04.06.03 free
CORTE di GIUSTIZIA - ( sulle procedure di ricorso in materia di appalti pubblici; sulla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare i termini di decadenza ( sessanta giorni ) previsti per un bando di gara, una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario)
SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione) 27 febbraio 2003 «Direttiva 93/36/CEE - Appalti pubblici di forniture - Direttiva 89/665/CEE - Procedure di ricorso in materia di appalti pubblici - Termine di decadenza - Principio di effettività» Nel procedimento C-327/00, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, nella causa dinanzi ad esso pendente tra Santex SpA e Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia, con l'intervento di: Sca Mölnlycke SpA, Artsana SpA e Fater SpA, domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 22 della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), e dell'art. 6, n. 2, UE, LA CORTE (Sesta Sezione), composta dal sig. J.-P. Puissochet, presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen e V. Skouris (relatore), dalla sig.ra F. Macken e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, giudici, avvocato generale: sig. S. Alber cancelliere: sig. H.A. Rühl, amministratore principale viste le osservazioni scritte presentate: - per il governo italiano, dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato; - per il governo francese, dalla sig.ra A. Bréville-Viéville e dal sig. G. de Bergues, in qualità di agenti; - per il governo austriaco, dal sig. H. Dossi, in qualità di agente; - per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. Nolin e R. Amorosi, in qualità di agenti, vista la relazione d'udienza, sentite le osservazioni orali del governo italiano, del governo francese e della Commissione all'udienza del 6 dicembre 2001, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 7 febbraio 2002, ha pronunciato la seguente Sentenza 1. Con ordinanza 23 giugno 2000, pervenuta nella cancelleria della Corte il 4 settembre seguente, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha proposto, a norma dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione dell'art. 22 della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), e dell'art. 6, n. 2, UE. 2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la società Santex SpA (in prosieguo: la «Santex») e l'Unità Socio Sanitaria Locale n. 42 di Pavia (in prosieguo: l'«USL»), avente ad oggetto una procedura di gara relativa ad un appalto di forniture. Contesto normativo Normativa comunitaria 3. L'art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/665»), dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive 71/305/CEE, 77/62/CEE e 92/50/CEE (...), le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare, quanto più rapidi possibile, secondo le condizioni previste negli articoli seguenti, in particolare nell'articolo 2, paragrafo 7, qualora violino il diritto comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono». 4. Ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 89/665: «Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all'articolo 1 prevedano i poteri che permettano di: (...) b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di gara, nei capitolati d'oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell'appalto in questione». 5. La direttiva 93/36 ha abrogato la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU 1977, L 13, pag. 1). I riferimenti fatti dall'art. 1, n. 1, della direttiva 89/665, in particolare alla direttiva così abrogata, vanno considerati come fatti alla direttiva 93/36, a norma dell'art. 33, secondo comma, di quest'ultima. 6. L'art. 22 della direttiva 93/36 stabilisce: «1. In linea di massima, la prova della capacità finanziaria ed economica del fornitore può essere fornita mediante una o più delle seguenti referenze: (...) c) una dichiarazione del fatturato globale dell'impresa e del fatturato per le forniture cui si riferisce l'appalto relativo agli ultimi tre esercizi finanziari. 2. Le amministrazioni precisano, nel bando di gara o nell'invito a presentare offerte, la referenza o le referenze di cui al paragrafo 1 da esse scelte, nonché le eventuali altre referenze da presentare. 