23.05.2005 free
TAR VENETO - ( limiti alla autorizzazione di cure all'estero)
§ - La forma di assistenza proposta dall' art. 2 del D.M. Sanita' 3 novembre 1989 costituisce un’eccezione, dovendosi presumere che, ordinariamente, la Sanità nazionale sia nel suo complesso, in grado di fornire prestazioni corrispondenti agli standard dei Paesi più avanzati: il diniego alla effettuazione delle cure all'estero, sarà legittimo ogni volta che l’organo competente fornisce in tal senso argomenti sufficientemente circostanziati, in relazione alle peculiarità del caso.
Incomberà in tal caso all’interessato offrire, nei limiti della sua disponibilità, un adeguato principio di prova, tale cioè da far almeno dubitare della conclusione raggiunta dall’Amministrazione, sì da indurre il giudice, in relazione alle peculiarità delle fattispecie, ad annullare senz’altro il diniego, ovvero a disporre specifiche verifiche circa l’adeguatezza e la tempestività della prestazione medica in questione. La norma citata , non ha lo scopo di favorire le predilezioni soggettive di un paziente, ma quello di limitare il pregiudizio economico che all’assistito derivi da specifiche obiettive carenze del Servizio sanitario (www.dirittosanitario.net)
Sentenza n.1119/05
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione
con l’intervento dei signori magistrati: Umberto Zuballi Presidente Angelo Gabbricci Consigliere - relatore Riccardo Savoia Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.3308/98, proposto da G.C. , rappresentata e difesa dall’ avv. G. Guzzardi, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, S. Croce 269, contro l’Azienda U.L.S.S. 10 - Veneto orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio e contro
il Centro regionale di riferimento ex d.m. 3 novembre 1989, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio per l’annullamento:
a) del provvedimento 19 agosto 1998, con cui il direttore sanitario dell’Azienda U.L.S.S. 10 - Veneto orientale, ha respinto la domanda della ricorrente di autorizzazione al trasferimento per cure all’estero; b) del provvedimento di analogo tenore del Centro regionale di riferimento; c) degli atti antecedenti, presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali ovvero comunque connessi.
nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente al trattamento sanitario all’estero, e la conseguente condanna dell’ Amministrazione resistente al pagamento di L. 6.213.901 (€ 3209,21), oltre interessi e rivalutazione dal pagamento al saldo. Visto il ricorso con i relativi allegati; visti gli atti tutti di causa; udito nella pubblica udienza del 17 febbraio 2005 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l’avv. Guzzardi per la ricorrente; ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Il 12 maggio 1998 pervenne all’ufficio convenzioni estero dell’Azienda U.L.S.S. 10, la domanda con cui GC chiedeva l’autorizzazione per il trasferimento per cure all’estero presso l’ospedale oftalmico di Losanna in Svizzera.
Nel referto, formato da uno specialista di oculistica presso la stessa A.L.S.S. 10, e datato al giorno precedente, si esponeva che la C., cieca dell’occhio destro a causa di un tumore, era affetta da glaucoma cronico semplice all’occhio sinistro, già operato nel gennaio 1998 presso lo stesso ospedale di Losanna, dove la paziente era seguita da anni: poiché, tuttavia, “il tono oculare” dello stesso occhio sinistro permaneva “elevato”, era stato proposto – non è indicato da chi – un ulteriore intervento (“ischemizzazione” o “sclerectomia profonda dei corpi ciliari”) che il referto qualifica complesso, e per il quale, conclude lo stesso documento, “presso la clinica di Losanna sono specialisti”.
Il 14 maggio, la richiesta della C. veniva trasmessa al competente Centro regionale di riferimento, presso l’Azienda U.L.S.S. 12 di Venezia e Mestre, dove il seguente 9 giugno la malata era sottoposta a visita specialistica. Peraltro, durante tale visita, come si desume dalla sua nota 12 giugno 1998, il medico - primario della locale divisione oculistica - accertava che l’interessata si era già sottoposta all’intervento presso l’ospedale di Losanna sin dal 18 maggio. Nella stessa nota, il primario segnalava di aver riferito alla paziente come “lo stesso tipo di intervento richiesto … è eseguibile presso la Clinica oculistica di Verona diretta dal prof. Luciano Bonomi esperto in glaucoma di fama quanto meno nazionale”; soggiungeva, inoltre, come si debba prendere atto che “in pazienti seguiti per importanti motivi di salute (specie quando si tratta di forme tumorali) presso centri specializzati, si crea un rapporto di fiducia molto particolare, per cui il paziente sceglie il medesimo centro anche per interventi più semplici senza informarsi adeguatamente sulle alternative”.
L’A.L.S.S. 10, ricevuta la comunicazione del 12 giugno, vi replicava il seguente 22 luglio, osservando come non fosse stato ancora chiarito se sussistessero, nel caso, le condizioni per rilasciare l’autorizzazione richiesta: e, a questo punto, lo stesso primario, nella nota 5 agosto 1998, precisava che il suo parere era negativo, essendo l’intervento in questione “eseguibile nella nostra regione in tempi compatibili con la normativa di legge”. Così, con la nota 19 agosto 1998, l’ Azienda U.L.S.S. 10 informava l’interessata che il Centro regionale aveva stabilito che non sussistevano le condizioni per rilasciarle l’autorizzazione a curarsi all’estero: e la C. proponeva allora il ricorso in esame, con cui ha chiesto sia l’annullamento della determinazione suddetta, sia la condanna dell’Amministrazione a versarle la somma di L. 6.213.901 (attualmente € 3.209,21) oltre accessori, pari a quanto da essa corrisposto alla clinica di Losanna.
