24.05.2010 free
Corte d’Appello Milano - omissione approfondimenti diagnostici pre operatori - Lacune cartella clinica - Natura cartella clinica predisposta da struttura pubblica.
Corte d’Appello di Milano - Sezione II, Sent. del 08.05.2009
omissis
del reato di cui agli artt. 113, 589 c.p., per avere Br. quale primario dell'Os.Ma., Ce. quale primo chirurgo operatore. Cu. quale endoscopista della colonscopia del 25.2.02, per negligenza, imprudenza ed imperizia in arte medica, cagionato o comunque accelerato, il decesso del sig. Fr.Va,, per colpa consistita:
Br. - Ce.
Nell'avere effettuato indicazione, e nell'avere eseguito, un intervento chirurgico di urgenza di resezione colica, senza avere approfondito le indagini pre operatorie ed in relazione ad un paziente - quale era Fr.Va. - per il quale, trattandosi di primo episodio acuto di diverticolite del colori, in assenza di complicanze in atto, di età avanzata (67 anni) e in condizioni cliniche non ottimali (affetto da diabete mellito e brocnopneumopatia ostruttiva cronica (BPCO), portatore di una patologia ematologia non meglio precisata, affetto da piastrinosi, tale intervento non trovava alcuna indicazione, dovendosi al contrario, per i suesposti motivi, correttamente optare per una terapia di tipo conservativo.
Cu.
Per non avere correttamente valutato gli esiti della colonscopia effettuata in data 2.1.2.02 accelerando il fenomeno del decesso e comunque determinando un ritardo di circa due mesi nell'adozione di tempestive cure;
cosicché il Va. dapprima veniva sottoposto, d'urgenza, al predetto intervento chirurgico la sera del 4.10.01, in conseguenza del quale si verificano a cascata una serie di complicanze, tali da determinare a distanza di 7 mesi circa la morte, "dovuta ad insufficienza multiorganica (MOF) da shock settico secondario o discendenza di punti e complicata da emorragia peritoneale da verosimile rottura vascolare venosa in sede di ancoraggio chirurgico parietale di anastomosi colo - cutanea", nonostante il predetto fosse rimasto costantemente monitorato all'interno delle strutture ospedaliere (prima quattro mesi in ambiente riabilitativo, presso l'Is.Ri. di Abbiategrasso, interrotto da un breve periodo di ricovero in Medicina all'Os. Di Magenta, decesso, a seguito di ulteriore ricovero, presso l'Is.Fa. di Milano).
In Milano, intervento chirurgico in data X., colonscopia in data Y., decesso, in data Z. .
Svolgimento del processo
Gi.Br., Li.Ce. e Re.Cu., nelle rispettive qualità di Primario, primo chirurgo operatore - ed endoscopista dell'Os. di Magenta venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Milano in composizione monocratica per rispondere del delitto di omicidio colposo (artt. 113, 589 cp.). Gli stessi erano accusati di avere per negligenza, imprudenza ed imperizia in arte medica, cagionato o comunque accelerato il decesso di Fr.Va.. Ai primi due, infatti, era contestato di avere effettuato in data 4.10.2001 nei confronti del Va. un intervento chirurgico di urgenza di resezione colica senza aver approfondito le indagini pre operatorie in relazione ad un paziente per il quale, trattandosi di primo episodio acuto di diverticolite del colon, in età avanzata (67 anni) e affetto da diabete mellito, broncopneumopatia ostruttiva cronica (BCPO), portatore di patologia ematologica, affetto da piastrinosi, l'intervento non era consigliato, dovendosi optare per una terapia di tipo conservativo; il terzo era accusato di non avere correttamente valutato gli esiti della colonscopia effettuata in data 25.2.02 e, determinando un ritardo nell'adozione di tempestive cure, accelerato in tal modo il decesso avvenuto il 6.5.02 per insufficienza multiorganica da choc settico secondario o deiscenza di punti e complicata da emorragia peritoneale da verosimile rottura vascolare venosa in sede di ancoraggio chirurgico parietale di anastomosi colo-cutaneo. Il Tribunale, con sentenza in data 13.6.2008, dichiarava gli imputati Br. e Ce. colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le attenuanti generiche, li condannava alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno, oltre alle spese in solido, concedendo ad entrambi i doppi benefici di legge.