3. Qualora, per giustificati motivi, non sia in grado di presentare le referenze richieste dall'amministrazione, il fornitore è ammesso a provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento che l'amministrazione stessa ritenga appropriato». Normativa nazionale 7. L'art. 22 della direttiva 93/36 è stato recepito nell'ordinamento italiano mediante l'art. 13 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, intitolato «Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE» (GURI n. 188 dell'11 agosto 1992, Supplemento ordinario n. 104, pag. 5; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 358/1992»). Tale articolo prevede quanto segue: «1. La dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti può essere fornita mediante uno o più dei seguenti documenti: (...) c) dichiarazione concernente il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo alle forniture identiche a quella oggetto della gara, realizzate negli ultimi tre esercizi. 2. Le amministrazioni precisano nel bando di gara quali dei documenti indicati al comma 1 devono essere presentati, nonché gli altri eventuali che ritengono di richiedere. (...) 3. Se il fornitore non è in grado, per giustificati motivi, di presentare le referenze richieste, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dall'amministrazione». 8. L'art. 36, primo comma, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, contenente il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (GURI n. 158 del 7 luglio 1924; in prosieguo: il «regio decreto n. 1054/1924»), l'applicazione del quale è stata estesa ai tribunali amministrativi per effetto dell'art. 19 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, relativa all'«Istituzione dei tribunali amministrativi regionali» (GURI n. 314 del 13 dicembre 1971, pag. 7891), così recita: «Fuori dei casi nei quali i termini siano fissati dalle leggi speciali, relative alla materia del ricorso, il termine per ricorrere al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è di giorni 60 dalla data in cui la decisione amministrativa sia stata notificata nelle forme e nei modi stabiliti dal regolamento, o dalla data in cui risulti che l'interessato ne ha avuta piena cognizione (...)». 9. L'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, «Legge sul contenzioso amministrativo» (in prosieguo: la «legge n. 2248/1865»), è formulato nei seguenti termini: «In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi». Controversia principale e questioni pregiudiziali 10. Risulta dall'ordinanza di rinvio che in data 23 ottobre 1996 l'USL pubblicava nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee un bando di gara per la fornitura diretta a domicilio di prodotti assorbenti per l'incontinenza, per l'importo annuo presunto di ITL 1 067 372 000. 11. Tale bando conteneva una clausola in base alla quale sarebbero state ammesse alla gara soltanto le imprese che avessero realizzato «un fatturato complessivo nell'ultimo triennio almeno triplo, per servizio identico a quello oggetto della gara, rispetto all'importo annuo presunto posto a base d'asta» (in prosieguo: la «clausola controversa»). 12. Con lettera 25 novembre 1996 la Santex segnalava all'amministrazione aggiudicatrice che la suddetta clausola del bando di gara configurava a suo avviso un'indebita restrizione della concorrenza. Essa precisava che, tenuto conto della recentissima introduzione di questo tipo di servizio da parte delle aziende sanitarie locali, l'applicazione della suddetta clausola avrebbe comportato un vantaggio ingiustificato a favore dell'impresa che aveva vinto l'appalto in occasione della precedente procedura di gara, nonché l'esclusione di numerosi concorrenti, tra i quali anche la ricorrente, malgrado quest'ultima avesse raggiunto nell'ultimo anno un fatturato complessivo pari al doppio dell'importo annuo presunto della fornitura oggetto dell'appalto. 13. In seguito a tali rilievi, l'USL rinviava la valutazione delle offerte e chiedeva agli offerenti l'invio di documentazione integrativa, affermando che la clausola controversa poteva interpretarsi come riferita al fatturato complessivo delle imprese interessate. Il fatturato relativo alle forniture di prodotti identici a quelli oggetto dell'appalto in questione sarebbe stato considerato non come un requisito di ammissione alla gara, bensì soltanto come un criterio utile ai fini della valutazione della qualità delle offerte. 