05.06.03 free
TAR LAZIO - (sulla opposizione del marito della defunta, coerede insieme alla madre di essa, non idonea ad escludere il diritto di estrazione di copia della cartella clinica della persona deceduta)
TAR LAZIO sez.III ter n.535/2003 -
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Sent. n. 535 R.G. 11489/02 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Terza Ter - composto dai signori Francesco Corsaro PRESIDENTE Umberto Realfonzo COMPONENTE Stefania Santoleri COMPONENTE, relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 11489/02, proposto da ZULIANI MARCELLA, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Marconi ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Ostia Lido, Viale dei Misenati n. 50. contro gli ISTITUTI FISIOTERAPICI OSPITALIERI – I.F.O. – in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avv. Fabrizio Abbate ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Roma, Corso di Francia n. 178. e nei confronti di SASSI PAOLO, non costituito in giudizio per l'annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di accesso, presentata in data 13/9/02, alla cartella clinica della figlia della ricorrente deceduta presso gli I.F.O. e per l’accertamento del diritto ad ottenere copia della suddetta cartella clinica. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente; Vista la memoria prodotta da parte resistente a sostegno delle proprie difese; Visti tutti gli atti di causa; Relatore alla Camera di Consiglio del 19 dicembre 2002 la Dott.ssa Stefania Santoleri, e udito, altresì, l’Avv. Alessandro Marconi per la parte ricorrente. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: ESPOSIZIONE IN FATTO. Con reiterate istanze, la ricorrente, in qualità di madre della Sig.ra Maiorano Anna Paola ricoverata presso gli I.F.O. di Roma e lì deceduta il 27/1/02, ha chiesto il rilascio di copia della cartella clinica della figlia dichiarando di volerne conoscere il contenuto al fine di meglio comprendere le esatte cause che hanno portato al decesso della figlia. L’Amministrazione, diffidata dal marito della defunta a rilasciare copia della documentazione medica relativa alla moglie a qualunque altro soggetto al di fuori di esso, ha dapprima negato il rilascio di copia della cartella clinica e poi non ha fornito ulteriori risposte alle successive istanze avanzate dalla ricorrente. Con il presente ricorso la ricorrente ha quindi chiesto al Tribunale di voler ordinare l’esibizione della suddetta documentazione. L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso, dichiarandosi comunque disposta a rilasciare copia della cartella clinica qualora il Tribunale avesse ritenuto sussistente il diritto della ricorrente. Alla Camera di Consiglio del 19 dicembre 2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Con il presente ricorso la ricorrente ha chiesto l’accertamento del suo diritto all’accesso alla cartella clinica della figlia, Sig.ra Anna Paola Maiorano, deceduta presso gli I.F.O. in data 27/1/02. Con la nota del 19/3/02 gli I.F.O., dopo aver dichiarato che i legittimari hanno diritto all’accesso della cartella clinica del defunto, hanno però negato alla ricorrente, legittimaria, l’estrazione di copia a causa del dissenso manifestato dal marito della defunta, genero della ricorrente, sostenendo che in questo caso, essendo in contestazione la sussistenza del diritto della richiedente, avrebbe dovuto preventivamente pronunciarsi l’autorità giudiziaria. La ricorrente non ha prontamente impugnato il diniego del 19/3/02 ma ha reiterato l’istanza ed ha quindi impugnato il silenzio rifiuto. Preliminarmente ritiene il Collegio di dover accertare l’ammissibilità del ricorso atteso che la ricorrente ha omesso di impugnare il diniego di accesso. Giova richiamare al riguardo l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il giudizio in materia di accesso non ha carattere impugnatorio, bensì si atteggia come rivolto immediatamente all’accertamento della sussistenza o no del diritto dell’istante all’accesso medesimo (C.d.S. Sez. VI 9/5/02 n. 2542; 23/2/99 n. 193). Il giudizio in materia di