 50.000,00 Euro a titolo di danno da perdita del rapporto parentale
per la perdita del fratello A., non oggetto di appello).
Il danno non patrimoniale stimato dal Tribunale per l'invalidità permanente subita
dalla minore, già personalizzato nella sua massima estensione, è stato quantificato
in 682.861,00 Euro, oltre ad Euro 6.048,00 per il danno da inabilità temporanea.
Per la quantificazione del risarcimento dovuto per tale pregiudizio le menzionate
tabelle milanesi sono state predisposte, sulla scorta dei principi indicati dalla citata
Cass. Sez. unite n.26972/'08, includendo nel "punto" (precedentemente
comprendente il solo danno non patrimoniale anatomo-funzionale, cd. danno
biologico permanente), anche l'aumento ponderato relativo alla componente di
danno non patrimoniale per "sofferenza soggettiva"; sono inoltre previste
percentuali massime di ulteriore aumento, da utilizzarsi in via di personalizzazione.
Nel caso, in riferimento alla prima fascia di età prevista in tabella (da 0 a 1 anno),
va tenuto conto del 100% di invalidità, percentuale nella specie ravvisata dal ctu
per C.C. (non operando la riduzione al 50-55% in termini di riduzione di chances
poi applicata dallo stesso tecnico d'ufficio), e di conseguenza anche il periodo di
inabilità temporanea da risarcire alla minore (anch'esso valutato dal ctu in termini
di riduzione di chances) è di 60 gg. come I.T.T. e di 120 gg. come I.T.P. al 50%:
circa la percentuale effettiva di invalidità si veda la pag.61 della relazione del dr.
D.G., il quale descrive un quadro clinico contraddistinto da postumi da paralisi
cerebrale infantile esitata a sofferenza cerebrale perinatale estrinsecantesi con
doppia emiparesi sintomatica di leucomalacia periventricolare, epilessia, deficit
deambulatorio, deficit del linguaggio e della motricità, esotropia alternante con
nistagmo da fissazione...: pag. 64: risultano altamente inficiate la capacità
lavorativa nonché il diritto all'istruzione; parimenti inficiati, in misura notevole,
l'abilità ai rapporti familiari, sociali e sessuali; lo stesso grado di disabilità è da
ravvedere nella possibilità di espletamento delle normali attività di vita quotidiana.
All'aumento del punto del 50% previsto tabellarmente per il grado di invalidità del
100% si aggiunge l'ulteriore maggiorazione prevista per l'invalidità in questione,
nel massimo del 25%, che nel caso appare applicabile, in considerazione della
particolare gravità e penosità della condizione della bambina, per la quale non si
indicano da parte del ctu concrete prospettive di miglioramento: si perviene
pertanto a 1.523.503,00 Euro.
E' stata integralmente respinta dal Tribunale la domanda di risarcimento del danno
patrimoniale da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa avanzato per la
minore: tanto sul presupposto della mancanza di prova che la stessa non potrà mai
svolgere alcuna attività lavorativa e dell'omesso riferimento degli attori a parametri
concreti ai fini della relativa liquidazione.
Gli appellanti insistono nella richiesta, richiamando fondatamente la già riportata
descrizione del ctu di cui alla pag. 64 della relazione circa l'alto grado di
pregiudizio per C.C. sia della capacità lavorativa che dello stesso svolgimento delle
normali attività di vita quotidiana.
Allorchè un soggetto non svolgente attività lavorativa, quale un minore, subisca in
conseguenza di un illecito lesioni personali con postumi macro-permanenti, tali
che il giudice li reputi destinati ad incidere sulla sua capacità lavorativa futura, il
relativo danno da risarcire - consistente nel mancato guadagno per il minore
rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata
menomata - può esser determinato ex art. 1226 c.c. in base al tipo di attività che
presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto
soprattutto degli studi intrapresi e delle capacità ed inclinazioni manifestate dal
minore, nonchè (secondariamente) della posizione economico-sociale della
famiglia; ove non emergano concrete risultanze per tale valutazione, il giudicante
può ricorrere a criteri equitativi, ivi compreso il riferimento al triplo della pensione
sociale -Cass. 2011/n. 17514; Cass. civ., Sez. III, 30/09/2009, n. 20943; Cass. civ.,
Sez. III, 15/07/2008, n. 19445; Cass. 2008/n.6288; Cass. civ., Sez. III, 14/12/2004,
n. 23298-.