Li condannava inoltre in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, nonché al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 80.000,00 in favore di Caterina Registro, e di Euro 40.000 ciascuno a favore di Ge., Ma. e Br.Va., nonché alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle predette parti civili.
Il Tribunale assolveva il Cu. dall'imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste.
Il Giudice faceva rilevare sentenza come gli stessi consulenti del PM. e delle parti civili non avevano mosso specifiche censure alle modalità con cui era stato effettuato l'intervento, ma avevano censurato la scelta di interrompere il trattamento conservativo e di procedere chirurgicamente, atteso che tale scelta era inopportuna alla luce della situazione riscontrata nel corso dell'operazione di resezione e all'esito dell'esame istologico.
L'intervento di resezione colica effettuato il 4 ottobre veniva seguito da altro intervento il giorno dopo per una proctorragia irrefrenabile condizionante un'importante anemizzazione; da quel momento il paziente veniva alternativamente curato in terapia intensiva.
Il Tribunale valutava che con giudizio ex post l'intervento era risultato non necessario pacificamente; si chiedeva se con giudizio ex ante vi fossero elementi per ritenere corretta l'interruzione del trattamento conservativo in atto e procedere ad intervento chirurgico, concludendo per l'assoluta non correttezza di tale scelta.
Era emerso che il Va. si fosse rifiutato di sottoscrivere il consenso informato sottopostogli il 3 ottobre dal Br., consenso che aveva sottoscritto il successivo giorno 4, prima dell'intervento.
In particolare il Br. aveva riferito di aver deciso per l'intervento a seguito di dolori addominali lamentati dal Va. la sera precedente, e di aver constatato un rialzo febbrile e la presenza del segno di Blumberg (significativo di un'infiammazione peritoneale).
Egli aveva ritenuto maggiore il pericolo di perforazione trattandosi di paziente immunodepresso per diabete mellito; l'andamento della piastrinosi non era stato ritenuto significativo, per l'interferenza del farmaco antitumorale dallo stesso assunto. L'imputato aveva ritenuto di non procedere alla TAC perché aveva escluso la presenza di un ascesso.
Il giudice rilevava in sentenza come la condotta degli imputati fosse negligente in relazione alla mancata effettuazione di ulteriori esami ed in particolare di una TAC, alla mancata analisi di tutti i segnali dell'evoluzione delle condizioni del paziente e alla mancata visione dell'esame radiografico prescritto nella notte tra il 2 e 3 ottobre 2001 (il referto non era stato rinvenuto).
Il Tribunale inoltre rilevava come la tesi difensiva circa l'autonomia del medico nelle scelte terapeutiche, richiamata da una pronuncia della Cassazione del 1987, andasse contemperata con altro principio sancito dalla medesima decisione, secondo cui la strategia di intervento dovesse essere adottata oculatamente in relazione ad una cospicua quantità di varianti legate al caso specifico.
Proponeva appello la difesa degli imputati Br. e Ce. chiedendo in principalità l'assoluzione ed in subordine la riduzione della pena al minimo edittale.
Faceva presente come il caso del Va. si fosse presentato particolarmente difficile, non già per la diagnosi di diverticolite acuta, quanto piuttosto per l'indicazione terapeutica da seguire, per la quale come riferito dai consulenti della difesa "si poteva cadere nell'atto omissivo e nell'atto commissivo con la stessa facilità", atteso che le linee guida non erano praticabili, in considerazione delle numerose comorbilità e la terapia antitumorale a cui era sottoposto. In particolare faceva presente come dopo il ricovero il paziente avesse avvertito forti dolori addominali, vi fosse stata la comparsa di un segno di Blumberg e un aumento della temperatura differenziale; inoltre vi era stata una mancata rispondenza alla terapia antibiotica.