accesso, è un giudizio sul rapporto, come può evincere, del resto, dal comma 6 dell’art. 25 della L. n. 241/90, il quale all’esito del ricorso, prevede che il giudice, “sussistendone i presupposti” ordina l’esibizione dei documenti richiesti e quindi accerta direttamente l’esistenza o meno del diritto alla luce del parametro normativo (così C.d.S. Sez. VI 9/5/02 n. 2542). In merito alla questione in oggetto, la giurisprudenza ha più volte affermato che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi si configura come diritto soggettivo all’informazione, per cui le eventuali decisioni negative, anche divenute inoppugnabili per decorso del termine di cui all’art. 25 comma 5 della L. 241/90, non fanno venir meno, sul piano sostanziale la posizione giuridica dell’interessato all’accesso, potendo questi rinnovare l’istanza e riattivare così la tutela giurisdizionale; ne consegue che la decorrenza del termine per l’impugnativa di un atto di diniego dell’accesso non preclude il nuovo esercizio del diritto all’informazione da parte del titolare….” (C.d.S. Sez. IV 22/1/99 n. 56; 16/4/98 n. 641; T.A.R. Abruzzo Sez. Pescara 24/3/99 n. 327; ecc.). Ne consegue l’ammissibilità, sotto questo profilo, del ricorso. Prima di passare ad esaminare la fondatezza o meno dell’istanza, e cioè accertare se l’opposizione del marito della defunta, coerede insieme alla madre di essa, sia di per sé idonea ad escludere il diritto di estrazione di copia della cartella clinica della persona deceduta, occorre valutare se la ricorrente vanti la legittimazione al ricorso. Ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/90, infatti, il diritto di accesso spetta soltanto a quei soggetti che siano titolari di una situazione giuridicamente rilevante. Comunque, la posizione che legittima all’accesso non deve necessariamente possedere tutti i requisiti stabiliti per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso un atto lesivo della posizione giuridica vantata, tra i quali l’attualità dell’interesse ad agire, essendo sufficiente che l’istante sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta di documenti si fondi su tale posizione (C.d.S. Sez. VI 16/6/94 n. 1015; ecc.). In particolare deve ritenersi che la nozione di “interesse giuridicamente rilevante sia più ampia rispetto a quella dell’interesse all’impugnazione, caratterizzato dall’attualità e concretezza dell’interesse medesimo, e consenta la legittimazione all’accesso a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica (C.d.S. Sez. IV 3/2/96 n. 98; 14/1/99 n. 32; ecc.). Correlativamente il concetto di interesse giuridicamente rilevante sebbene sia più ampio di quello di interesse all’impugnazione, nondimeno non è tale da consentire a chiunque l’accesso agli atti amministrativi: il diritto di accesso ai documenti amministrativi non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione, giacché da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e dall’altro la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n. 5930). Detti presupposti ricorrono nel caso di specie, atteso che la richiesta di accesso è stata presentata da un soggetto, la madre, strettamente legata per ragioni parentali ed affettive alla defunta della quale chiede di poter estrarre copia della cartella clinica; inoltre la richiesta di accesso è stata motivata dall’esigenza di voler comprendere le ragioni del decesso, sottintendendo così la sussistenza di un vero e proprio interesse morale (ma forse anche prettamente giuridico giacché a seguito della conoscenza dei dati medici ben potrebbe, se del caso, attivarsi in sede giurisdizionale). E’ del tutto evidente che la richiesta di accesso non è stata avanzata da un soggetto qualunque, ma dal titolare di una posizione qualificata che dalla conoscenza del documento in questione (cartella clinica della figlia deceduta in ospedale) può trarre le dovute informazioni soddisfacendo un interesse meritevole di tutela, qual’ è quello alle informazioni sulle condizioni di salute del proprio familiare, alle cure prestate presso la struttura ospedaliera e alle precise cause del decesso. Passando