14. Tale interpretazione veniva contestata dalla ditta Sca Mölnlycke SpA (in prosieguo: la «Mölnlycke»), che aveva ottenuto l'appalto relativo alla fornitura di prodotti identici per il periodo precedente. Tale impresa inviava una lettera alla USL, pretendendo il puntuale rispetto della clausola controversa. 15. Con lettera 24 gennaio 1997 l'USL, accogliendo implicitamente il suddetto rilievo della Mölnlycke, richiedeva nuovamente agli offerenti di comunicarle il fatturato da essi realizzato per forniture di prodotti identici a quelli oggetto dell'appalto in questione, nonché l'elencazione delle aziende sanitarie alle quali tali prodotti erano stati forniti. 16. Il 20 febbraio 1997 l'USL adottava una decisione che escludeva dalla procedura di gara tutte le imprese che non soddisfacevano il requisito economico enunciato dalla clausola controversa, fra le quali la Santex (in prosieguo: la «decisione di esclusione»). Con decisione 8 aprile 1997 (in prosieguo: la «decisione di aggiudicazione») l'appalto veniva aggiudicato alla Mölnlycke. 17. La Santex, ritenendo che, qualora fosse stata ammessa alla gara, avrebbe ottenuto l'aggiudicazione dell'appalto, proponeva dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia un ricorso diretto a ottenere l'annullamento, in particolare, della decisione di esclusione nonché della decisione di aggiudicazione e del bando di gara per violazione di legge ed eccesso di potere. Inoltre essa chiedeva, a titolo di provvedimenti provvisori, la sospensione dell'esecuzione degli atti così impugnati. 18. L'USL e la Mölnlycke, costituitasi in giudizio nella causa principale, eccepivano la tardività dell'impugnazione del bando di gara. Orbene, solamente il suddetto bandoavrebbe arrecato un pregiudizio diretto alla Santex impedendole di partecipare alla procedura di gara. 19. Con ordinanza cautelare 29 maggio 1997 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia disponeva la sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati. Esso affermava che, anche a ritenere tardiva l'impugnazione del bando di gara, si sarebbe dovuto procedere in ogni caso alla disapplicazione della clausola controversa a motivo della violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza. 20. Con ordinanza 29 agosto 1997 il Consiglio di Stato italiano annullava la suddetta ordinanza del giudice a quo. 21. Dopo la conclusione del procedimento cautelare, l'USL stipulava con la Mölnlycke il contratto. 22. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, al quale il Consiglio di Stato ha rinviato il fascicolo ai fini della definizione nel merito, sostiene, nell'ordinanza di rinvio, che la clausola controversa limita il diritto d'accesso alla gara in violazione dell'art. 22 della direttiva 93/36, testualmente ripreso dall'art. 13 del decreto legislativo n. 358/1992. 23. Il giudice a quo osserva in particolare che la detta clausola viola i principi di proporzionalità e di non discriminazione, in quanto eccede le esigenze di verifica della capacità economica e finanziaria degli offerenti. Tale clausola concederebbe in tal modo un privilegio ingiustificato in favore delle imprese dominanti del mercato, in danno di quanti siano in grado di documentare aliunde la propria affidabilità. 24. Il suddetto giudice considera tuttavia di dover preliminarmente statuire in ordine all'eccezione di irricevibilità sollevata dall'USL e dalla Mölnlycke. A tale proposito esso rileva che se fosse vero che la clausola controversa ha impedito alla Santex di partecipare alla gara sin dalla fase del bando di gara, bisognerebbe concludere che tale clausola avrebbe dovuto essere impugnata nel termine di 60 giorni dalla data in cui la Santex ne ha avuto conoscenza, come previsto dall'art. 36 del regio decreto n. 1054/1924. 25. Il giudice a quo rileva che, fondandosi sull'art. 5 della legge n. 2248/1865, il Consiglio di Stato ha affermato, in via generale, che il giudice amministrativo può - al pari del giudice ordinario - disapplicare la norma regolamentare contrastante con una fonte sovraordinata e incidente su un diritto soggettivo. 26. Tuttavia, risulterebbe dalla giurisprudenza costante del Consiglio di Stato in materia di appalti pubblici che gli atti immediatamente lesivi del diritto di partecipazione alla gara debbono essere impugnati nell'ordinario termine didecadenza di 60 giorni, superato il quale non si configura alcuna ulteriore possibilità di disapplicazione degli stessi bandi o di loro clausole. 