02.02.2006 free
TRIBUNALE di MONZA - (richiesta di danni conseguente a comportamento imprevedibile del paziente; strutture con aree chiuse a chiave)
§ - La circostanza che un ospedale disponga di aree nelle quali i pazienti possono chiudersi a chiave, o comunque sottrarsi all'accesso del personale sanitario puo' essere sufficiente ad escludere la colpa dei responsabili della struttura laddove l'episodio (suicidio di paziente con disturbi psichici) avviene in un reparto, nel caso di specie quello di Chirurgia, che non e' per sua natura destinato ad ospitare pazienti con disagi psichiatrici, che rendano verosimile e prevedibile, secondo id quod plerumque accidit, il rischio di un suicidio, ed inducano a prevenire che i degenti possano sottrarsi al controllo dei sanitari (www.dirittosanitario.net)
Trib. Monza, 08-07-2005
omissis
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 18 febbraio 2002 C.M. e D.R. hanno citato la AZIENDA OSPEDALIERA O. dinanzi a questo Tribunale, esponendo: che il 2 novembre 1999 G.R., convivente della prima e padre della seconda, si era recato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile di Vimercate in preda ad una "psicosi acuta"; che il personale addetto all'accettazione dei pazienti era stato messo immediatamente al corrente di tale sua condizione; che, ciò nonostante, il personale ospedaliero non aveva vigilato sul R., il quale era riuscito ad introdursi in un'area non aperta al pubblico e a gettarsi nel vuoto, perdendo la vita. Hanno chiesto il risarcimento dei danni morali e patrimoniali da esse subiti in ragione di tale avvenimento.
La AZIENDA OSPEDALIERA O. (A.O.), costituitasi in giudizio, si è opposta all'accoglimento della domanda affermando: che l'atto di citazione era nullo per insufficiente esposizione dei fatti posti a base della domanda; che il personale della struttura sanitaria si era comportato con la dovuta diligenza, e che l'episodio era avvenuto a seguito di un comportamento imprevedibile del R., al quale pure il personale sanitario aveva tentato di rimediare, senza riuscirvi; che non sussistevano, di conseguenza, profili di responsabilità contrattuale o extracontrattuale; che il danno di cui le attrici pretendevano il risarcimento non era stato da esse determinato; che, comunque, la domanda era infondata sia con riferimento al danno patrimoniale che a quello morale.
In data 11 febbraio 2003 è intervenuta nel giudizio F.R., altra figlia di G.R., svolgendo le medesime richieste di danni avanzate dalle attrici nei confronti della convenuta. Nel corso del procedimento è stato espletato l'esame di testimoni. All'udienza del 17 marzo 2005 le parti hanno precisato le conclusioni così come in epigrafe trascritte, e il Giudice si è riservato la decisione fissando il 6 giugno 2005 come termine per il deposito delle memorie di replica.
Motivi della decisione
Conviene precisare che il profilo di responsabilità addebitato alla convenuta dalle attrici nell'atto di citazione, al quale ha fatto riferimento anche la terza intervenuta e che costituisce la causa petendi della domanda in esame, consiste nel fatto che il sig. G.R. "non veniva vigilato né seguito dal personale ospedaliero, tanto che riusciva ad introdursi in un'area non aperta al pubblico accesso e si gettava nel vuoto, perdendo la vita" (cfr. atto di citazione). Siffatta attribuzione di responsabilità costituisce sufficiente specificazione dei fatti posti a fondamento dell'azione, cosicché l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo merita di essere respinta.
La responsabilità dedotta va qualificata sub specie di illecito aquiliano, ossia ai sensi dell'art. 2043 c.c. A tale conclusione deve giungersi laddove si consideri che le attrici e la terza intervenuta hanno lamentato un danno, di natura patrimoniale (per spese funerarie e per mancato godimento di parte del reddito che il R. avrebbe percepito) e morale, da esse subito iure proprio, ossia in maniera diretta, e non iure hereditario, ossia per essere succedute nel diritto al risarcimento (in ipotesi) precedentemente sorto in capo al loro dante causa. Ne consegue che la fonte del danno in questione non può essere ravvisata nel rapporto contrattuale intercorso, al momento dell'accettazione in Ospedale, tra il R. e la struttura sanitaria (Cass. 8 marzo 1979, n. 1716; Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. 26 marzo 1990, n. 2428; Cass. 13 marzo 1998, n. 2750), dal momento che a tale rapporto, le odierne danneggiate sono rimaste estranee, ed insensibili ai relativi effetti secondo l'art. 1372 c.c.
Ne consegue che il parametro giuridico per valutare la responsabilità del personale sanitario - e, ai sensi dell'art. 28 Cost., della struttura ospedaliera pubblica alle dipendenze della quale essi operavano - è quello di cui all'art. 2043 c.c.