La difesa contestava che vi fossero ragioni per effettuare una TAC addominale; tale esame avrebbe potuto escludere una perforazione in ascesso in atto, ma non avrebbe permesso, come aveva detto il Tribunale, di verificare meglio il decorso della malattia durante il trattamento conservativo. Non era stato poi tenuto presente il fatto che il Va. fosse un paziente immunodepresso; rilevava la difesa come in letteratura si affermasse che i soggetti immunodepressi o immunocompressi indipendentemente dall'età, andassero operati al primo episodio di diverticolite, posto che qualora avessero sviluppato una perforazione, il cui rischio era comunque maggiore dei soggetti normali, ad esse si sarebbe associato un rischio di mortalità dell'86,4%.
In ordine poi alla radiografia dell'addome, la difesa faceva presente che, ancorché non fosse stato rinvenuto il referto, non risultava che la stessa non fosse stata effettuata, né poteva dirsi che il suo esito non fosse stato valutato dal Br. perché questi non ne aveva parlato. Le lacune emerse in cartella clinica peraltro non dimostravano che relazione ed esami non fossero stati effettuati. Faceva ancora rilevare che, per quanto riguardava il predetto Br., lo stesso non era stato l'operatore né era presente al momento dell'intervento chirurgico. Non, pareva condivisibile la tesi del giudice secondo cui il Br. avesse concorso nel formare la convinzione della dottoressa Ce.. La stessa non aveva agito in dipendenza di una precedente indicazione del primario; il paziente le era stato presentato quel giorno dal dr. Be., che svolgeva le veci del primario, essendo questi assente. Il Be. non riferì alla Ce. la valutazione del primario circa la necessità di un intervento. Egli aveva fatto una rivalutazione della situazione ed aveva deciso per l'intervento, decisione condivisa dalla Ce.. Non risultava che la Ce. fosse a conoscenza dell'indicazione data in precedenza dal Br..
Con motivi aggiunti la difesa insisteva sull'assenza di cooperazione colposa tra il Br. e la Ce.. Si sosteneva da parte della difesa che fosse rilevante il fatto che il Va. avesse rifiutato di sottoscrivere il consenso il giorno 3 ottobre: pertanto l'indicazione dell'intervento data dal primario era rimasta senza effetto. Peraltro, non risultava che l'imputato, saputo del rifiuto del paziente di firmare il consenso informato, avesse dato disposizioni ai collaboratori di insistere nelle stesse indicazioni terapeutiche.
La rivalutazione della situazione era stata fatta il successivo giorno 4 ottobre dalla Ce. e non vi era la prova - si sosteneva sempre nei motivi aggiunti - che la stessa avesse tenuto conto di indicazioni del primario, che, peraltro erano state fatte il giorno prima, né poteva pensarsi ad influenza di tipo gerarchico delle indicazioni espresse dal medesimo.
Lo stesso dr. Be. aveva parlato di un'autonomia, in assenza del primario, del singolo operatore nelle scelte di intervento.
In ordine poi alla decisione di intervenire adottata dalla Ce., la difesa sosteneva come la stessa fosse corretta in relazione alla situazione patologica presente in quel momento. Come affermato dal prof. Gr., si poteva cadere nell'atto omissivo o nell'atto commissivo con la stessa facilità. In quella situazione l'intervento non presentava rischi, mentre, al contrario, sarebbe stato altamente rischioso qualora fosse sopraggiunta una complicanza, come facilmente sarebbe potuto accadere, attesa la tipologia del paziente. In ogni caso lo stesso prof. Ba., consulente di parte civile, aveva rilevato che il diabete e la terapia che il Va. assumeva erano elementi che aumentavano in modo reale e concreto il rischio di perforazione, che però era un rischio basso. Gli esami ematochimici.
peraltro erano resi inattendibili dal farmaco antitumorale assunto dal paziente, cosicché la presenza di diminuzione di leucociti, che era stata letta quale miglioramento delle condizioni del paziente, non aveva un peso di rilevo.