27. Orbene, il giudice a quo sostiene che il principio di cui all'art. 5 della legge n. 2248/1865 dovrebbe applicarsi anche alle clausole contenute in un bando di appalto pubblico che sono in contrasto con il diritto comunitario. Il detto giudice afferma che, al fine di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti garantiti dall'ordinamento giuridico comunitario, esso deve avere la possibilità di disapplicare la clausola controversa, a prescindere dall'osservanza delle norme processuali nazionali. 28. Secondo il giudice a quo, i fatti della causa principale appaiono tali da legittimare un diniego di applicazione della clausola controversa, conformemente alla tesi esposta al punto precedente. Da un lato, esso rileva che l'USL fece intendere alla Santex che la clausola controversa sarebbe stata interpretata in modo restrittivo ovvero riformulata nel corso della procedura di gara. In tal modo l'USL avrebbe creato una situazione di incertezza pregiudizievole ai fini della tempestiva impugnazione e reso così eccessivamente difficile, se non impossibile, l'applicazione del diritto comunitario alla procedura di aggiudicazione dell'appalto di forniture di cui trattasi nella causa principale. 29. Dall'altro, il suddetto giudice afferma che la valutazione dell'illegittimità degli atti impugnati nella causa principale è funzionale all'interesse dell'amministrazione, che è quello di aprire la gara al maggior numero di concorrenti possibile. 30. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ritiene peraltro utile esaminare questa problematica alla luce della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali sancita dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 31. Alla luce di tutto quanto sopra considerato, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l'art. 22 della direttiva 93/36/CEE del 14.6.1993 sia interpretabile nel senso che le competenti giurisdizioni nazionali siano obbligate a tutelare i cittadini dell'Unione lesi da atti adottati in violazione del diritto comunitario, ricorrendo in particolare all'istituto della disapplicazione previsto dall'art. 5 della legge nazionale 20.3.1865, n. 2248, anche nei confronti delle clausole del bando di gara contrastanti con il diritto comunitario, ma non impugnate entro i brevi termini di decadenza previsti dal diritto processuale nazionale per applicare ex ufficio il diritto comunitario, ogni volta che possa essere riscontrato che, da una parte, l'applicazione di quest'ultimo sia stata gravemente impedita o comunque difficoltata e, dall'altra, ricorra un interesse pubblico di matrice comunitaria o nazionale che tale applicazione giustifichi. 2) Se alla stessa conclusione conduca l'art. 6, n. 2, UE che, nel codificare il rispetto da parte dell'Unione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha fatto proprio il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale stabilito dagli artt. 6 e 13 della stessa Convenzione». Sulla prima questione Osservazioni presentate alla Corte 32. Il governo italiano rileva che è il principio della certezza del diritto quello che giustifica l'inoppugnabilità di un bando di gara una volta che sono decorsi oltre 60 giorni dalla sua pubblicazione. In caso contrario, verrebbe arrecato pregiudizio alle legittime aspettative dei concorrenti convinti della regolarità della gara di appalto. 33. Richiamando la giurisprudenza della Corte secondo cui, in mancanza di una disciplina comunitaria, spetterebbe all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto, il governo italiano afferma che la normativa nazionale in questione nella causa principale soddisfa le condizioni stabilite dalla suddetta giurisprudenza. Esso nota, in particolare, che l'ordinamento italiano non effettua alcuna discriminazione, poiché qualsiasi violazione di una norma - sia nazionale che comunitaria - ad opera di un atto amministrativo può comportare l'annullamento di tale atto, e che nessun ostacolo impedisce l'effettiva applicazione del diritto comunitario. 34. Il governo italiano sostiene altresì che ove si consentisse al giudice nazionale, nel caso in cui l'atto illegittimo sia impugnato per violazione del diritto comunitario, di disapplicare le norme processuali nazionali, ciò porterebbe ad un'ingiustificata differenziazione della tutela dei diritti dei singoli a seconda che tali diritti derivino dal diritto comunitario o dal diritto interno. 