14.03.2015 free
Corte di Cassazione – Penale – (Controllo delle sostanze stupefacenti in ospedale)
Nel corso di un'ispezione dei Carabinieri NAS avvenuta nel 2010 all'interno del Pronto Soccorso di un Ospedale laziale, era stata accertata la presenza di n. 18 fiale di morfina cloridrato a fronte delle 17 riscontrate in giacenza contabile. Il dirigente medico responsabile veniva condannato alla pena dell’ammenda di 1200 euro per non aver ottemperato alle norme sulla tenuta dei registri di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope.
Nel procedimento si rilevava che nessuna movimentazione delle fiale in entrata o in uscita si era verificata nelle 24 antecedenti il controllo operato dai NAS, il che evidenzia che il mancato controllo da parte del dirigente medico, protrattosi oltre il periodo di tolleranza, aveva comportato l'elusione della finalità delle norme in materia.
Cassazione Penale – sez. IV; Sentenza N. 9168 del 02.03.2015
omissis
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 28.2.2012 il Tribunale di Rieti condannava il dott. M.F. alla pena di 1.200 Euro di ammenda per violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 60 e 68, per non aver ottemperato alle norme sulla tenuta dei registri di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope perchè, nel corso di un'ispezione dei Carabinieri NAS del 27.9.2010 all'interno del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Rieti (di cui l'imputato era Dirigente Medico Responsabile), era stata accertata la presenza di n. 18 fiale di morfina cloridrato a fronte delle 17 riscontrate in giacenza contabile.
2. Avverso la sentenza del tribunale proponeva ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, e la corte di cassazione, con sentenza n. 8058 pronunciata il 20.2.2013, annullava la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Rieti sul rilievo che, ribadito che il dirigente medico preposto all'unità operativa era il responsabile di tale corrispondenza e quindi era penalmente responsabile ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 60 e 68, tuttavia, poichè era previsto un termine di tolleranza di 24 ore per procedere alla registrazione della movimentazione, era necessario, ai fini di una declaratoria di responsabilità, che si dimostrasse che la movimentazione non registrata era avvenuta oltre il suddetto termine.
3. Il tribunale di Rieti, investito del giudizio di rinvio, condannava l'imputato alla pena di 1.200 Euro di ammenda rilevando che sussisteva la contravvenzione contestata, punibile a titolo di colpa per mancato controllo tra la quantità in giacenza e quella registrata, non trovando applicazione l'ipotesi prevista dall'art. 68, comma 1 bis, che, secondo la giurisprudenza, si intendeva limitata al contesto formale della registrazione, cioè alle sole violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri.
Peraltro all'imputato era già stata irrogata la sanzione amministrativa per la tenuta irregolare dei registri a norma dell'art. 68, comma 1 bis. Osservava il tribunale che era certa la discordanza tra giacenza contabile e materiale della morfina in quanto il teste P.M., in forza al nucleo NAS di Viterbo, aveva riferito di aver partecipato all'attività ispettiva del 27.9.2010 nel corso della quale era stato rilevato il fatto costituente reato ed aveva constatato che non vi era stata alcuna consegna di morfina delle ultime 24 ore poichè l'ultima consegna risaliva al 14.9.2010 per un quantitativo di 20 fiale. Il 24.8.2010 risultavano in carico 8 fiale, cui si aggiungevano le 20 fiale consegnate il 14.9.2010, mentre risultavano essere state utilizzate 11 fiale, sicchè, secondo i registri contabili, avrebbero dovuto essere custodite 17 fiale e non le 18 rinvenute.
4. Ricorreva per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, svolgendo tre motivi di doglianza.
4.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il giudice del rinvio non aveva chiarito quale fosse stato il fatto generatore della discrepanza tra consistenza reale e contabile delle fiale di morfina e se la discrepanza stessa avesse avuto luogo prima delle 24 ore anteriori all'accertamento, indicato dalla corte di cassazione come termine di tolleranza per procedere alla registrazione delle movimentazioni.
4.2. Con il secondo motivo deduceva illogicità della motivazione in quanto, essendo stata rinvenuta una sola fiala di morfina in eccesso rispetto a quelle contabilizzate, si doveva ritenere mancasse l'offensività specifica del fatto e si vertesse in tema di reato impossibile a norma dell'art. 49 cod. pen..
4.3. Con il terzo motivo formulava una eccezione di costituzionalità della norma per violazione del principio di ragionevolezza in quanto non era ragionevole far carico al dirigente medico del reparto di pronto soccorso, la cui attività precipua era volta a salvare le vite umane, di controllare continuamente il registro di carico e scarico.