All'odierna udienza le parti concludevano come da verbale.
Motivi della decisione
Osserva la Corte come debba essere confermata la sentenza in ordine alla statuizione relativa alla penale responsabilità degli imputati.
Va in ogni caso sottolineato come in questo caso la questione posta all'attenzione del Collegio non sia la imperizia nell'effettuazione dell'intervento chirurgico di resezione colica, ma unicamente la scelta di effettuazione dell'intervento, laddove molti fattori si ponevano in contrasto con tale soluzione e consigliavano piuttosto il mantenimento di un trattamento conservativo. Il problema si pone perché
l'intervento ha rappresentato sostanzialmente la causa del decesso del Va., avvenuto alcuni mesi dopo.
Sul punto in realtà non vi è contestazione delle parti.
I consulenti tecnici del PM. hanno rilevato più specificamente come il decesso fosse da attribuire ad una condizione di MOF, (acronimo cha sta per "Multi Organ Failure" o insufficienza Multi organo), secondaria da una condizione di shock settico, determinato, a sua volta, da un ascesso peritoneale e da una fistola entero-colica, evidenziati, entrambi alla laparotomia effettuata una settimana prima del decesso; appariva più che plausibile che l'ascesso e la fistola fossero insorti come conseguenza di una parziale deiscenza dell'anastomosi colo-rettale tamponata da fenomeni adesivi tra la parte di un'ansa ileale e la regione anastomotica.
Per i consulenti sussiste un nesso causale tra la morte del Va. e l'intervento chirurgico di resezione del colon sinistro. I consulenti non hanno rilevato imperizia nell'esecuzione dell'intervento; gli stessi, tuttavia, hanno criticato l'indicazione chirurgica, per di più con carattere d'urgenza, per il trattamento
della diverticolite del sigma, patologia di cui il Va. era affetto e che ne aveva determinato il ricovero, a seguito di un episodio di riacutizzazione. Hanno fatto presente come, in particolare, fosse mancata una diagnostica (TAC, o quanto meno un'ecografia addominale) che avrebbe permesso di evidenziare la presenza di una complicanza perforativa della diverticolite. Inoltre l'andamento degli indici infiammatoli non era suggestivo di una complicanza in atto o di un'evoluzione peggiorativa della situazione clinica. Al contrario non erano emersi profili di colpa da parte dei medici nel trattamento post operatorio. Sulla stessa linea si è attestato il CT di parte civile.
Al contrario il CT della difesa ha sostenuto come la TAC e l'esame ecografico non sarebbero stati idonei a indicare la presenza di una perforazione; tali esami avrebbero potuto evidenziare un ispessimento della parete, ma era la perforazione conclamata con fuoriuscita di materiale fecale e peritonite stercoracea che si voleva evitare.
In ogni caso il CT della difesa ha rilevato come un'ulteriore attesa avrebbe sicuramente aggravato la situazione clinica del Va., portando all'intervento un paziente in cattive condizioni generali, aumentando il rischio di complicanze.
La Corte fa presente che, all'esito delle risultanze processuali, sia emerso in modo inequivoco come la scelta di procedere chirurgicamente si fosse, sin dall'inizio, rivelata inopportuna, alla luce della situazione che venne riscontrata nel corso dell'operazione di resezione e all'esito dell'esame istologico effettuato; è emerso che il paziente all'atto dell'intervento (come ha ammesso, peraltro, la stessa dr.ssa Ce.) non presentasse perforazioni, ma unicamente un ispessimento della parete intestinale, segno di un'infiammazione in atto.