Ritenuta nel caso sussistente l'incidenza delle lesioni subite dalla minore C. sulla
sua capacità lavorativa generica ed esclusa per l'età della stessa e l'entità della sua
invalidità la riferibilità ai suoi studi ed inclinazioni, dalla documentazione prodotta
dai genitori di C.C. circa i redditi rispettivamente dichiarati per il periodo 2005-
2008 (doc. nn.17 e 18 del fascicolo di parte attrice), può desumersi la posizione
socio-economica della sua famiglia, il cui reddito annuo medio per ciascun
soggetto percettore è stato pari nel suddetto lasso di tempo a 10.000,00 Euro circa.
Come precisato dalla S.C. (v. Cass. civ. Sez. III, 02/03/2004, n. 4186 e Cass. civ.
Sez. III, 02/07/2010, n. 15738), ai fini della liquidazione dei danni patrimoniali da
invalidità permanente in favore del soggetto leso, ove si utilizzi il criterio della
capitalizzazione del danno patrimoniale futuro adottando i coefficienti di
capitalizzazione della rendita fissati nelle tabelle per le costituzione delle rendite
immediate di cui al R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 , si deve adeguare detto risultato
ai mutati valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate, e cioè deve
tenersi conto dell'aumento della vita media e della diminuzione del tasso di
interesse legale e, onde evitare una divergenza tra il risultato del calcolo tabellare
ed una corretta e realistica capitalizzazione della rendita, si deve "attualizzare" lo
stesso, o aggiornando il coefficiente di capitalizzazione tabellare, ovvero non
riducendo più il coefficiente a causa dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa.
L'importo in questione si ottiene pertanto nel caso moltiplicando Euro 10.000,00 x
100% (grado di incidenza sulla capacita' di lavoro) x 20,048 (coefficiente in
relazione all'età inferiore a 12 anni della danneggiata) Euro 200.480,00.
- Con il quinto motivo i coniugi C. - N. insistono per la liquidazione del danno non
patrimoniale dagli stessi subito per l'invalidità della figlia C., stimato in sentenza in
30.000.00 Euro ciascuno a titolo di "sofferenza transeunte", nel maggior importo
di 300.000,00 ciascuno, nonché per il riconoscimento del danno patrimoniale per
lavoro assistenziale prestato per la stessa figlia, non preso in esame dal Tribunale.
Gli appellanti affermano, quanto al danno non patrimoniale suddetto, che il dolore
di vivere con la figlia gravemente invalida è permanente e superiore a quello che
sarebbe stato loro cagionato dalla sua morte.
Anche sul punto l'appello è fondato, per quanto di ragione.
In tema di grave lesione della salute del familiare, l'Osservatorio alla giustizia
civile del Tribunale di Milano, nell'illustrare le tabelle di calcolo del danno alla
persona, ribadisce da tempo che la misura del danno non patrimoniale risarcibile
alla vittima secondaria è disancorata dal danno biologico subito dalla vittima
primaria. Relativamente alla liquidazione del danno al familiare bisogna pertanto
tener conto essenzialmente della natura e intensità del legame tra vittime secondarie
e vittima primaria, nonché della quantità e qualità dell'alterazione della vita
familiare (da provarsi anche mediante presunzioni).
La difficoltà di tipizzazione delle possibili variabili nei casi concreti suggerisce
solo l'individuazione di un possibile tetto massimo della liquidazione, pari al tetto
massimo per ciascuna ipotesi di cui al paragrafo relativo al danno non patrimoniale
per la morte del congiunto.
Sulla scorta di tali criteri, ritiene la Corte che possa congruamente determinarsi il
danno in questione in quello pari alla media del danno non patrimoniale da morte
del figlio previsto nelle tabelle milanesi del 2014, pari a 245.990,00 Euro per
ciascun genitore.
Quanto al danno patrimoniale in questione, la Corte rileva che si rinvengono
condivisibili precedenti della S.C. relativi a casi di riconoscimento, in favore dei
genitori di figli colpiti da grave handicap psico-fisico, del danno consistente nelle
ulteriori spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, pari al
differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa
per il mantenimento di un figlio affetto da gravi patologie, richiedente la
prestazione di continua assistenza, con presumibile limitazione della attività
lavorativa, danno economico la cui prova si desume in via preventiva e secondo un
criterio di equità solidale e sociale, che non può risolversi in somma irrisoria (v.
