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CONSIGLIO di STATO - (sanatoria ex art. 3 della l. 207/85; sulla azione di accertamento, per il riconoscimento della connotazione di pubblico impiego, del rapporto precedente alla regolarizzazione)
Massima:
L'art. 3 della legge 20 maggio 1985 n. 207, contenente disposizioni sull’assunzione straordinaria in ruolo del personale avventizio delle Unità sanitarie locali, nel prescrivere che l’inquadramento in ruolo avvenga senza valutazione dell’anzianità pregressa, impedisce la valutazione di una decorrenza retroattiva dell’inquadramento in ruolo ;tuttavia esso non preclude al giudice adito di accertare se il rapporto precedente avesse le caratteristiche della subordinazione, solo ai fini, però, degli effetti retributivi o previdenziali che, ai sensi dell’art. 2126 c.c., conseguono a un rapporto d’impiego, anche se illegittimamente instaurato.
SENTENZA N. 6030/03
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 9 Ottobre 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 7707/94, proposto da xxxxxxxxx, rappresentate e difese dall’avv. Michele Spagna, e con il medesimo elettivamente domiciliate in Roma, v. Zanardelli n. 20 (studio Albisinni), contro la ex USL n. 37 di Napoli, in persona del Commissario liquidatore, Direttore Generale p.t. della succeduta ASL NA/1, non costituita in giudizio,
per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli, IV, 19 giugno 1993, n. 169, resa inter partes, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dalle attuali appellanti per ottenere la declaratoria della natura di pubblico impiego in relazione al rapporto intercorso, prima dell’immissione in ruolo ex l. 207/85, tra ciascuna delle ricorrenti e la USL intimata, con ogni conseguenza di legge; Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; udito altresì l’Avv.to Spagna; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR della Campania le ricorrenti, assistenti medici di ruolo presso varie UUSSLL partenopee inquadrati in sanatoria in virtù della l. 207/85, esponevano di essere state in origine assunte nel 1979 dal Comune di Napoli, ad esito di apposita selezione pubblica, al fine di costituire il “Servizio di pediatria sociale e preventiva e di guardia medica pediatrica permanente diurna”; servizio poi trasferito, e con esso le predette, nella USL di pertinenza a far data dal 1° ottobre 1982. Insorgevano dunque avverso la delibera n. 749/88, per la parte in cui la USL intimata disponeva l’inquadramento in ruolo in sanatoria delle ricorrenti ai sensi dell’art. 3 della l. 207/85, senza riconoscimento di anzianità pregressa ai sensi dell’art. 1 della medesima l. 207/85. Deducevano, inoltre, con riguardo ai relativi effetti economici e assicurativo-previdenziali, che il rapporto, fittiziamente inquadrato quale prestazione d’opera, presentava in realtà tutti i connotati tipici del rapporto di pubblico impiego.
2. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il TAR adito respingeva il ricorso, ritenendo insussistente il presupposto per l’applicazione del citato art. 1 e che non vi erano elementi per ritenere simulata la volontà inizialmente sancita nella convenzione che regolava il rapporto, per cui il comportamento successivo delle parti, e segnatamente quello dell’Amministrazione, non era per definizione in grado di mutare la struttura originaria del rapporto con un’alterazione genetica o funzionale dello stesso, vietata dalla legge.
3. Le originarie ricorrenti hanno dunque interposto l’appello in trattazione avverso la prefata pronunzia, contestata funditus, insistendo nelle loro pretese, alla luce, in particolare, anche dell’asserita effettiva sussistenza degli indici rivelatori della natura pubblico-subordinata (non di ruolo) dei rapporti lavorativi intercorsi tra ciascuna delle reclamanti e l’Amministrazione intimata.
4. L’Amministrazione sanitaria non si è costituita in giudizio per resistere. Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello non può essere accolto, meritando conferma la sentenza impugnata.
2. L’azione degli odierni sanitari reclamanti è evidentemente volta ad ottenere i benefici di ordine economico-retributivo e previdenziale legati al preteso riconoscimento in sede giurisdizionale della connotazione di pubblico impiego che avrebbe caratterizzato il rapporto intercorso con l’Amministrazione di pertinenza nel periodo antecedente alla regolarizzazione del rapporto, avvenuta, a domanda, ai sensi dell’art. 3 della l. 207/85, recante disposizioni in ordine all’inquadramento straordinario in ruolo, a titolo di sanatoria irretroattiva, di personale con rapporto convenzionato. Rientra, ovviamente, nel primario interesse delle attuali appellanti disconoscere che con il beneficiare della regolarizzazione a domanda di cui all’art. 3 della l. 207/85 si sia in realtà formalmente perorata, da parte loro, la natura convenzionale del preesistente rapporto di lavoro di cui si discute.