L'indicazione all'intervento chirurgico di urgenza doveva ritenersi non corretta in relazione al fatto che si trattasse del primo episodio acuto di diverticolite (la letteratura in merito è nel senso che l'indicazione all'intervento si abbia solo dopo ripetuti episodi acuti), che la situazione non presentasse complicanze in atto che giustificassero la soluzione chirurgica (e comunque senza il compimento di accertamenti specifici finalizzati a documentarne la presenza), in soggetto affetto da comorbilità importanti, e quindi sottoposto ad un rischio maggiore in caso di operazione; pertanto, la scelta di intervenire chirurgicamente, nella situazione testé evidenziata, è da ritenersi sicuramente non corretta.
Ciò che appare fondamentale e che connota come colposa la condotta degli imputati (sotto il profilo della negligenza e dell'imprudenza) è che sia il Br. che la Ce., nel decidere per una soluzione chirurgica, abbiano disatteso l'indicazione dei nuovi esami, senza che fossero annotate ulteriori indicazioni che attestassero un'evoluzione negativa della situazione. Tutto ciò è censurabile, atteso che già l'esame della cartella clinica evidenziava che la terapia differenziale veniva annotata solo il 3 Ottobre.
Rileva la Corte come la valutazione circa l'indispensabilità o meno della TAC e dell'esame ecografico (su cui vi è disaccordo tra i consulenti delle parti) rappresenti semplicemente un aspetto della condotta complessiva dei due imputati, e neppure il più importante, che si è contraddistinta par una sostanziale mancata analisi di tutti i segnali dell'evoluzione clinica delle condizioni del paziente. Appare emblematico che nulla sia indicato nella cartella clinica relativamente al giorno 4 ottobre in cui venne effettuato l'intervento. Ancora più significativo è il fatto che il precedente 3 ottobre fosse annotato in cartella che il paziente riferiva di avere dolori addominali e che fosse stata richiesta una radiografia dell'addome; ebbene, non solo non è stato rinvenuto il referto, ma non risulta che gli imputati lo abbiano visionato.
Ora, non si può convenire con la difesa che ha sostenuto nell'atto di gravame che, sebbene non fosse stato rinvenuto il referto, non poteva dirsi che l'esame radiografico non fosse stato effettuato, né poteva dirsi che il suo esito non fosse stato valutato dal Br.; ugualmente non si può accogliere la tesi secondo cui le lacune emerse in cartella clinica non dimostrerebbero il mancato compimento di ulteriori esami.
Tutto ciò postula che la Corte debba compiere una valutazione che prescinda dai dati obiettivi e si ponga in un'ottica di mera ipotesi.
Il fatto obiettivo, in realtà, è l'assenza di qualsivoglia dato nella cartella clinica: che tale fatto sia frutto di negligenza non sposta i termini della questione; ciò che non risulta in un atto pubblico non può ritenersi come avvenuto. Invero, la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità: trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi (Cass. Sez. V, 26.11.1997 n. 1098, PM. in proc. Noce e altro); l'atto, in sostanza, esce al tempo stesso dalla disponibilità del suo autore ed acquista carattere di definitività, per cui tutte le successive modifiche, aggiunte, alterazioni e cancellazioni integrano falsità in atto pubblico (Cass. Sez. V 17.2.2004 n. 13989, Ca.).
In sostanza, ciò che emerge in modo inequivoco è che non vi stato un continuo e stretto monitoraggio del paziente. Secondo quanto emerge dalla cartella clinica (sul cui valore si è già detto), questo stretto monitoraggio non sarebbe stato effettuato dalla mattina del 3 alla sera del 4 ottobre. Il c.d. "differenziale" tra la temperatura rettale e quella ascellare non risultava più effettuato dopo il mattino del 3 e la temperatura ascellare, nell'ultima rilevazione, risultava addirittura in diminuzione (segno evidente di un "miglioramento"); il c.d. "segno di Blumberg" non risultava monitorato, mentre al contrario doveva essere oggetto di controllo con intervalli regolari e ristretti.