Deduceva, poi, questione di costituzionalità della norma per contrasto della norma incriminatrice con l'art. 6 Cedu poichè lo stesso fatto era sanzionato sia penalmente che in via amministrativa.
Motivi della decisione
5. Rileva la corte che il primo motivo di ricorso è infondato.
Invero il tribunale, attenendosi al principio di diritto enunciato dalla corte di legittimità, ha rilevato che nessuna movimentazione delle fiale in entrata o in uscita si era verificata nelle 24 antecedenti il controllo operato dai NAS, il che evidenzia che il mancato controllo da parte del dirigente medico, protrattosi oltre il periodo di tolleranza, ha comportato l'elusione della finalità della norma dell'art. 60, che è quella di rendere operativo il sistema di controllo del movimento dei farmaci, contenenti sostanze ad effetto stupefacente, garantendo la ricostruzione documentale ed assicurando in tempo reale la dinamica degli spostamenti e delle presenze dei farmaci custoditi nella farmacia.
6. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato. Ciò in quanto il ricorrente ha affermato, nella sostanza, che l'azione, pur corrispondendo alla fattispecie tipica descritta dal legislatore, non era punibile perchè non offendeva l'interesse tutelato dalla norma perchè la discrepanza tra la quantità contabile e quella reale aveva riguardato una sola fiala di morfina. Sennonchè, come già osservato dalla corte di legittimità con la sentenza di annullamento con rinvio, la finalità della norma dell'art. 60 è quella di rendere operativo il sistema di controllo del movimento dei farmaci, contenenti sostanze ad effetto stupefacente, garantendo la ricostruzione documentale (la cd. tracciabilità), ed assicurando in tempo reale (e non alle scadenze solari) la dinamica degli spostamenti e delle presenze dei farmaci custoditi nella farmacia. In tale senso depongono le plurime cautele, fissate dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 60, comma 1, appunto per "tenere in evidenza" il movimento di entrata ed uscita, quali: la specialità del registro;
l'ordine cronologico delle sue annotazioni (che non si concilia con la affermata annualità delle scadenze, sostenuta nel ricorso ai fini della insussistenza del reato);
la progressione numerica unica per ogni tipo di sostanza o di medicinale; l'assenza di lacune, abrasioni od aggiunte nelle relative annotazioni.
Tutto ciò considerato, anche la minima discrepanza tra quantità contabile e reale costituisce lesione del bene giuridico protetto.
7. In ordine al terzo motivo di ricorso, si osserva che la questione di costituzionalità prospettata con riguardo al parametro dell'irragionevolezza è manifestamente infondata, considerato che la norma, che individua nel dirigente medico il responsabile del controllo dei registri di carico e scarico, non tiene conto degli eventi non registrati verificatisi nelle 24 ore antecedenti il controllo da parte degli agenti proprio in considerazione del fatto che è stata ritenuta l'impossibilità del medico, il cui compito precipuo è quello di far fronte alle emergenze sanitarie, di procedere al controllo continuo dei registri.
Il ricorrente pone, poi, la questione di costituzionalità per violazione del precetto di cui all'art. 117 Cost., comma 1, considerato il rango di fonti interposte integratrici del precetto costituzionale riconosciuto alle norme Cedu, così come interpretate dalla corte di Strasburgo. Sostiene il ricorrente che, a seguito della modifica introdotta dalla L. 15 marzo 2010, n. 38, art. 10, comma 1, lett. r), che ha aggiunto al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 68, il nuovo comma 1 bis, secondo cui "qualora le irregolarità riscontrate siano relative a violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma 1, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 500 a Euro 1.500", il fatto dell'irregolare tenuta dei registri viene ad essere sanzionato due volte, con l'irrogazione di una pena ed anche di una sanzione amministrativa.
La norma si porrebbe, dunque, in conflitto con il precetto costituzionale, art. 117, che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, dovendosi considerare che la corte CEDU, con la sentenza Grande Stevens pronunciata il 4 marzo 2014 ha affermato il principio dell'equiparazione, ai fini del ne bis in idem, del giudicato amministrativo al giudicato penale. Ha affermato la corte di Strasburgo che, dopo che nei confronti di una società sono state comminate sanzioni amministrative dalla Consob ed esse siano divenute definitive, l'avvio di un processo penale sugli stessi fatti viola il principio giuridico del ne bis in idem. Ciò in quanto, anche se il procedimento innanzi alla Consob è amministrativo, le sanzioni inflitte possono essere considerate a tutti gli effetti come sanzioni penali, considerata la loro natura repressiva e l'eccessiva severità delle stesse, sia per l'importo che per le sanzioni accessorie, oltre che per le loro ripercussioni sugli interessi del condannato.