all’esame del merito, ritiene il Collegio di dover preventivamente precisare che nella fattispecie, la problematica dell’accesso ai documenti sanitari, dati sensibili ai sensi della normativa sulla “privacy”, deve essere delineato tenendo conto delle precise circostanze di fatto: non bisogna dimenticare, infatti, che i dati in questione riguardano una persona defunta, e che comunque il rilascio di copia della cartella clinica alla madre della paziente deceduta non costituisce “diffusione” così come definita dall’art. 1 lett. h) della L. n. 675/96 (laddove per diffusione si intende “il dare conoscenza di dati personali a soggetti indeterminati”) per la quale opera il divieto di cui all’art. 23 comma 4 della stessa L. n. 675/96. Chi chiede i dati, inoltre, è erede della defunta (essendo la stessa deceduta senza aver avuto figli), come puntualmente ribadito dalla difesa della ricorrente anche alla Camera di Consiglio nella quale è stata trattenuta in decisione la causa. Quanto al primo aspetto, quello relativo all’accertamento dell’esistenza di un diritto alla riservatezza relativamente alle persone defunte, si ritiene comunemente che il suo fondamento possa essere rinvenuto nella disciplina relativa al diritto di autore (L. 22/4/41 n. 633) ed in special modo nell’art. 93 della legge, ove si fa espresso riferimento alle corrispondenze epistolari che si riferiscano all’intimità della vita privata le quali non possono essere pubblicate o comunque riprodotte o portate a conoscenza del pubblico senza il consenso dell’autore, ed in caso di sua morte, senza “ il consenso del coniuge o dei figli, o, in loro mancanza, dei genitori*..” e così via. Detta norma, sebbene affermi implicitamente l’esistenza di un diritto alla "privacy" anche dopo la morte, sussistendo il diritto alla non divulgazione di dati afferenti propriamente l’intimità della vita privata anche successivamente al decesso, nondimeno non può essere utilizzata al fine di statuire chi siano i soggetti legittimati a decidere se consentire o meno l’accesso agli atti relativi alla persona defunta. Nel caso in questione, infatti, come già ricordato, non viene in rilievo la divulgazione delle informazioni afferenti la persona defunta a seguito dell’autorizzazione alla pubblicazione dei suoi scritti personali (e gli eventuali diritti patrimoniali connessi alla pubblicazione medesima) come nel caso contemplato dall’art. 93 L. diritto d’autore, ma soltanto la comunicazione di dati attinenti alla salute di una paziente ad un familiare. Non può quindi ritenersi utilizzabile la disposizione del medesimo art. 93 laddove richiede il consenso del coniuge e dei figli (ed in mancanza dei genitori o degli altri congiunti contemplati dalla norma), ed in caso di dissenso (facendo quindi intendere che occorre sempre il consenso di tutti i soggetti) rimette la decisione all’autorità giudiziaria. Deve essere più propriamente richiamata la disciplina sulla "privacy" che in generale prevede in caso di trattamento dei dati (non sensibili) il diritto dell’interessato di conoscere l’esistenza di trattamento di dati che possono riguardarlo, la comunicazione in forma intelligibile dei medesimi dati (art. 1 comma 1 L. n. 675/96) e statuisce che i diritti in questione riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chiunque vi abbia interesse (art. 13 comma 3 L. 675/96). Più rigida è la disciplina relativa al trattamento dei dati sensibili (art. 22) tra i quali rientrano anche quelli idonei a rivelare lo stato di salute, che possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante (comma 1); inoltre il trattamento dei dati in questione da parte di soggetti pubblici, è consentito solo se espressamente autorizzato da una disposizione di legge, ovvero in mancanza, previa autorizzazione del Garante (art. 22 comma 3 L. n. 675/96). Per ciò che concerne propriamente il trattamento dei dati relativi alle condizioni di salute di soggetti terzi da parte degli esercenti le professioni sanitarie, art. 23 della più volte citata legge sulla “privacy” stabilisce il diritto al loro trattamento prescindendo dall’autorizzazione