Ora, non vi è dubbio che tale condotta omissiva presenti profili di colpa non indifferente.
In ordine alla contestazione, rileva la Corte come sussista a tutti gli effetti l'ipotesi
di cooperazione colposa.
Il tentativo di scindere la posizione del Br. da quella della Ce. Non ha obiettivamente fondamento alcuno.
Invero, la scelta di intervento della Ce. non è nuova e diversa dall'indicazione data dal Br.; la stessa avrebbe potuto ritenersi nuova solo
se fossero intervenuti, dopo l'indicazione del primario, fatti nuovi e diversi, ovviamente più gravi, il giorno 4 ottobre. Ma così non è avvenuto. E proprio l'asserita e dedotta autonomia di giudizio e di scelta di intervento fatta valere dalla Ce. corrobora ancor più il giudizio di responsabilità della sua condotta.
Il Br., peraltro, per il fatto di non avere partecipato all'intervento, non può ritenersi esente da responsabilità.
Egli aveva dato un'indicazione precisa e chiara, optando per un'indicazione chirurgica di urgenza laddove molti elementi, come si è detto, facessero preferire una scelta medica di tipo conservativo, ponendo peraltro la questione in termini di urgenza e cercando di ottenere la sottoscrizione del consenso all'intervento dal paziente.
La difesa ha sostenuto che il fatto che il Va. avesse rifiutato di sottoscrivere il consenso all'intervento il giorno 3 ottobre avrebbe privato di qualsiasi effetto l'indicazione alla via chirurgica da seguire data dal primario; la stessa difesa ha rilevato come non vi fosse la prova che, sul rifiuto del paziente di sottoscrivere il commesso, il Br. avesse dato disposizioni ai collaboratori di insistere nelle stesse indicazioni terapeutiche.
La tesi è suggestiva ma non può essere accolta.
È indubbio che il Br. fosse assente il 4 ottobre; questo tuttavia - a maggior ragione per la situazione, che egli stesso aveva ritenuto di particolare urgenza, al punto da mettere in moto il giorno precedente la procedura per ottenere il c.d. "consenso informato" in relazione ad un intervento imminente non lo esonerava dalla vigilanza a cui era obbligato proprio per l'indicazione chirurgica data.
Circa poi il rapporto tra le condotte dei due imputati, ciascuna delle quali mantiene una propria autonomia e rilevanza giuridica, la Corte condivide pienamente le argomentazioni del primo giudice, avvalorate da specifici richiami ad arresti giurisprudenziali, facendole proprie.
Il motivo principale del gravame, pertanto, non può essere accolto.
Viceversa va accolto il motivo relativo al trattamento sanzionatorio.
Tenuto conto dell'intervenuta revoca della parte civile, che dimostra quantomeno
un'avvenuta transazione in ordine alle pretese risarcitorie, ritiene la Corte che la pena possa essere diminuita in considerazione proprio dei criteri di cui all'art. 133 cp..
Ciò premesso, tenuto conto delle già concesse attenuanti generiche, si reputa conforme a giustizia fissare la pena in mesi cinque di reclusione per ciascuno (pena base: mesi sette e giorni quindici, ridotta ex art. 62 bis cp. alla misura sopra indicata).
La sentenza impugnata va confermata nelle ulteriori statuizioni.
P.Q.M.
La Corte
visto l'art. 605 cpp.
In parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 13.6.2008, appellata dagli imputati Br.Gi. e Ce.Li.,
Riduce
la pena inflitta agli stessi a mesi cinque di reclusione ciascuno;
Conferma nel resto l'impugnata sentenza.
Così deciso in Milano, il 23 aprile 2009.
Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.