Pertanto il sistema del doppio binario (configurabilità di una forma cumulativa del reato e dell'illecito amministrativo per i medesimi fatti) previsto dagli artt. 184 e seguenti TUF viola il principio del ne bis in idem. La corte ha affermato che la piena sovrapponibilità sul piano della tipicità del bene giuridico protetto (la trasparenza del mercato) e dell'obiettivo perseguito (repressione degli abusi di mercato) tra la disciplina di carattere amministrativo e quella dell'illecito penale comporta la violazione del principio del ne bis in idem previsto dall'art. 4 del protocollo 7 allegato alla CEDU. Peraltro tale estensione della sfera applicativa del ne bis in idem non opera in via generale ma solo nelle ipotesi in cui la procedura amministrativa sfoci in un provvedimento particolarmente afflittivo e la decisione sia divenuta definitiva. Al proposito la corte di Strasburgo ha affermato di ritenere prevalente la sostanza delle sanzioni sulla loro forma: la reale natura delle misure sanzionatorie previste negli ordinamenti nazionali viene apprezzata alla luce delle loro concrete peculiarità e conseguenze e non in forza della mera qualificazione giuridica ad esse riconosciuta; occorre analizzare, dunque, i parametri idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato provvedimento secondo i criteri già espressi con la sentenza Engel c. Paese Bassi dell'8.6.1976, ovvero la qualificazione dell'infrazione, la natura dell'infrazione e l'intensità della sanzione comminata.
Ciò posto, va considerato che, secondo quanto precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 349 del 22.10.2007, al giudice spetta di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile o sussista il dubbio della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, il giudice deve investire la Corte Costituzionale della questione di legittimità rispetto al parametro dell'art. 117 Cost., comma 1.
Ora, è stato precisato dalla corte di legittimità che la depenalizzazione del reato di irregolare tenuta del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 68, comma 1 bis) deve intendersi limitata al contesto formale della registrazione, ossia alle sole violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri; e che la stessa depenalizzazione non incide sui fatti riguardanti il contenuto dichiarativo dei registri ed in particolare sui dati relativi alla non corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale, essendo configurabile, in tal caso, il reato di cui all'art. 68, comma 1, del medesimo d.p.r. (ex pluribus, Sez. 4, n. 49097 del 07/11/2013, Zelli, Rv. 257654).
Il problema interpretativo che si pone consiste, dunque, nel considerare se le due norme (art. 68, comma 1 e art. 68 comma 1 bis) configurino un concorso apparente di norme, che si verifica quando la medesima condotta criminosa risulta, solo in apparenza, riconducibile a più fattispecie di reato ma nella realtà ne integra una solo, o se, invece, esse sanzionino fatti diversi.
Invero solo nel primo caso (concorso apparente di norme), si potrebbe ritenere che il principio espresso dalla corte di Strasburgo con la sentenza Grande Stevens abbia una ricaduta nel senso che, essendo già stata applicata la sanzione amministrativa, nell'irrogare la sanzione penale si incorrerebbe nel divieto del bis in idem.
Ma, proprio attingendo alla condivisibile interpretazione data dalla corte di legittimità alle norme di cui si tratta, va escluso si tratti di concorso apparente di norme poichè il comma 1 ed il comma 1 bis dell'art. 68 sanzionano fatti diversi, laddove la sanzione amministrativa è comminata per le sole violazioni formali riscontrate nella tenuta dei registri mentre la pena è prevista nel caso in cui, sussista o meno la violazione formale, si riscontra la mancata corrispondenza tra giacenza contabile e giacenza reale.
E neppure sussiste un rapporto di specialità per aggiunta tra la norma penale e la norma amministrativa, considerato che la mancata corrispondenza tra la quantità contabile e quella reale non presuppone necessariamente l'irregolarità formale della tenuta dei registri (si veda, per una approfondita analisi del concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010 - dep. 21/01/2011, P.G. in proc. Di Lorenzo, Rv. 248722).
Dunque neppure sotto tale profilo si configura una duplicazione della sanzione poichè non sussiste la coincidenza necessaria, nemmeno parziale, della condotta.
Tutto ciò considerato, vertendosi nel caso in cui la norma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 68, comma 1, regola materia diversa da quella cui si riferisce il comma 1 bis, appare manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata con riguardo al parametro dell'art. 117 Cost., comma 1.
Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2015