Sebbene ritualmente intimati, né il Centro né l’Azienda U.L.S.S. 10 si sono costituiti in giudizio.
DIRITTO 1. Nell’unico motivo, rubricato nell’eccesso di potere per difetto di motivazione e genericità, nonché nella violazione dell’art. 3 l. 241/90 e dell’ art. 2 del d.m. 3 novembre 1989, si rappresenta come tale regolamento ministeriale preveda che i soggetti, assistiti dal Servizio sanitario nazionale, possono essere autorizzati dai Centri regionali di riferimento di recarsi all’estero per ricevere prestazioni mediche che non siano ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità italiani. Ora, secondo la ricorrente, nella fattispecie in esame, diversamente da quanto ritenuto dall’Amministrazione, sarebbero sussistiti sia il presupposto dell’inadeguatezza dei servizi italiani, sia quello dell’ urgenza, ed entrambi sarebbero documentati.
Al contrario, il provvedimento impugnato non offrirebbe alcuno spunto per ripercorrere l’iter logico seguito per giungere al diniego: non vi si indicherebbe la struttura utilizzabile in Italia per la prestazione, né si offrirebbero notizie sulla sua adeguatezza né sui tempi di esecuzione dell’intervento. 2.1. Orbene, la materia in esame è anzitutto disciplinata dalla l. 23 ottobre 1985, n. 595, la quale, all’ art. 3, V comma, stabilisce che, con decreto del Ministro della sanità – e si tratta appunto del d.m. 3 novembre 1989 - sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, “di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico”. 2.2. A sua volta, l’ art. 2 del regolamento 3 novembre 1989 dispone che possono essere così erogate “le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione, che richiedono specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia e che non sono ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità esistenti in Italia (I comma).
Lo stesso art. 2 stabilisce poi che è considerata prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia quella “per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure” (III comma); è poi da qualificare prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico, quella “che richiede specifiche professionalità ovvero procedure tecniche o curative non praticate ovvero attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale” (IV comma).
3.1. Ora, non pare revocabile in dubbio che tale forma di assistenza costituisca comunque un’eccezione, dovendosi presumere – e ciò rientra effettivamente nel notorio - che, ordinariamente, la Sanità nazionale sia nel suo complesso in grado di fornire prestazioni corrispondenti agli standard dei Paesi più avanzati: sicché, il diniego sarà legittimo ogni volta che l’organo competente fornisce in tal senso argomenti sufficientemente circostanziati, in relazione alle peculiarità del caso. Incomberà in tal caso all’interessato offrire, nei limiti della sua disponibilità, un adeguato principio di prova, tale cioè da far almeno dubitare della conclusione raggiunta dall’Amministrazione, sì da indurre il giudice, in relazione alle peculiarità delle fattispecie, ad annullare senz’altro il diniego, ovvero a disporre specifiche verifiche circa l’adeguatezza e la tempestività della prestazione medica in questione.
3.2. Orbene, nel caso – come si desume dalle comunicazioni del medico preposto, riprodotte nella precedente narrazione - il Centro regionale di riferimento segnalò l’esistenza di una struttura medica – addirittura sul territorio regionale – in grado di effettuare l’intervento richiesto ed in tempi adeguati: è bensì vero che non viene indicato un termine preciso, ma questo era ormai inutile, considerato che l’interessata non ne aveva più necessità nel momento in cui fu visitata. La ricorrente, per sua parte, non ha fornito in causa elementi sufficientemente puntuali, così da far ritenere che l’urgenza dell’intervento (urgenza di cui, peraltro, si parla solo in un certificato medico successivo al diniego impugnato) fosse tale da impedire che lo stesso potesse essere effettuato tempestivamente in Italia; tanto meno che le strutture nazionali non fossero in grado di garantire un esito favorevole quanto la clinica svizzera indicata.
In realtà, dalla documentazione prodotta si trae la ragionevole conclusione che la C. abbia senz’altro presentato la richiesta per l’autorizzazione al trasferimento, senza cioè aver prima considerato le strutture cliniche nazionali. Questo è, nel caso, comprensibile, per le ragioni esposte nella comunicazione 12 giugno 1998 del primario; è tuttavia evidente come, dapprima con la richiesta e poi con il ricorso, sia stato tentato un utilizzo palesemente distorto di un istituto, il quale non ha lo scopo di favorire le predilezioni soggettive di un paziente, ma quello di limitare il pregiudizio economico che all’assistito derivi da specifiche obiettive carenze del Servizio sanitario.
4. Il ricorso va pertanto respinto; non v’è luogo a provvedere sulle spese, non essendosi costituite le amministrazioni resistenti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, III sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 17 febbraio 2005.