Cass. n.11364/2014), e deve necessariamente anch'esso valutarsi in via equitativa
(Cass. 2010/n. 13): avuto riguardo nel caso all'irreversibilità ed alla gravità
dell'invalidità della minore, si stima congrua la quantificazione del suddetto danno
"differenziale" in 4.000,00 Euro all'anno a far tempo dalla nascita di C.C., oltre
rivalutazione annuale in base agli indici Istat, fino all'eventuale raggiungimento
dell'autosufficienza economica della minore.
- Il sesto motivo di appello attiene al mancato riconoscimento in favore dei coniugi
appellanti del risarcimento del danno biologico subito in proprio.
Assume al riguardo la sentenza impugnata che tale pregiudizio, seppur allegato
dagli attori, non sarebbe stato provato.
Come tuttavia messo in evidenza dagli appellanti, anche sul punto il ctu, su
incarico del Tribunale, aveva proceduto ad acquisire documentazione medica e
consulenza specialistica psichiatrica concernente i genitori della minore, ritenendo
infine "indubbio" che sui medesimi "il riflesso della condotta colposa dei sanitari
ebbe a generare problematiche nEuropsichiatriche", e che il danno psichiatrico
accertato debba essere inteso sia quale danno temporaneo che, per elaborazione del
quadro psichico e strutturazione dello stesso, quale danno psichico permanente
vero e proprio: per la N., si è riscontrata una inabilità temporanea relativamente
alla comparsa di depressione post - partum (I.T.T. per 30 gg. e I.T.P. al 50% per 60
gg.) e per entrambi un danno permanente (disturbo dell'adattamento cronico con
ansia ed umore depresso) incidente per la prima nella misura del 15% e per il
coniuge del 10%.
Facendo ricorso alle citate tabelle milanesi per l'anno 2014, il calcolo del relativo
danno è il seguente per la N.:
- danno da invalidità permanente del 15% in soggetto 34enne all'epoca dei fatti,
comprensivo della componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale e di
quella da sofferenza soggettiva, nella percentuale ponderata del 31% (44.188,00
Euro), personalizzato in ragione della percentuale media (22%) prevista dalle citate
tabelle per l'adeguamento alle peculiarietà del caso concreto, in considerazione
delle conseguenze dell'evento traumatico sul piano psicologico tuttora
manifestantesi negativamente in modo rilevante Euro 53.909,36
- 30 gg. di ITT (ad Euro 120,00 al giorno) = Euro 3.600,00
- 60 gg. di ITP al 50% (ad Euro 60,00 al giorno) = Euro 3.600,00
in totale Euro 61.109,36.
per il C.:
- danno da invalidità permanente del 10% in soggetto 32enne all'epoca dei fatti,
comprensivo della componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale e di
quella da sofferenza soggettiva, nella percentuale ponderata del 31% (23.324,00
Euro), personalizzato in ragione della percentuale media (24%) per ragioni
analoghe a quelle esposte per la moglie = Euro 28.922,00.
- Il settimo motivo di appello concerne l'omesso riconoscimento del risarcimento
del danno non patrimoniale subito da E.C. per l'invalidità della sorella C., che la
pronuncia di primo grado non ha considerato, essendosi limitata a liquidare in
favore di E. il danno conseguente alla morte del fratello A..
Si premette che in caso di nascita di bambini con gravi malformazioni, come ha
avuto modo di motivare la Cassazione, per i fratelli del neonato "non può non
presumersi l'attitudine a subire un serio danno non patrimoniale, anche a
prescindere dagli eventuali risvolti e delle inevitabili esigenze assistenziali
destinate ad insorgere, secondo l'id quod plerumque accidit, alla morte dei genitori.
Danno intanto consistente, tra l'altro nella inevitabile, minor disponibilità dei
genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato
al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un
rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e
distensione" (cfr. Cass. civ. Sez. III, 02/10/2012, n. 16754).
Richiamato quanto sopra esposto trattando del quinto motivo circa i criteri di
liquidazione il danno spettante alle cd. vittime secondarie, si reputa congrua la
relativa determinazione nella misura indicata dagli appellanti di 20.000,00 Euro,
pari all'importo minimo della previsione tabellare per il caso di morte del fratello.
- Con l'ottavo motivo si lamenta la mancata liquidazione degli interessi dal fatto: la
doglianza non appare giustificata, dal momento che la sentenza impugnata contiene
nella motivazione, cui fa espresso rinvio il dispositivo, il richiamo al principio
(affermato da Cass. sez. un. 17/02/1995 n. 1712, e poi seguito uniformemente in
giurisprudenza) secondo il quale le somme quantificate per capitale a titolo di
risarcimento del danno vanno devalutate alla data del sinistro al fine di conteggiare
correttamente i chiesti interessi compensativi, i quali vanno calcolati dal giorno
dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che
progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione in base ai dati Istat.