35. Il governo francese ritiene che un giudice nazionale non sia obbligato a verificare d'ufficio la compatibilità di un atto di diritto interno con una norma comunitaria, nel caso in cui l'atto suddetto non sia stato impugnato entro il termine previsto dalle norme di procedura nazionali. 36. Le norme di decadenza di cui trattasi nella causa principale costituirebbero norme di ordine pubblico, che debbono essere osservate dalle parti e dal giudice nazionale. In particolare, il termine di decadenza di 60 giorni sarebbe diretto ad applicare il principio della certezza del diritto circoscrivendo e limitando nel tempo la facoltà di impugnare le clausole di un bando di gara. Tale termine non renderebbe praticamente impossibile od eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. 37. Secondo il governo francese, solo nell'ipotesi in cui l'autorità aggiudicatrice avesse contribuito, con il suo comportamento, all'inosservanza del termine di decadenza sarebbe configurabile che all'interessato fosse riconosciuta, oltre alla possibilità di ottenere un indennizzo per il pregiudizio subito, la facoltà di proporre un ricorso dopo la scadenza del detto termine. Tuttavia il detto governo rileva che, nella fattispecie della causa principale, la Santex non poteva ignorare la necessità di introdurre nei termini, a titolo precauzionale, un ricorso avverso il bando di gara d'appalto controverso nella causa principale, pur continuando le sue discussioni con l'autorità aggiudicatrice. 38. Il governo austriaco ritiene che con la prima questione pregiudiziale il giudice a quo intenda stabilire se le norme comunitarie in materia di appalti pubblici ostino all'applicazione di norme di diritto nazionale a carattere preclusivo. Esso ne deduce che occorre far riferimento alla direttiva 89/665. 39. Dato che tale direttiva non conterrebbe alcuna norma che subordini la presentazione di ricorsi relativi a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici a termini di decadenza, gli Stati membri potrebbero disciplinare tale materia alla duplice condizione che gli obiettivi della detta direttiva non siano elusi e che siano rispettati i principi di effettività e di parità di trattamento sanciti dal Trattato CE. 40. Il governo austriaco aggiunge che le norme nazionali di cui trattasi nella causa principale hanno per effetto non solo di accelerare il procedimento di gara, ma anche quello di ridurre il rischio di abuso di ricorsi, favorendo la tutela dei diritti degli offerenti nel loro complesso. Tali norme non arrecherebbero alcun pregiudizio ai principi di effettività e di parità. Pertanto, la direttiva 89/665 non osterebbe alla loro applicazione. 41. Riguardando la controversia della causa principale un appalto pubblico, anche secondo la Commissione occorre esaminare la prima questione alla luce della direttiva 89/665. 42. A tale proposito, essa rileva che la suddetta direttiva prevede l'obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici possano formare oggetto di ricorsi efficaci e rapidi che permettano di annullarle qualora illegittime, indipendentemente dal fatto che una decisione precedente sia stata o meno impugnata nei termini previsti. Orbene, i provvedimenti di esclusione e di aggiudicazione costituirebbero decisioni dell'autorità aggiudicatrice nel senso fatto proprio dalla direttiva. Giudizio della Corte 43. A titolo preliminare occorre rammentare che, come rilevato ai punti 22 e 23 della presente sentenza, il giudice a quo ritiene accertato che la clausola controversa sia incompatibile sia con l'art. 22 della direttiva 93/36 che con l'art. 13 del decreto legislativo n. 358/1992. 44. Tuttavia, come precisato nell'ordinanza di rinvio, il suddetto giudice non può dichiarare ricevibile il ricorso della causa principale se applica le norme processuali nazionali in forza delle quali, una volta decorso il termine previsto per l'impugnazione di un bando di gara, sono irricevibili anche tutti i motivi di diritto che sono stati dedotti in ordine all'asserita illegittimità di tale bando al fine di contestare un altro provvedimento dell'autorità aggiudicatrice. 45. Inoltre, risulta dall'ordinanza di rinvio che il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia considera che il comportamento dell'autorità aggiudicatrice nella causa principale ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario all'offerente leso dalla clausola controversa. 