In definitiva, l’aver beneficiato della sanatoria di cui all’art. 3 della l. 207/85, non precluderebbe agli interessati l’azione di accertamento per il riconoscimento della connotazione di pubblico impiego del rapporto pregresso alla regolarizzazione, considerando anche, in effetti, che il personale in questione si è in genere limitato a compilare un modulo prestampato, il quale, lungi dal recare la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorso, era finalizzato esclusivamente a consentire di esprimere la volontà di ottenere l’inquadramento in ruolo ai sensi della l. 207/85, in virtù di una sanatoria estesa al personale genericamente non di ruolo, e non esclusivamente riservata a quello legato da rapporto convenzionale (nel citato art. 3 si parla effettivamente di personale…”compreso quello con rapporto convenzionale”).
3. Ciò posto, occorre necessariamente prendere le mosse dalla chiara circostanza che il beneficio previsto dall’art. 3 della legge 20 maggio 1985 n. 207 ha consentito, in deroga al principio del pubblico concorso richiesto per la generalità degli aspiranti a posti nel pubblico impiego, l’immissione straordinaria nei ruoli delle Unità sanitarie locali di coloro che abbiano intrattenuto un rapporto convenzionale irregolare col Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro subordinato si è costituito grazie al detto beneficio; pertanto, il relativo trattamento retributivo, non diversamente da quello previdenziale, non può decorrere, formalmente, se non dalla data in cui l’interessato ha iniziato a lavorare alle dipendenze di una Unità sanitaria locale.
In proposito la Sezione ha, del tutto condivisibilmente, giudicato manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 3, nella parte in cui ha limitato la decorrenza dell’inquadramento nei ruoli delle Unità sanitarie locali dalla data del provvedimento, con esclusione di ogni riconoscimento di anzianità pregressa, a differenza dell’art. 1 stessa legge, che per il personale ivi contemplato ha fatto decorrere, invece, gli effetti dell’inquadramento dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 207, ciò in quanto la diversa previsione del legislatore, con riferimento agli effetti e ai contenuti della sanatoria del personale precario, non è apparsa né ingiustificata né irragionevole, stante la diversità sostanziale e non meramente formale dei rapporti pregressi prefigurati dai citati artt. 1 e 3, nell’un caso di natura dipendente nell’altro di natura professionale (Cons. Stato, V, 18 ottobre 2000, n. 5575).
E’ dunque evidente come l’inquadramento predetto possa atteggiarsi alla stregua di un vero e proprio provvedimento di costituzione del rapporto d’impiego, anteriormente al quale è di norma ravvisabile un rapporto convenzionale caratterizzato dallo svolgimento di una prestazione lavorativa retribuita dall’Amministrazione (Cons. Stato, V, 2 giugno 2000, n. 3188).
4. Ciò nondimeno, come ancor più recentemente evidenziato dalla Sezione, se l’art. 3 della legge 20 maggio 1985 n. 207, contenente disposizioni sull’assunzione straordinaria in ruolo del personale avventizio delle Unità sanitarie locali, nel prescrivere che l’inquadramento in ruolo avvenga senza valutazione dell’anzianità pregressa, impedisce la valutazione di una decorrenza retroattiva dell’inquadramento in ruolo, esso non preclude al giudice adito di accertare se il rapporto precedente avesse le caratteristiche della subordinazione, solo ai fini, però, degli effetti retributivi o previdenziali che, ai sensi dell’art. 2126 c.c., conseguono a un rapporto d’impiego anche se illegittimamente instaurato (Cons. Stato, V, 26 settembre 2002, n. 4942; in precedenza v. già V, 17 maggio 1997, n. 507). E’ doveroso evidenziare che non risulta corretta la richiesta al giudice amministrativo dell’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego.