da parte del Garante, mentre per ciò che concerne la manifestazione del consenso al trattamento il comma 1 quater stabilisce che in caso di “incapacità di agire, ovvero di impossibilità fisica o di incapacità di intendere o di volere, il consenso al trattamento dai dati idonei a rivelare lo stato di salute è validamente manifestato nei confronti di esercenti le professioni sanitarie e di organismi sanitari, rispettivamente, da chi esercita legalmente la potestà ovvero da un familiare, da un prossimo congiunto, da un convivente, o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimori”. A giudizio del legislatore, quindi, il titolare del diritto alla riservatezza (e quindi soggetto autorizzato al trattamento dei dati relativi allo stato di salute) è il soggetto medesimo, oppure in caso di sua incapacità, non soltanto chi lo rappresenti legalmente, ma anche un semplice “familiare”, un “prossimo congiunto” dimostrandosi così che la legittimazione a fornire il consenso al trattamento dei dati sanitari da parte delle strutture mediche non si radica esclusivamente sulla base di precise posizioni giuridiche, ma anche sul mero rapporto affettivo. Sebbene detta norma, dettata per i casi di contingibile necessità, non risulti direttamente applicabile al caso di specie, in cui non si è in presenza di una situazione di incapacità dell’interessato a prestare il consenso, - ma nella sostituzione di un terzo (suo congiunto ed erede) all’esercizio dei suoi diritti (acquisire copia della sua cartella clinica) -, nondimeno detta norma, può essere comunque utilizzata, perché consente di evincere un principio generale, quello secondo cui, dopo la morte, il diritto a conoscere i dati relativi alle condizioni di salute di un familiare, non sono disciplinate propriamente dalla normativa ereditaria dettata per finalità del tutto diverse. Gli eredi, in quanto subentranti nella posizione giuridica del defunto, sono ovviamente legittimati ad esercitare i diritti a lui spettanti (tra i quali rientra ovviamente anche quello a prestare il consenso al trattamento dei dati personali anche sensibili, e quindi ad estrarre copia della documentazione sanitaria a lui pertinente), ma le regole che disciplinano l’esercizio di detto diritto non sono quelle proprie della normativa sulle successioni, poiché, come già ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza, l’accesso alla documentazione sanitaria del congiunto, non risulta in alcun modo pregiudizievole per i coeredi, non implica alcuna "deminutio" delle prerogative ereditarie, ovvero l’esclusione da informazioni utili con l’appropriazione esclusiva da parte di un coerede in danno di un altro, né la disposizione di alcun diritto ereditario. Appare quindi del tutto irragionevole l’imposizione di un consenso di tutti i coeredi per l’esercizio di un diritto all’informazione che, oltretutto, appare inerire più alla qualità di congiunto, e quindi autonomamente a chiunque si trovi in tale relazione di parentela, che non a quella di coerede (T.A.R. Piemonte Sez. II 19/3/92 n. 65). Ne consegue l’irrilevanza dell’opposizione manifestata dal coerede della paziente deceduta, considerato che l’interesse ad acquisire notizie in merito alle condizioni di salute, alle cure e alle cause del decesso di una paziente, spettano autonomamente e disgiuntamente a ciascuno dei legittimari in quanto di per sé titolari di una posizione giuridicamente rilevante. Il ricorso deve essere pertanto accolto, dichiarandosi l’obbligo per gli I.F.O. di rilasciare alla ricorrente copia della cartella clinica della figlia, Sig.ra Anna Paola Maiorano deceduta presso la struttura ospedaliera in questione in data 27/1/02. Le spese di lite possono essere equamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi. P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter- accoglie il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto ordina all’Amministrazione resistente l’esibizione della documentazione di cui in motivazione. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 dicembre 2002. Francesco Corsaro PRESIDENTE Stefania Santoleri ESTENSORE