46. Risulta dunque che il giudice a quo chiede che gli sia chiarito se, alla luce di quanto esposto, sia tenuto in forza del diritto comunitario, a disapplicare le norme nazionali di decadenza, al fine di dichiarare ricevibile il motivo relativo a una violazione del diritto comunitario da parte della clausola controversa, addotto a sostegno dell'impugnazione di decisioni successivamente adottate dall'autorità aggiudicatrice sulla scorta di tale clausola. 47. Orbene, occorre rilevare al riguardo che la direttiva 93/36 non disciplina le forme di controllo giurisdizionale delle decisioni adottate nell'ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, ma che si tratta di materia disciplinata unicamente dalla direttiva 89/665. Quest'ultima stabilisce i requisiti minimi che le procedure d'impugnazione previste dagli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare per garantire l'osservanza delle disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici. 48. Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione va intesa come diretta a stabilire, in sostanza, se la direttiva 89/665 debba essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità. 49. Per rispondere alla questione così riformulata, occorre rammentare che la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi in via generale sulla compatibilità con la direttiva 89/665 di norme nazionali che prevedono termini di decadenza per leimpugnazioni avverso decisioni delle autorità aggiudicatrici di cui alla detta direttiva. 50. Infatti, al punto 79 della sentenza 12 dicembre 2002, causa C-470/99, Universale-Bau e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta), la Corte ha statuito che la direttiva 89/665 non osta ad una normativa nazionale la quale preveda che qualsiasi ricorso avverso una decisione dell'amministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine all'uopo previsto e che qualsiasi irregolarità del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale ricorso debba essere sollevata nel medesimo termine, a pena di decadenza, di modo che, scaduto tale termine, non è più possibile impugnare tale decisione o eccepire la suddetta irregolarità, a condizione che il termine in parola sia ragionevole. 51. In particolare, la Corte ha constatato che, sebbene spetti all'ordinamento nazionale di ogni Stato membro definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici, tali modalità non devono mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva 89/665, la quale è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile (sentenza Universale-Bau e a., cit., punti 71, 72 e 74). 52. E' in tale contesto che la Corte ha rilevato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza risponde, in linea di principio, all'esigenza di effettività derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce l'applicazione del principio della certezza del diritto (sentenza Universale-Bau e a., cit., punto 76). 53. Si deve pertanto verificare se il termine di decadenza di cui trattasi nella causa principale risponda alle esigenze della direttiva 89/665, come elaborate dalla giurisprudenza ricordata ai punti 50-52 della presente sentenza. 54. A tale proposito occorre rilevare, da un lato, che il termine di decadenza di 60 giorni applicabile in materia di appalti pubblici in forza dell'art. 36, n. 1, del regio decreto n. 1054/1924, come interpretato dal Consiglio di Stato, risulta ragionevole sotto il profilo sia dell'obiettivo della direttiva 89/665 sia del principio della certezza del diritto. 55. Dall'altro, occorre constatare che un tale termine, che decorre dalla data di notifica dell'atto o dalla data in cui risulta che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza, è conforme anche al principio d'effettività, in quanto non è idoneo, di per sé, a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti eventualmente riconosciuti all'interessato dal diritto comunitario. 56. Tuttavia, ai fini dell'applicazione del principio d'effettività, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario dev'essere esaminatotenendo conto, in particolare, del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, nonché dello svolgimento e delle peculiarità di quest'ultimo (v. sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14). 57. Pertanto, se un termine di decadenza come quello della causa principale non è, di per sé, contrario al principio di effettività, non si può escludere che, nelle particolari circostanze della causa sottoposta al giudice a quo, l'applicazione di tale termine possa comportare una violazione del detto principio. 