Qualora infatti, come nella fattispecie in argomento, il presunto rapporto di pubblico impiego è sorto comunque sulla base di atti o comportamenti diversi da quelli presi in considerazione dalla legge (nel caso che interessa mediante la stipulazione di un atto convenzionale oggetto di varie proroghe), il giudice amministrativo non può accertare un rapporto che non è sorto, non sussiste e non può giuridicamente sussistere. La nullità in senso tecnico degli atti di assunzione contra legem, sancita dalla legge (per il personale del comparto sanitario si veda l’art. 9 del DPR 761/79) e rilevabile d’ufficio dal giudice, evidenzia che il legislatore qualifica come rapporto di pubblico impiego solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento, per cui se essi mancano, e cioè se manca l’atto genetico individuato come tale dalla legge (in particolare assunzione sulla base di concorso o prova selettiva), anche quando l’Amministrazione può organizzare lo svolgimento di un servizio pubblico, non si può ammettere che in concreto sussista un rapporto di pubblico impiego, né il giudice amministrativo può accertare l’esistenza di un rapporto che giuridicamente poteva essere costituito solo da uno dei provvedimenti previsti dalla normativa di settore e che non può essere costituito di fatto (Cons. Stato, V, 12 dicembre 1996, n. 1508; 13 novembre 1997, n.1293; 7 ottobre 1998, n.1422).
Né l’inquadramento straordinario in ruolo, a titolo di sanatoria e senza effetti retroattivi, di personale con rapporto convenzionale, come quello previsto dal più volte citato art. 3 della l. 207/85, può essere efficacemente richiamato, all’uopo, per scalfire le fondamenta dei soprarichiamati principi. A fronte di un rapporto che deve intendersi nullo di diritto, devono, nondimeno, come accennato, essere ritenuti applicabili i meccanismi di protezione, dal punto di vista retributivo e contributivo-previdenziale, previsti dall’art. 2126 c.c., per il periodo di espletamento delle prestazioni di fatto.
Va dato atto, in effetti, che se è del tutto irrilevante, per gli esposti motivi, l’esistenza in concreto degli “indici rivelatori” della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego ai fini del riconoscimento della natura di tale rapporto in sede di giurisdizione amministrativa, occorre però riconoscere che qualora la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d’opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto atteso che si è provveduto all’assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l’art. 2126 c.c., con conseguente diritto dell’interessato alle relative (eventuali) differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (Cons. Stato, V, 3 giugno 1996, n.618; 23 giugno 1997, n.709; 24 agosto 2000, n. 4605).
Il rapporto di lavoro instaurato con l’Amministrazione in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano nasce, dunque, e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rilevatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione (già esclusiva del giudice amministrativo in virtù della fictio iuris di validità del rapporto nullo ai soli fini di cui all’art. 2126 c.c.) e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative (Cons. Stato, A..P., 29 febbraio 1992, n.1; Cons. Stato, V, 1° febbraio 1995, n.157; 22 giugno 1996, n.784). A tal fine occorre aver riguardo non tanto alle connotazioni formalistiche del rapporto, quanto alla presenza dei presupposti sostanziali del rapporto medesimo quali, ad esempio, la subordinazione gerarchica, la non provvisorietà della prestazione, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione interna dell’Ente, il rispetto di un preciso orario di lavoro (cfr. Cons. Stato, IV, 3 marzo 1997, n. 176).
5. Orbene, la ricostruzione del concreto atteggiarsi del rapporto coinvolgente le attuali appellanti, consente di escludere, con apprezzabili margini di certezza, la sussistenza di un dissimulato rapporto di lavoro subordinato, accostabile al pubblico impiego, che potrebbe dunque rilevare ai fini retributivo-previdenziali nei sensi sopraindicati. In particolare, non sussistono tutti gli elementi idonei a scardinare una configurazione complessiva del rapporto come fattispecie genuinamente convenzionale, avente ad oggetto una prestazione libero-professionale, il cui eccezionale e diverso epilogo (inquadramento in ruolo) è stato dovuto alla precipua volontà regolarizzatrice e sanante, con effetto ex nunc, manifestata dal legislatore.
Ne emerge, in definitiva, un quadro dove i presunti indici rivelatori di un rapporto di pubblico impiego sussistente in via di fatto non convergono nel senso indicato dalle deducenti. 6. Dalle conclusioni testé raggiunte discende la reiezione dell’appello. Nulla per le spese del presente grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta, nei sensi di cui in motivazione. Nulla per le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, l’8 aprile 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati: Emidio Frascione Presidente Corrado Allegretta Consigliere Goffredo Zaccardi Consigliere Aldo Fera Consigliere Gerardo Mastrandrea Consigliere est. L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F.to Gerardo Mastrandrea F.to Emidio Frascione