Alla luce di tale parametro, l'operato dei sanitari che hanno seguito il R. il giorno del suo decesso, siccome emerso in corso di istruttoria, si presenta esente da rimproveri di colpa. I fatti oggetto di causa possono essere così ricostruiti:
- il R. è stato condotto dall'attrice M., unitamente a tali B.C. e G.V., presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale perché fosse sottoposto a visita psichiatrica urgente (cfr. dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria dall'attrice M., doc. 2.6 fasc. convenuta);
- dopo circa dieci minuti, su segnalazione del personale infermieristico, sono sopraggiunti i due psichiatri dott. G.R. e dott. B.F., che hanno trovato il R. sulla scala di servizio che conduce ai piani superiori dell'Ospedale, in stato di alterazione psichica ed in presenza della moglie; il R. aveva iniziato a manifestare tale alterazione in attesa dell'arrivo dei medici (cfr. doc. 2.6 fasc. convenuta); questi hanno invitato il R. a recarsi nel locale destinato ai colloqui psichiatrici e a sottoporsi a terapia, inutilmente; a quel punto uno dei due, il dott. F., è rimasto con il paziente e la moglie, mentre il dott. R. si è recato presso il Pronto Soccorso per dare ordine di preparare un calmante, al fine di praticare un Trattamento sanitario obbligatorio (cfr. dichiarazioni rese alla P.G. dai due psichiatri, doc. 2.7 fasc. convenuta, ed esame del teste R., p.v. 11 febbraio 2004; cfr. altresì esame dei testi R., p.v. 10 novembre 2004, e M., p.v. 3 febbraio 2005);
- in quel momento il R. si è sottratto al controllo della moglie e del dott. F. (cfr. doc. 2.6 fasc. convenuta: "... in quel momento aveva una reazione di forza, riusciva a divincolarsi da noi e dai medici e saliva al terzo piano..."); - il dott. F. ha seguito il R. mentre saliva le scale e si recava sul terrazzino comunicante con il corridoio del reparto di Chirurgia dell'Ospedale; poiché la porta di tale reparto era chiusa, non è riuscito a raggiungerlo prima che si gettasse dal detto terrazzino, cadendo sul sottostante tetto del Pronto Soccorso (cfr.: doc. 2.7 fasc. convenuta; esame dei testi S. e R., p.v. 11 febbraio 2004).
Orbene, va rilevato che l'operato del personale sanitario intervenuto nel momento in cui il R. manifestava segni di alterazione, ossia dei due psichiatri (restando irrilevante quello del personale che eventualmente sia entrato in contatto con lui in precedenza), è stato corretto ed improntato alla dovuta prudenza. Infatti, i due medici hanno fatto quanto era nelle loro possibilità per evitare che detta alterazione potesse portare il R. a compiere gesti pericolosi. In primo luogo, hanno cercato di convincerlo a sottoporsi volontariamente ad un trattamento terapeutico. Non essendovi riusciti, soltanto uno dei due si è allontanato per predisporre il trattamento obbligatorio, mentre l'altro è rimasto a sorvegliare il paziente, in presenza, altresì, della moglie. In tale contesto, come ha riconosciuto la stessa attrice M., la fuga del R. verso i piani superiori è stata possibile solo attraverso un atto di forza, ossia un vero e proprio divincolamento, a fronte di un tentativo di trattenimento che ha visto coinvolto anche il dott. F. Quest'ultimo, infine, ha cercato di raggiungere il paziente mentre si allontanava.
Deve ritenersi, in conclusione, che i due sanitari abbiano agito correttamente, e che non possano muoversi ai medesimi addebiti di negligenza, imprudenza o imperizia suscettibili di far apparire fondata la domanda di risarcimento. Al tempo stesso, va escluso il nesso di causalità tra l'operato dei medici e l'evento poi verificatosi, posto che quest'ultimo dev'essere imputato unicamente alla repentina condotta del R., di fronte alla quale l'esercizio della vigilanza non ha costituito rimedio sufficiente.
Infine, con riguardo alla censura mossa dalle attrici al fatto che l'Ospedale disponesse di aree nelle quali i pazienti potevano chiudersi a chiave, o comunque sottrarsi all'accesso del personale sanitario (con riferimento al fatto che il dott. F. abbia trovato la porta chiusa), si osserva che la colpa dei responsabili della struttura è esclusa dal fatto che il reparto in cui è avvenuto l'episodio, ossia quello di Chirurgia, non è per sua natura destinato ad ospitare pazienti con disagi psichiatrici, che rendano verosimile e prevedibile, secondo id quod plerumque accidit, il rischio di un suicidio, ed inducano a prevenire che i degenti possano sottrarsi al controllo dei sanitari. L'episodio de quo, in sostanza, per le concrete modalità del suo svolgimento, ha costituito un'evenienza eccezionale.
In ultima analisi, la domanda va rigettata. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Non si dispone la cancellazione della frase contenuta nella penultima e nell'ultima riga del penultimo capoverso di pagina 2 della comparsa conclusionale di parte attrice e della terza intervenuta, siccome richiesto dalla convenuta nella memoria di replica, poiché non vi sono gli estremi delle espressioni sconvenienti od offensive di cui all'art. 89 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale di Monza, in funzione di giudice unico di primo grado, definitivamente decidendo la causa in epigrafe descritta, così provvede:
1) rigetta la domanda proposta dalle attrici;
2) rigetta la domanda proposta dalla terza intervenuta;
3) condanna le attrici e la terza intervenuta, in solido, a rimborsare alla convenuta le spese del giudizio, che per l'intero liquida in complessivi Euro 20.681,35 di cui Euro 5.412,56 per diritti, Euro 14.591,48 per onorari ed il resto per spese, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Monza il 4 luglio 2005.
Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2005.