58. In tale prospettiva, occorre prendere in considerazione il fatto che, nel caso di specie, sebbene la clausola controversa sia stata portata a conoscenza degli interessati all'atto della pubblicazione del bando di gara, l'autorità aggiudicatrice, con il suo comportamento, ha creato uno stato d'incertezza in ordine all'interpretazione da dare a tale clausola e che questa incertezza è stata dissipata solo con l'adozione della decisione di esclusione. 59. Infatti, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice a quo, l'USL all'inizio ha lasciato intendere che avrebbe tenuto conto delle riserve espresse dalla Santex e che non avrebbe applicato nella fase dell'ammissione delle offerte il requisito economico di cui alla clausola controversa. Soltanto con la decisione di esclusione, che ha estromesso dalla procedura di gara tutti gli offerenti che non rispondevano al detto requisito, l'autorità aggiudicatrice ha espresso la sua posizione definitiva sull'interpretazione della clausola controversa. 60. Si deve pertanto riconoscere che, nella fattispecie principale, l'offerente leso ha potuto conoscere l'effettiva interpretazione della detta clausola del bando di gara da parte dell'autorità aggiudicatrice soltanto quando è stato informato della decisione di esclusione. Orbene, tenuto conto del fatto che, a quel punto, il termine previsto per l'impugnazione del detto bando era già scaduto, tale offerente è stato privato, per effetto delle norme di decadenza, di qualsiasi possibilità di far valere in giudizio, nei confronti di successive decisioni arrecantigli pregiudizio, l'incompatibilità di tale interpretazione con il diritto comunitario. 61. Nella fattispecie principale, si può affermare che il comportamento mutevole dell'autorità aggiudicatrice, vista l'esistenza di un termine di decadenza, ha reso eccessivamente difficile per l'offerente leso l'esercizio dei diritti conferitigli dall'ordinamento giuridico comunitario. 62. Poiché solamente il giudice a quo è competente a interpretare e applicare la normativa nazionale, spetta ad esso, in circostanze quali quelle della causa principale, interpretare, per quanto possibile, le norme che prevedono tale termine di decadenza in modo da garantire il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665. 63. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, infatti, spetta al giudice nazionale conferire alla legge nazionale che è chiamato ad applicare un'interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-165/91, Van Munster, Racc. pag. I-4661, punto 34, e 26 settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 39). 64. Se una tale applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione nazionale la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred, Racc. pag. I-937, punto 30, e Engelbrecht, cit., punto 40). 65. Ne consegue che, in circostanze quali quelle della causa principale, spetta al giudice a quo assicurare il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665, applicando il proprio diritto nazionale in modo tale da consentire all'offerente leso da una decisione dell'autorità aggiudicatrice, adottata in violazione del diritto comunitario, di conservare la possibilità di addurre motivi di diritto inerenti a tale violazione a sostegno di impugnazioni avverso altre decisioni dell'autorità aggiudicatrice, ricorrendo, se del caso, alla possibilità, derivante secondo il suddetto giudice dall'art. 5 della legge n. 2248/1865, di disapplicare le norme nazionali di decadenza che disciplinano tali impugnazioni. 66. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità. Sulla seconda questione 67. Tenuto conto della risposta alla prima questione, non occorre risolvere la seconda. Sulle spese 68. Le spese sostenute dai governi italiano, francese e austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogoa rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Per questi motivi, LA CORTE (Sesta Sezione), pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza 23 giugno 2000, dichiara: La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità. Puissochet Schintgen Skouris Macken Cunha Rodrigues Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 27 febbraio 2003. Il cancelliere Il presidente della Sesta Sezione R. Grass J.-P. Puissochet .