In ogni caso, in tal senso deve procedersi per le somme sopra liquidate (fatta
eccezione per le somme da erogare periodicamente, come sopra determinate), pari
all'attualità a complessivi 2.815.994,36.
Devalutato al giugno 2006, detto importo è pari a 2.450.821,90 Euro; calcolati gli
interessi al tasso legale sulla stessa somma rivalutata a far tempo dallo stesso
giorno del fatto lesivo, e successivamente anno per anno, si perviene ad Euro
3.322.538,29 (di cui 506.543,93 Euro per interessi e 365.172,46 Euro per
rivalutazione), dovuti agli attuali appellanti dalla A., ed a quest'ultima dalla Soc.
C.A. in virtù della chiamata in garanzia, detratto l'importo complessivamente
versato in data 10 /04/2014 in favore degli stessi appellanti in esecuzione della
sentenza di primo grado, pari ad 1.359.274,80 Euro.
Si precisa in proposito che, trattandosi di importi dovuti a titolo risarcitorio, non
trova applicazione l'art. 1194 c.c., il quale prescrive di imputare i pagamenti
parziali prima agli interessi, e quindi al capitale (v. Cass. 2006/n.9356;
Cass.1998/n.2352; Cass. 1997/n.5707).
- Il nono motivo di appello attiene all'erronea liquidazione da parte del Tribunale
delle spese vive di causa: il motivo va accolto, avendo il primo giudice omesso di
considerare l'avvenuto versamento da parte degli attori dell'importo per contributo
unificato di 770,00 Euro in aggiunta a quello già corrisposto di 340,00 Euro.
- La soluzione adottata comporta la condanna delle appellate, in solido, alla
rifusione in favore degli appellanti delle spese del presente grado di giudizio,
liquidate in dispositivo in riferimento all'epoca di definizione -Cass. sez. un.
2012/n.17405 e 17406-, e pertanto applicando i parametri medi di cui al D.M. n.
55 del 2014 secondo lo scaglione commisurato al valore indeterminabile, per fasi
di studio, introduttiva, di trattazione e decisionale, operato l'aumento ex art. 4, 2
comma, del D.M. 10 aprile 2014, n. 55 per pluralità di clienti (per due parti in più
oltre alla prima, stante l'identità delle posizioni dei coniugi C.).
P.Q.M.
La Corte di Appello di Campobasso - Collegio civile,
pronunciando definitivamente sull'appello proposto da C.N. e N.C.A., in proprio e
quali esercenti la responsabilità genitoriale sui minori C.E. e C.C., con citazione
notificata il 9/05/2014, avverso la sentenza n. 96/2014 emessa dal Tribunale di
Campobasso, in composizione monocratica, nei confronti della A., in persona del
l.r.p.t., e della Società C.A. - soc. cooperativa, in persona del l.r.p.t., così provvede:
1) accoglie l'appello per quanto di ragione, e per l'effetto -ferma restando la
liquidazione dei danni effettuata in favore di C. ed E.C. per la morte del fratello A.,
pari a complessivi 116.467,40 Euro, non oggetto di appello-, in parziale riforma
della sentenza impugnata, quantifica l'importo dovuto agli appellanti dalla A. in
complessivi Euro 3.322.538,29 all'attualità, importo dal quale va detratto quello
di 1.359.274,80 Euro, versato agli appellanti in esecuzione della sentenza di primo
grado in data 10/04/2014;
2) dispone altresì che l'appellata A. corrisponda ai coniugi appellanti dell'importo
di 4.000,00 Euro all'anno a far tempo dalla nascita di C.C., oltre rivalutazione
annuale in base agli indici Istat, fino all'eventuale raggiungimento
dell'autosufficienza economica della minore;
3) condanna la medesima appellata a rimborsare agli appellanti l'importo di 770,00
Euro a titolo di rimborso di spese vive relative al processo di primo grado, nonché
a versare agli stessi appellanti le spese del presente grado del giudizio, che liquida
in 702,00 Euro per esborsi ed in 13.891,00 per compenso al difensore, oltre al
rimborso forfettario nella percentuale del 15% sul compenso, Iva e Cpa come per
legge;
4) condanna la Soc. C.A. a tenere indenne l'A. da quanto disposto nei precedenti
capi a carico dell'assicurata A..
Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del 20 luglio 2016.
Depositata in Cancelleria il 2 agosto 2016.